DUE CAPPUCCINI
—Buonasera, signora Caterina! Come sempre, due cappuccini? — chiesi con un sorriso, scrutando con preoccupazione il suo viso piccolo, solcato da rughe profonde ma ancora pieno di charme. Era l’ultima cliente della serata.
—Salve, Elisabetta! Sì, come al solito, due cappuccini. E, se non è troppo disturbo, un cornetto alla cannella, per favore.
Caterina appoggiò il bastone alla sedia e, soffocando una smorfia di dolore, si sedette con fatica al tavolo vicino alla finestra.
—Tutti qui si domandavano cosa fosse successo per farle saltare la sua solita routine. Non potevo credere che si fosse dimenticata di oggi. Sono persino uscita a cercarla — dissi, lanciando un’occhiata alla nuova cameriera per ordinare.
—Tesoro mio, quel giorno verrà, ma nessuno sa quando o come. Non preoccuparti, il motivo è semplice: stamattina sono andata a ritirare la pensione, e il bancomat ha mangiato la mia carta. Ho dovuto passare ore in banca tra code infinite. Pare che tutte le anziane del quartiere avessero deciso di fare operazioni finanziarie proprio oggi! — scherzò, ma si vedeva che era stanchissima.
Le sue mani, sempre avvolte in guanti di pizzo nero, tremavano, e il viso pallido e segnato appariva più scavato del solito.
Lavoro come responsabile di una piccola caffetteria nel cuore di Firenze, città che custodisce mille segreti e confessioni.
Iniziai a lavorare a quindici anni, durante le vacanze estive, per comprare a mia madre un telefono nuovo. Cominciai lavando i pavimenti e le stoviglie, poi diventai cameriera, e infine mi promossero qui.
Dopo il liceo, mi iscrissi all’università, psicologia. Lo studio non mi impedisce di fare pratica con la vita in questo bar, dove il caffè risveglia anime stanche e riporta alla luce ricordi sepolti.
Osservare la gente è la mia passione. Cerco sempre di intuire desideri e umori dei clienti per evitare malintesi.
La nostra clientela è variegata: adolescenti chiassosi, coppie innamorate che si guardano negli occhi, signore eleganti con uomini maturi, madri con bambini curiosi.
Ma la coppia più affascinante che abbia mai conosciuto qui erano Caterina e Vittorio.
Lui, alto e dignitoso, capelli argento; lei, ancora graziosa nonostante gli anni. Venivano ogni sabato, senza mai mancare, sotto la pioggia, la neve o il sole.
—Hai freddo, testarda compagna della mia vita? — brontolava lui. — Te l’avevo detto di portare l’ombrello! Ieri sera già mi dolevano le gambe, ma tu: “Non pioverà, non pioverà”. E chi aveva ragione?
—E allora? Non sono di zucchero, non mi sciolgo — rispondeva lei, sorseggiando il caffè con il mignolo sollevato.
—Hai dimenticato l’autunno scorso, quando ti bagnasti i piedi? E il mese passato a curarti la bronchite? — s’infuriava lui. — Alla nostra età, bisogna stare attenti!
—Smettila di fare il vecchio brontolone. Sto bene. Ordinami un altro cornetto, sono deliziosi qui.
Lui sorrideva, ordinava, e la guardava mangiare con gli occhi chiusi, canticchiando.
—Mi piace vederti mangiare — diceva. — Come fai a non ingrassare? Io, dopo l’ultimo intervento, devo forzarmi.
Purtroppo, un anno fa, Vittorio se n’è andato. Ma Caterina viene ancora, ogni sabato, puntuale. Ordina due cappuccini, ma ne beve uno. L’altro rimane lì, intonso.
Si siede vicino alla finestra, mescola lo zucchero e tace. A volte piange, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di batista.
Capisco che in quei momenti è meglio non disturbarla. I suoi ricordi sono solo suoi.
Una volta mi confessò la loro storia. Si erano conosciuti in biblioteca, quando lei cadde da una scala e lui la aiutò.
—Mi chiese se stessi bene, ma io non riuscivo a parlare — mi raccontò. — La gonna si era alzata, ed ero morta dalla vergogna. Poi vidi i suoi occhi da vicino, e ne fui travolta.
Si sposarono tre mesi dopo.
—L’ho saputo subito che era l’uomo giusto — disse. — Non mi sono mai pentita. Quando ero malata, mi portava il tè con il miele e mi copriva i piedi. Mi manca, Elisabetta. Quando chiudo gli occhi, sento ancora il rumore del suo bastone.
La proprietaria del bar spesso le offriva il caffè, ma Caterina rifiutava sempre.
—Nella vita, tutto si paga.
Oggi, dopo aver pagato, è uscita lentamente, appoggiandosi al bastone. L’ho guardata allontanarsi e ho pianto.
Vorrei avere la sua fede.
Sul tavolo restano due tazze: una vuota, l’altra piena.
Finché ci saranno persone così, varrà la pena vivere. E amare. Nonostante tutto.
*La vita ci chiede pazienza, ma a volte ci regala storie che valgono più di mille monete.*