DUE TAZZE DI LATTE

DUE CAFFÈ LATTE.

“Buonasera, Signora Tamara! Come al solito, due caffè latte?” chiesi sorridendo, osservando il viso rugoso ma ancora affascinante della clientessa tardiva.

“Ciao, Livia! Sì, due caffè latte, per favore. E magari anche un cornetto, se non ti dispiace,” rispose Tamara, appoggiando il bastone alla sedia e sedendosi con fatica al tavolo vicino alla finestra, mascherando una smorfia di dolore.

“Eravamo tutti preoccupati! Cosa è successo oggi per farle cambiare routine? Non credo che si sia dimenticata che giorno è. Sono persino uscita a cercarla,” dissi, lanciando un’occhiata alla nuova cameriera per darle le indicazioni.

“Tesoro mio, quello che temete mi accadrà, prima o poi, ma non oggi!” Rise, ma la stanchezza si leggeva chiaramente sul suo volto. “Il bancomat mi ha ingoiato la carta stamattina. Ho dovuto andare in banca rifarla, e c’era una coda infinita! Pare che tutte le signore del quartiere abbiano deciso di fare operazioni finanziarie oggi, di sabato!”

Le sue mani, sempre avvolte in guanti di pizzo nero, tremavano leggermente, e il sorriso si era affievolito. Gli anni non passano invano, purtroppo.

Lavoro come responsabile in una piccola caffetteria nel cuore di Firenze, una città che custodisce mille storie e segreti. Ho iniziato qui a quindici anni, volendo comprare a mia madre un telefono nuovo. All’inizio lavavo i piatti e pulivo i pavimenti, ma poi sono diventata cameriera. Ora studio psicologia all’università, ma lavorare qui è la mia vera scuola di vita.

Il caffè che serviamo ha il potere di risvegliare ricordi e confidenze. Osservare le persone è la mia passione: ragazzi chiassosi, coppie innamorate che si guardano negli occhi, signore eleganti con gentiluomini maturi, mamme con bambini curiosi.

Tra i clienti più affezionati c’era una coppia indimenticabile: Tamara e Marco. Venivano ogni sabato, senza mai mancare, sotto la pioggia, il sole o la neve. Era un rituale sacro.

“Sei tutta bagnata, testarda! Te l’avevo detto di portare l’ombrello! Ieri sera già mi duolevano le ossa, e tu ancora a dire che non avrebbe piovuto!” brontolava Marco, mentre Tamara sorseggiava il caffè con aria composta, il mignolo sollevato.

“Non è successo niente. Non sono di zucchero, non mi sciolgo!” ribatteva lei, fingendosi irritata.

“Lo dici a me? Ricordi l’autunno scorso, quando ti sei bagnata i piedi per quelle pozze? Poi un mese a curarti la bronchite! A questa età, bisogna essere più prudenti.”

“Ma smettila, sembri un vecchio brontolone! Ordina invece un altro cornetto alla cannella, sono buonissimi qui.”

Marco sorrideva, ordinava il dolce, e la guardava con adorazione mentre lo mangiava con gusto, gli occhi chiusi per il piacere, canticchiando una canzone sottovoce.

“Mi piace vederti mangiare così,” diceva. “È più bello che farlo io stesso. Eppure, come fai a non ingrassare? Io, dopo l’operazione, faccio fatica a mandar giù un boccone.”

Purtroppo, un anno fa Marco se n’è andato. Ma Tamara continua a venire, puntuale. Ordina sempre due caffè latte, ma ne beve solo uno. L’altro rimane intatto, sul tavolo. Si siede vicino alla finestra, mescola lo zucchero in silenzio, e fissa il vetro, come se aspettasse qualcuno. A volte piange, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di batista.

In quei momenti, la lascio sola con i suoi ricordi. Non si vendono all’asta, né si comprano con tutto l’oro del mondo.

Una volta mi ha raccontato la loro storia. Si erano conosciuti in biblioteca, quando Tamara, timida diciottenne, era caduta da una scaletta. “Ti sei fatta male?” le aveva chiesto Marco, aiutandola a rialzarsi. “Ero così imbarazzata, con la gonna sollevata! Ma poi ho visto i suoi occhi… un vortice in cui sono affondata. La sua voce mi faceva perdere la testa.”

Si erano sposati dopo tre mesi. “L’ho saputo subito, era l’uomo giusto. Non mi sono mai pentita. Quando ero malata, mi portava il tè con marmellata di fragole, mi copriva con le coperte… Mi manca tanto, Livia. Metà di me è andata via. Ma credo che ci rivedremo. Per ora… devo solo resistere.”

La proprietaria del bar le offriva spesso il caffè, ma Tamara rifiutava sempre. “Nella vita, tutto si paga,” diceva.

Anche quella sera, pagato il conto, Tamara uscì lentamente, appoggiandosi al bastone. La guardai allontanarsi, curva e dignitosa, e mi vennero le lacrime agli occhi. Vorrei avere la sua fede. Ho deciso di conoscerla meglio, di scoprire cosa la tiene a galla.

Sul tavolo, due tazze: una vuota, l’altra piena.

Finché ci saranno persone così, varrà la pena vivere. E amare. Nonostante tutto. Amare…

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