Due Nonne Vivevano In Una Casetta…

Caro diario,

oggi compio ottantuno anni e, nonostante la mia età avanzata, ancora mi trovo a raccontare le vite di quelle due anziane che abitano la cascina di Montepiano, nei pressi di Perugia. Loro sono Maddalena, ottantadue anni di età, e Livia, ottantaquattro. Non sono sorelle né consanguinee, ma per quindici inverni hanno condiviso la stessa fiamma del camino e il poco che il risparmio può offrire: il fuoco brucia a metà, la legna è meno di prima, e cè sempre qualcuno con cui scambiare una parola quando la solitudine inizia a farsi sentire come un rintocco nella testa.

Lì vivono in casa di Livia, perché la sua è più solida; la vecchia dimora di Maddalena è stata smantellata per diventare legna da ardere. Da cinque anni si scaldano con quel focolare e non conoscono più la penuria. Un tempo avevano un gregge di capre, galline e un orto, ma col tempo è diventato più difficile curare tutto. Lestate scorsa non hanno più potuto arare il prato, e alla fine dellanno anche accendere il forno è divenuto unimpresa ardua.

Una volta a settimana il nipote di Livia, Savio, trentacinque anni, arriva in moto con una grossa borsa piena di pane casereccio, ciambelle, tè e zucchero. Con questi pochi ingredienti riescono a nutrirsi; a volte cucinano patate sul fornello a gasolio. Quando lo vedono, le due anziane piangono.

«Se mi fai piangere, non verrò più a trovarti», le implora Savio.

«Basta, non più lacrime», gli rispondono, cercando di tranquillizzarlo.

Savio scarica frettolosamente la provvista, porta lacqua dal pozzo, carica la stufa di legna, così loro devono solo accendere un fiammifero. Lo manda via con la frase: «Che altro vi serve? Torno tra una settimana, ordinate e io torno». Poi parte, il motore ruggente come un gallo allalba.

Nelle brevi notti estive non dormono. Una volta, Livia sussurra:

«Non riesci a dormire, Livia?»

«No, non chiudo occhio. Ho riposato un po di sera, ma ora non cè più sonno nella mia testa».

«Anchio», risponde Maddalena. «Di cosa pensi?»

«Di tutto», ribatte Livia.

«Io del cielo comè lassù? Nessuno lo saprà mai».

«E non lo saprà mai», concluse Livia.

Le due donne, seppur indebolite, mantengono la mente sveglia, talvolta più lucida che ai tempi della gioventù, perché lesperienza consente di vedere più a fondo. A volte però la memoria vacilla, e le parole si intrecciano. Una notte, Maddalena si alzò e cominciò a vestirsi.

«Dove vai?» la chiamò Livia.

«A casa».

«Ma la tua casa è qui!».

«No, no, vado a casa, a casa», ribatté Maddalena, scuotendo la testa, poi, giunta alla porta, esitò, tornò indietro, si spogliò e si rimise a letto.

Livia non disse nulla; capì che nella mente di Maddalena cera stato un breve spavento, un soffio di confusione, ma nulla di permanente.

Nonostante la tristezza, non si arresero al pianto. Livia, con il suo sorriso di bambola, cercava di tirare su lumore:

«Ascolta il mio ragionamento un po sciocco: il mondo non è privo di cuori buoni. Savio ci porta provviste, abbiamo legna, viviamo nella nostra casa, con il riscaldamento e la luce. La pensione ci arriva. Che altro ci serve?»

«Tu canti bene, hai un nipote. Io sono sola», rispose Maddalena. «Se le mie forze mi abbandoneranno, finirò in una casa di riposo».

«Non ti lascerò, non ti abbandonerò! Finché io muovo un passo, sarai vicino a me. E se dovessi finire anche nella casa di riposo, troveremo comunque gente buona».

Quelle parole riaccesero la vivacità di Maddalena, e Livia brillò di gioia.

Le due amiche parlavano della loro vita, di guerre passate, di figli cresciuti. Maddalena ebbe quattro figli, Livia due. Il marito di Maddalena morì di appendicite acuta dopo esser stato trasportato su una carrozza traballante per la malattia durante la mietitura. Uno dopo laltro i quattro figli di Maddalena morirono, e la donna sopportò la perdita senza impazzire, grazie a una forza interiore quasi sovrumana. Raggiunse gli ottantacinque anni senza amarezza, solo un leggero retaggio di dolore.

Luomo di Livia non tornò mai più; un figlio tornò invalido, sposò una donna in città, ma morì a trentasette anni. La nuora di Livia si risposò, e Savio, ora più adulto, rimase a prendersi cura della nonna. Livia ringraziava il Signore per la sua sopravvivenza: non aveva perso tutta la famiglia, aveva un nipote che la sosteneva, e lui stava per avere dei nipotini.

«E allora, cara, di che cosa abbiamo davvero bisogno? Un pezzo di pane e una tazza di tè bastano per stare sazi tutto il giorno. Hai qualche desiderio?», le chiedeva Livia a Maddalena.

«Niente, solo che Dio mi faccia morire in estate», mormorava Maddalena.

«Il tempo arriverà, moriremo», le rispose Livia.

Con larrivo della primavera, le due vecchiette, ancora vestite con spesse pellicce e scialli, uscivano nel cortile, si sedevano su una panchina, si scaldavano al sole e annusavano laroma della terra. La primavera, per loro, era una festa di rinnovamento, ma anche di malinconia, perché il profumo dellerba fresca ricordava giorni più felici.

Passavano ore nello stesso modo: le mani appoggiate a un bastone, il viso rivolto al sole, gli occhi che brillavano appena. Quando volevano parlare, il volto si animava, masticavano le labbra.

«Che bello invecchiare!», diceva una. «Il caldo, i fiori, lerba verde, gli uccelli che cantano».

«Sì», concordava laltra. «La terra è soffice come piuma, facile da scavare».

Una mattina di mezza estate, Maddalena fu colta da unansia improvvisa. Si sedette un attimo sulla panchina, poi tornò in casa, scalò le scale con fatica, le mani tremanti come ali di uccello, si appoggiò al muro e, incerta, si lasciò cadere sul letto, emettendo un gemito quasi impercettibile.

Livia notò subito il cambiamento e la seguì. Il volto di Maddalena si fece più scuro, gli occhi più spenti; Livia capì che il tempo di Maddalena stava per finire e iniziò a vegliare su di lei.

Maddalena tentò di alzarsi, ma cadde di nuovo sul fianco sinistro, poi si girò sulla schiena, agitandosi sul cuscino. Livia si avvicinò più volte per aiutarla, ma si rese conto di non poter fare nulla se non osservare.

Al tramonto, Livia sentì un lieve respiro nella stanza, poi più nulla. Il cuore le batteva lentamente, quasi si fermò, ma poi riprese, tre o quattro volte, per poi cessare per sempre.

«Che dolore!», esclamò Livia a tutta la casa. «Chi mi ha lasciata?».

«Come dovevamo stare, sorelle!», piangeva. «Quando arriverà Savio? Con chi parlerò?».

Queste domande la tennero sveglia tutta la notte, finché lalba non la trovò ancora in lacrime.

Al mattino, il ruggito della moto di Savio squarciò il silenzio; le sue gambe, forse più giovani, lo portarono sul portico.

«Gli angeli ti hanno portato qui, Savio», disse Livia. «Maddalena è morta».

Il volto di Savio impallidì.

«Come vivrò da sola?», chiese Livia, sedendosi sulluscio e piangendo.

«Non ti lascerò, non ti abbandonerò. In inverno verrai a vivere con me».

«Vorrei morire questestate, che Dio mi conceda».

«Ancora la stessa storia!», sbuffò Savio. «Ma tu sei la mia famiglia, la tua figlia è unaltra, e io sarò ancora un peso per voi».

«Non serve a nulla parlare».

Livia e Savio trascorsero due giorni a gestire le faccende; Livia, sconvolta, sembrava improvvisamente più energica, come se lo spirito di Maddalena lavesse posseduta.

Poi Livia, sola, fu sopraffatta da una tristezza profonda per la perdita della compagna. Per quindici anni di convivenza, le due erano più legate di sorelle, ognuna laltra metà. Mai litigarono, mai si incolparono; capivano che vivevano solo perché erano insieme e temevano la solitudine.

«Che fortuna la tua!», gelosamente commentava Livia a Maddalena in passato. «E io cosa?».

Savio la faceva visita quasi ogni giorno, a volte restava a dormire; portava ciambelle e fette biscottate che Livia inzuppava nel tè, ma neanche quelle delizie le davano conforto.

A metà estate, mentre Livia sistemava la casa, udì chiaramente la voce di Maddalena:

«Ehi, vecchia, sei rimasta qui a ficcanasare!».

Aprì la porta del corridoio: nessuno. Girò intorno al giardino, mosse un bastone tra le ortiche; nulla. Eppure la voce era lì, come un eco nella sua mente.

«Deve essere il mio cuore che la richiama», pensò, sentendo le braccia e le gambe indebolirsi. Raggiunse il baule, prese un sacco di vestiti preparati, li pose sul tavolo e si coricò.

Non sapeva se era giorno o notte fuori; non sapeva quanto tempo fosse rimasto, forse ore, forse giorni. Sentiva la vita spegnersi, ma non provava dolore, solo una strana pace. Nella sua mente comparvero flash di ricordi: una bambina di tre anni su un prato fiorito con la nonna, il marito giovane in camicia bianca, i figli che lavoravano nei campi, il suono ritmico del piccone, lodore di paglia e di olio di lino. La sua esistenza sembrava alternarsi tra un’eternità e un attimo.

Savio, arrivato in moto, trovò la nonna senza vita, gettò la testa sul tavolo accanto al sacco e scoppiò in un pianto inconsolabile.

Ho capito, caro diario, che la forza di un legame umano può tenere accesa una luce anche quando il fuoco si spegne. La vita è un dono fragile, ma quando ci si prende cura luno dellaltro, il tempo si riempie di significato. Non lasciamo che la solitudine ci consumi; cerchiamo la compagnia, offriamo il nostro sostegno, perché è proprio lamore condiviso che rende la nostra esistenza degna di essere vissuta.

Con gratitudine,
Giovanni.

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