«Livia, dove sei? Devo uscire subito, vieni qui subito!»
Il messaggio di Elena appare sullo schermo del telefono verso le dieci di mattina. Ginevra posa la tazza di caffè a metà e si sfrega il naso. È la terza volta in una settimana. La terza volta che sente subito. La terza volta che sente immediatamente.
«Non posso, sto lavorando», digita e torna al portatile. Un minuto dopo il cellulare vibra di nuovo.
«Che lavoro? Sei a distanza! Chiudi il laptop e vieni. Alessio e Sofia sono soli, devo uscire.»
Ginevra sorride. Elena e Dario vivono a casa da un anno e mezzo. Lui finge di cercare un lavoro dignitoso, lei si occupa dei bambini. In realtà luomo trascorre le giornate a sfogliare forum, la sorella a chiacchierare con le amiche e a vedere serie TV. Se non fosse per leredità che Dario ha ricevuto, la famiglia starebbe a stomaco vuoto.
«Ho una scadenza fra tre ore. Chiama mamma», risponde Elena subito, come se avesse il dito sul tasto invio.
«Mamma è occupata! Ginevra, davvero, che ti costa? Vivi a due passi!»
«Non posso», replica Ginevra. «Davvero occupata.»
Il telefono squilla. Lì, la sorella decide di passare allattacco.
Ginevra, ma che assurdità! Elena non si ferma nemmeno a salutare. Ti chiedo aiuto come si deve!
E io ti spiego come si deve: ho lavoro.
Che lavoro? Stai a casa davanti al computer, sei anche tu, grande lavoratore!
Ginevra chiude gli occhi. Sempre la stessa sceneggiatura.
Lena, il cliente aspetta il progetto. Se non lo consegno non mi pagherà. Senza pagamento non pago laffitto. È chiaro?
Dio, che importa se ti ritardi di un giorno! Siamo parenti, Ginevra. Parentela! Capisci davvero cosa significa?
Capisco, ma ora non posso.
Allora non vuoi, la voce di Elena si ghiaccia. Così, semplicemente, non vuoi aiutare la tua stessa sorella, i tuoi nipoti! Che egoista, Ginevra.
Lena, io
No, ascoltami! Quando ho bisogno, tu hai sempre scuse, scappate! Siamo parenti, Ginevra, e tu non vuoi aiutarmi!
Ginevra quasi ride. Nellultimo mese ha passato almeno dieci giorni da Elena, ha nutrito i bambini, li ha messi a letto, letto fiabe, raccolto giocattoli sparsi. E ogni volta Elena spariva per due ore, che si trasformavano in unintera giornata.
Lena, devo davvero lavorare.
Scuse! Solo scuse! Inventi impegni inesistenti solo per non aiutare la famiglia!
Ginevra chiude la chiamata con le dita che tremano per la frustrazione. Inspira a fondo, prende un sorso di caffè ormai freddo e ritorna al progetto. Dopo unora il telefono rianima: tre messaggi persi di Elena, due sms, una segreteria di quattro minuti. Ginevra non risponde. Sa già che dentro ci saranno accuse, rimproveri, pianti a fare leva sulla pietà.
A sera i messaggi sono dodici, tutti varianti di siamo parenti, perché non aiuti. Ginevra li legge con crescente senso di assurdità. Elena e Dario, due adulti, chiedono che la sorella occupata abbandoni tutto per fare la babysitter dei loro figli.
Il giorno seguente la storia si ripete, poi ancora il giorno dopo, e così via. Elena chiama trequattro volte al giorno, manda lunghi messaggi in cui Ginevra è egoista, senza cuore e dimenticata della famiglia. Dario non interviene, esiste solo sullo sfondo.
Ginevra smette di rispondere alle chiamate. Basta, riporta la sua vita, i suoi piani, i suoi sogni, e non intende sacrificarli per i capricci altrui.
Sabato chiama la madre.
Ginevra, che succede? Valentina Petroni suona severa e giudicante.
Non succede nulla, mamma. Lavoro.
Lena dice che ti rifiuti di aiutare con i bambini.
Lena dice tante cose. Non mi rifiuto di aiutare. Rifiuto di abbandonare il lavoro ogni volta che le viene in mente di sparire.
Ginevra, è tua sorella. La sorella maggiore. I più piccoli devono aiutare i più grandi, è sempre stato così.
Mamma, Lena ha trentanni. Ha un marito. Stanno entrambi a casa tutto il giorno. Perché dovrei fare la loro babysitter?
Perché siamo famiglia! la voce di mamma si fa più dura. Che egoismo è questo? Oggi non si fa più così! Ognuno aiuta laltro, nessuno rifiuta!
Ginevra si appoggia allo schienale della sedia. Per ventotto anni non ha saputo discutere con la madre. Valentina è sempre stata dalla parte di Elena. Fin da piccola: la figlia maggiore è la brava, la più bella, la responsabile; la minore è solo unaggiunta.
Mamma, non voglio più parlare di questo.
Ecco! Non vuoi neanche parlare con me! Sei cresciuta, hai trovato un lavoro e credi di poter fare a meno della famiglia?
Vivo la mia vita.
La tua vita è la famiglia! Ricordalo, Ginevra!
Lascolta, ma trae conclusioni diverse.
Le due settimane successive sono un incubo continuo. Elena chiama, scrive, invia foto dei bambini con didascalie tipo guarda quanto Sofia ti manca. La madre si intromette a giorni alterni, ripetendo gli stessi argomenti sui valori familiari e sul dovere verso gli anziani.
Non può durare così. Ginevra capisce: o si spezza e torna a fare la babysitter gratis, o deve cambiare radicalmente. Lofferta di lavoro in unaltra città arriva come un segnale. Buono stipendio, progetto interessante, possibilità di crescita. E, soprattutto, ottocento chilometri tra lei e la famiglia.
Ginevra accetta lo stesso giorno.
Fa le valigie in fretta e silenzio. Trova un inquilino per il suo appartamento, imballa le cose, compra il biglietto. Non dice nulla a nessuno. Sa che, se lo facesse, scoppierebbe una scenata così grande da farla rinunciare. Elena piangerebbe, la madre urlerebbe. E poi la convincerebbero a restare, tutto tornerebbe comera.
Basta.
Parto mercoledì mattina con un volo per Torino. La mattina invia a madre e sorella un messaggio: si trasferisce. Spegne il cellulare allaeroporto. Lo riaccende soltanto il giorno dopo, quando è già installata nel nuovo appartamento.
Quarantatré chiamate perse, diciotto messaggi, cinque segreterie. Per prima cosa ascolta la segreteria di sua madre.
Ginevra! Valentina quasi urla. Cosa hai fatto?! Come hai potuto partire senza dirlo a nessuno?! È un tradimento! Torna subito a casa!
La seconda è di Elena. La sorella piange al telefono, mescolando singhiozzi e accuse. «Come hai potuto lasciarci i bambini chiedono dove è zia Ginevra ci odi»
Ginevra finisce di ascoltare, cancella tutto e richiama sua madre.
Mamma, sto bene. Ho trovato un nuovo lavoro, mi sono trasferita.
Torna! Torna subito! Hai bisogno della famiglia!
No, mamma. Rimango qui.
Ginevra, non capisci! Lena ha bisogno di aiuto! I bambini
Lena deve occuparsi dei suoi bambini. O assumere una tata. O far smettere Dario di stare davanti al computer. Non devo aiutarla continuamente, mamma.
Riattacca senza sentire altri urli. Unora dopo Elena chiama di nuovo.
Ginevra, come puoi? Siamo sorelle! Devi stare vicino!
Non ti devo nulla, Lena. Sei una donna adulta. Risolvi la tua vita.
Ma i bambini
I tuoi bambini. I vostri. Crescetevi da sole.
Sai quanto è difficile per me!
Lo so. Ecco perché sono partita.
Le settimane successive Ginevra si abitua alla nuova vita. Una nuova città, un nuovo ufficio, nuovi colleghi. Va al lavoro, partecipa a progetti stimolanti. La sera torna in un appartamento tranquillo. Nessuna chiamata disperata, nessuna pressione.
I contatti familiari si affievoliscono.
Due mesi dopo incontra Massimo. Si conoscono a un aperitivo aziendale, scambiano numeri, si scoprono divertenti, intelligenti e totalmente normali. Niente drammi, nessuna manipolazione, nessun mi devi.
Un giorno Ginevra si accorge di sorridere senza ragione. Si sveglia al mattino e si rallegra per la giornata che lattende, senza pensare con rancore a quanti messaggi ha ricevuto da sua sorella durante la notte.
Sei mesi dopo è sul balcone di casa sua, con una tazza di caffè, a guardare la città che ora le è cara. Accanto a lei ronfa il gatto che ha adottato qualche settimana fa dal condominio. Nella stanza accanto Massimo prepara la colazione, facendo schioccare le pentole.
Solo la distanza lha liberata. Ottocento chilometri le hanno dato la migliore cura contro loppressione e le manipolazioni. Ha fatto la scelta giusta, partendo.
E ora è felice.






