22 novembre 2025
Oggi il mio pensiero si è fermato sulla vecchia credenza di mogano che occupa langolo della nostra camera condivisa con i genitori. È una credenza enorme, di quel legno scuro che sembra aver assorbito i profumi dei mille anni di casa. Le ante, troppo pesanti per le mie piccole mani, cigolano e gemono come un vecchio carro da tiro ogni volta che le apro. Dentro ho sparso i miei semplici tesori: un orsetto di peluche con lorecchio lacerato, un clown con un enorme cappello blurosso che la mamma mi ha regalato a Capodanno, e un cavallino di plastica. Ah, quel cavallino! Un tempo era nero come la notte, con una criniera lucente al colore delle ali di un corvo. Col tempo la plastica si è screziata al sole, ma la criniera è rimasta quasi intera. Lo nutrivo di erba di plastica, convinto che fosse reale.
Quella credenza è il mio Narnia personale, il luogo dove accadono le più grandi avventure: il clown diventa un cavaliere che cavalca il mio cavallo nero per difendere una principessa da un orso minaccioso. Non ho ancora inventato cosa succeda dopo la vittoria del cavaliereclown; la nonna, infatti, appare sempre nei momenti più intensi della mia immaginazione, pronta a chiamarmi a raccolta.
La nonna mi spaventa da sempre. Le sue mani sono sempre sporche di terra, come se avesse scavato tutto il giorno nei campi, e il suo volto è rugoso, simile a un campo appena arato. La voce è forte e squillante, come il latrato del nostro cane Briciola, che passa lintero anno nella cuccia fuori, dove in inverno il gelo lo costringe a raggrinzire sotto la neve. Una notte particolarmente gelida ho deciso, in pigiama di flanella con gli orsetti e i calzini spaiati, di uscire di soppiatto per salvare Briciola. A metà del cammino mi ha fermato la voce agitata della mamma, con il suo cappotto appeso alla spalla, e le urla della nonna:
Luca, dove sei?
Torna subito, sciocco! Dove vai a mettere le mani?!
Il mio papà è sempre assente, come un lavoratore a distanza che viaggia su lunghi treni. Non capisco bene cosa faccia, ma so che è più importante di me. Quando ritorna, mi dona lorologio da tasca di suo padre: due lancette grandi, una piccola e una grande, che si incontrano a mezzanotte, e la data sul quadrante segna il 12. Mi dice: Tienilo al sicuro, è il tuo piccolo grande uomo. Ne sono fiero, ma mi sento a disagio quando vedo il mio amico Federico che la domenica mattina salta con il padre per pescare con le loro canne: il papà ha una canna grande, Federico una piccola e un secchiello dove non riesce mai a prendere nulla di buono.
Cè anche Concetta, una bambina della mia età che io, onestamente, trovo un po lenta perché non sa leggere ancora. Io, a cinque anni, riesco a leggere ad alta voce i cartelli Farmacia e Ottica (anche se non capisco bene la differenza). Ogni domenica, Concetta si siede orgogliosa sul bianco furgone del padre e va al mercato con lui.
Sogno il giorno in cui papà mi porterà sul suo grande camion, dove lui lavora, e partiremo insieme per gli affari da uomini. Ma nei rari momenti in cui è a casa, il clima è teso: lui e mamma litigano, mamma piange, la nonna sbuffa, e papà sbatte la porta uscendo a fumare. Mi rifugo nella mia credenza, stringendo lorsetto, e piango. Gli uomini veri non piangono, ma né lorsetto né il clown diranno nulla. Sarà il nostro segreto.
Era il compleanno di mamma. Mentre correvo dal cortile, ho visto papà con una giovane donna in un vestito rosso, che rideva e stringeva un grande mazzo di rose. Ho pensato immediatamente: Per mamma! Oggi è il suo giorno!. Il mio cuore ha fatto un balzo di gioia.
La sera, mamma e nonna hanno apparecchiato una tavola festosa: patate al forno appena sfornate, aspic che tremolava nei piccoli bicchieri, cetrioli croccanti dal ripostiglio e una torta enorme decorata con rose di crema rosa. Manca una sola rosa sulla torta: lho presa prima che tutti fossero seduti. Quando papà è tornato, teneva un mazzo diverso: semplici crisantemi bianchi avvolti in carta grigia. Mamma è raggiante, mi abbraccia al collo e ride come una bambina.
Ho deglutito laria, pronto a chiedere dove fossero le rose rubate, ma ho guardato la mamma nel suo nuovo vestito rosa, i suoi guance arrossate per la gioia o per il ballo, e ho taciturnamente lasciato perdere.
Più tardi, seduto di nuovo nella mia credenza buia, tra lorsetto e il clown, giro lorologio di papà sul polso. Le lancette sono immobili, come se fossero state congelate. Provo a farle muovere, ma è inutile. Le lacrime minacciano gli occhi, ma questa volta non piango. Capisco che piangere non serve più: non sono più il bambino che attende il papà sulla strada.
Ripongo lorologio sullo scaffale, tra lorsetto e il clown, e chiudo delicatamente la credenza. Nella mia Narnia non ci saranno più magie.
Mamma canta a mezza voce mentre apre i regali. Mi avvicino, la stringo per la vita e sento un tremore.
Sono con te, mamma, sussurro, fermo e deciso. Sarò sempre con te.






