È arrivato per restare

Lui è venuto per restare

Giorgio De Luca andava a far visita a qualcuno per la prima volta dopo tantissimi anni. Era diretto da una donna che occupava sempre più i suoi pensieri. Eppure, si era giurato tempo fa: niente più famiglie. Niente amore, niente matrimoni, niente dolore.

Dopo il divorzio con sua moglie, la vita era andata in rovina. Lei si era portata via il loro figlio di tre anni ed era partita per un’altra città. Giorgio aveva provato a lottare. Non ci credeva quando gli sussurravano dei suoi tradimenti. Poi, un giorno, glielo sentì dire direttamente, guardandola negli occhi: se ne andava con un altro — «è amore, sentimenti che con te non ho mai provato»…

Giorgio non la pregò di restare. Ma senza suo figlio, la vita perdeva senso. Era stato lui a crescerlo fin dalla nascita — si alzava di notte per dargli il biberon, lavava i pannolini, lo aiutava a muovere i primi passi. Erano un’unica cosa. E ora, era stato cancellato. Suo figlio era stato portato a mille chilometri di distanza. Quando Giorgio, fuori di sé, era andato a trovarlo, il bambino, ignorando i regali, gli si era seduto in grembo, gli aveva stretto la mano ed era rimasto in silenzio. Poi, quando il padre si era alzato per andarsene, il piccolo si era vestito e si era messo davanti alla porta:

— Voglio stare con papà. Vengo con te.

Lo avevano bloccato. A Giorgio era stato sbattuto il portone in faccia. Ma la voce del bambino aveva continuato a risuonare dalle scale: «Voglio papà!»

Basta. Divieto di visita. Solo rare telefonate, bonifici e pacchi. Per suo figlio era diventato una sorta di fantasma. Esisteva da qualche parte, ma era come se non ci fosse più…

Giorgio si era chiuso. Le donne c’erano state, ma appena si parlava di qualcosa di serio, spariva. Aveva paura. Non per sé. Per quel bambino che gli era stato strappato via.

Poi aveva visto Alina. A una presentazione. Un elegante vestito nero, capelli color rame, uno sguardo intenso. Era come se si fosse svegliato. Aveva raccolto ogni informazione su di lei: single, un figlio di tre anni, viveva con la madre, non frequentava uomini. Bella, intelligente, di principi.

Aveva cominciato a cercare pretesti per vederla. «Casualmente» appariva davanti al suo ufficio, vicino al negozio. Alina non lo respingeva, ma restava cauta. Il loro legame si era sviluppato lentamente. E ora — lo aveva invitato a casa sua. Per presentarlo a suo figlio e a sua madre. Era un segnale.

Giorgio si era preparato con cura: cappotto, sciarpa, profumo, un regalo — un enorme set di costruzioni. Era nervoso: il bambino l’avrebbe accettato? Sarebbero riusciti a trovare un’intesa?

Bussò alla porta.

— Chi è? — si sentì una vocina.

— Giorgio De Luca — rispose.

La porta si aprì. Sulla soglia c’era un bambino serio, con una camicia bianca e un papillon.

— Buongiorno. Prego, entri! La mamma tornerà presto dal supermercato. Mi ha detto di riceverla. Solo piano, per favore — la nonna dorme. Le fa male la testa. Avanti! Però… si tolga i pantaloni.

— Scusa? — Giorgio rimase interdetto.

— Beh, vengono dalla strada! La mamma dice che nei pantaloni ci sono i germi. Poi ci ammaliamo tutti. Bisogna toglierli subito, nell’ingresso. Qui dentro fa caldo, non si gelerà.

Il bambino parlava con assoluta serietà. Stava ripetendo parole sentite dagli adulti. Giorgio esitò.

— Posso tenerli? Sono puliti, nuovi. Non ho giocato con le macchinine. Se vuoi, li spazzolo. Io mi chiamo Giorgio, e tu?

— Dario. Come mio nonno. Molto lieto. Va bene, entri pure con i pantaloni, ma la mamma si arrabbierà. Ecco le ciabatte. Deve metterle!

— Certo. Il pavimento è importante.

— La mamma le ha comprate apposta per lei. Io non posso camminare con le scarpe. Solo se è urgentissimo, allora lungo il muro e saltando sul tappeto. A casa nostra è pulito non perché si pulisce, ma perché non si sporca. Così dice la nonna.

Giorgio sorrise. Il bambino era intelligente, vivace e voleva fare bella figura. Lo fissò con quegli occhi innocenti – e Giorgio sentì qualcosa di caldo stringergli il cuore.

— Ti ho portato un regalo. Un set di costruzioni. Ti piace costruire?

— Sì, ma non sono bravo. La mamma dice che imparerò. Presto compio quattro anni.

— Allora lo facciamo insieme. Ce la faremo?

— Tu… non sei qui solo per oggi, vero? Resti… per sempre?

Giorgio si accovacciò, incrociando lo sguardo di Dario.

— Voglio tanto restare. Mi accetti?

— Certo.

— Allora sposerò sicuramente tua madre.

— Pensa bene! Ti farà togliere i pantaloni nell’ingresso. È terribile!

— Troveremo un compromesso. Magari anche per te riesco a strappare un’eccezione.

Risero insieme. Una mano grande strinse quella piccola, e tra loro nacque un’intesa immediata.

Quando Alina tornò, non entrò subito in salotto. Sentì la voce di suo figlio:

— Qui avvitiamo il bullone, e la macchinina è pronta!

Alina sorrise, mentre sulla soglia sua madre osservava la scena.

— Allora, figlia mia… — sussurrò la madre. — È un brav’uomo. Si vede subito. Non è da tutti guadagnarsi così la fiducia di un bambino in pochi minuti. Forza, chiamali a tavola. Che tutto ti vada bene. È ora di tornare a vivere. Il tuo lutto è finito. Tutto quello che è stato, resti nel passato. Avanti, bambina mia. Davanti a te c’è solo luce.

Alina annuì e si asciugò gli occhi. Davanti, qualcosa di caldo si accendeva. La vita continuava. E una nuova iniziava, con chi era venuto per restare.

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