E c’è ancora amore

Oggi ho deciso di scrivere di quella volta in cui ho perso la testa e ho rischiato di perdere anche lei.

“Massimo, hai sbagliato strada. Dovevamo proseguire dritti,” esclamò Giulia, agitata.

“Ho fatto la scelta giusta,” risposi con calma, continuando ad addentrarmi nel bosco lungo una stradina sterrata sempre più stretta.

“Qui dovrebbe esserci una radura, ma non c’è nulla,” disse guardandosi intorno. “Torniamo indietro e riprendiamo la strada principale. Massimo, mi ascolti? Fermati!”

Ma io andavo avanti, ostinato. Lei capì che sapevo di aver sbagliato, ma non ammetterlo era questione di orgoglio. La strada si fece ancora più stretta, l’erba cresceva tra i solchi. La via per il paesino dovevano raggiungere avrebbe dovuto essere larga, battuta, e invece noi ci infilavamo sempre più nel folto.

“Fermati!” ripeté Giulia, esasperata. “Mi senti?”

“Dove vuoi che mi fermi? Non c’è nemmeno lo spazio per fare inversione. Aspetta che trovi uno slargo tra gli alberi…”

“Perché non hai ascoltato fin dall’inizio? Testardo come un mulo.” Incrociò le braccia e fissò il vuoto. “Non ammetterà mai di aver sbagliato. Cosa costa tanto?” pensava, furiosa.

I rami graffiavano la carrozzeria, foglie ingiallite cadevano sul cofano. Alla fine fermai l’auto. Nel silenzio opprimente che seguì, sentii solo il mio respiro affannato.

“Non potevi fermarti subito? Per colpa tua siamo finiti chissà dove. Per fortuna almeno non in una palude.”

“Quante volte te l’ho detto, non rompermi mentre guido,” sbottai.

Giulia aggrottò le sopracciglia. Girai la chiave e iniziai a fare retromarcia con cautela. Lei trattenne il fiato, fissando lo specchietto laterale, temendo che avremmo urtato un albero. Ci volle un’eternità per uscire da quel labirinto di sterrati. Un paio di volte rischiammo di impantanarci. Finalmente, tornammo sulla statale.

“Non potevi fare marcia indietro subito?” borbottò Giulia, più calma. La rabbia svanì non appena uscimmo dal bosco.

“Tu devi sempre avere ragione, vero? Non ti accorgi nemmeno di come mi correggi continuamente, come se fossi un incapace. Ti piace così tanto?” La mia voce era carica di risentimento.

“Ma che dici, Massimo? Quindi non ti sei fermato per ripicca? E ti sei sentito meglio? Ma qui hai sbagliato tu. E ora? Andiamo o no? Abbiamo già perso un sacco di tempo per la tua testardaggine.” Il suo umore era ormai definitivamente rovinato.

Ultimamente litigavamo spesso, trovando sempre il modo di punzecchiarci. Era solo una fase di assestamento o i nostri sentimenti si stavano raffreddando? Gli “occhiali rosa” erano caduti, e ora ci vedevamo per quello che eravamo, senza filtri. Le discussioni nascevano per sciocchezze quotidiane. Ma si sa, la vita è fatta di dettagli. E ignorarli è impossibile.

“Stai di nuovo dando ordini. Non te ne rendi nemmeno conto,” la rimproverai.

“Non sto dando ordini. Va bene, restiamo qui allora. Non ho più voglia di andare da nessuna parte.” Si sistemò sul sedile, reclinò la testa e chiuse gli occhi, mostrando chiaramente che non intendeva continuare la discussione.

Eppure tutto era iniziato così bene. Ci eravamo incontrati per caso in spiaggia. La sua amica era andata a cambiarsi, il sole scottava la sua pelle chiara e sensibile. Io ero l’unico lì vicino, abbronzato, disteso su un asciugamano. Mi aveva avvicinato con un tubetto di crema.

“Puoi aiutarmi? Mi spalmi la schiena? Altrimenti mi scotto.”

Avevo sorriso e preso il tubetto. Lei si era girata, e al contatto della mia mano sulla sua pelle, un brivido l’aveva percorsa. Mi confessò poi che in quel momento si era innamorata.

Si scioglieva come un gelato al sole, imbarazzata dal suo stesso corpo che tradisce i sentimenti. Poi si voltò.

“Grazie, il resto lo faccio da sola.” Riprese la crema e tornò al suo asciugamano.

Quando tornò la sua amica, andarono a fare il bagno insieme. Io le seguii, ci presentammo. All’amica piacqui, ma vedendoci così in sintonia, si fece da parte.

Da quel giorno non ci lasciammo più. Massimo, impulsivo e passionale, le piaceva proprio per questo. A lei, ragazza tranquilla e casalinga, mancava quel pizzico di follia nella vita.

Dopo un mese, superando le proteste dei genitori, Giulia si trasferì da me. Di solito ubbidiente, questa volta aveva insistito. Passione, novità, gioia nell’intimità… credeva che sarebbe durato per sempre. Se qualcuno le avesse detto che dopo un anno avrebbero iniziato a litigare, non ci avrebbe creduto.

Ma… le persone perfette non esistono, così come l’amore senza conflitti. Gli occhiali rosa erano caduti, e ora si vedevano per ciò che erano: imperfetti. E quell’uscita fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Giulia non voleva nemmeno andare. Non si sentiva a suo agio con i miei amici. Era stata in quella casa di campagna solo una volta, a Capodanno. Ricordava il percorso soprattutto per quella radura che si apriva poco dopo la deviazione dalla statale.

Io tacevo, tamburellando nervosamente sul volante.

“Smettila di battere le dita,” chiese lei.

Senti il mio sguardo su di lei, ma non aprì gli occhi. Avviai il motore e, alla prima pausa nel traffico, ripartimmo.

“Allora, indicami la svolta, sapientona,” dissi dopo qualche minuto.

Lei aprì gli occhi e guardò fuori.

“Credo che l’abbiamo già superata,” ammise, colpevole.

“Non dire che è colpa mia stavolta. Potevi fare attenzione,” risposi seccato. “E ora?”

“Fermati qui.”

Questa volta obbedii subito. Un’auto ci superò suonando il clacson.

“Non andiamo da nessuna parte,” disse improvvisamente Giulia.

“Perché?” chiesi sorpreso.

“Tutto è andato storto. Non mi va più.”

“Ecco le solite storie femminili. Voglio, non voglio, sento, mi sembra… Siamo quasi arrivati e tu vuoi tornare indietro? Non fare la sciocca, Giuli. Ma dove vai?” esclamai vedendola aprire la portiera.

“Non vengo. Non voglio litigare ancora. Tu vai pure, i tuoi amici ti aspettano,” rispose sarcastica, sbattendo la portiera.

“Giulia, basta. Sali in macchina. Dovevi dirmelo subito che non volevi venire.”

“Te l’ho detto subito!” rispose allontanandosi.

Anch’io scesi e la raggiunsi.

“Dove vai? Qui è pericoloso. Torna in macchina.” La presi per il braccio.

“I tuoi amici ti aspettano. Qui passano gli autobus.” Si liberò.

“Ultima volta che te lo chiedo, sali,” dissi, trattenendo a stento la rabbia.

Lei rimase in silenzio, fissando la strada.

“Come vuoi,” sbottai, tornando all’auto.Si voltò un’ultima volta, sperando ancora di vedermi tornare indietro, ma ormai avevo deciso di non lasciarmi più vincere dalla mia ostinazione e, aprendo la portiera, la raggiunsi sotto la pioggia battente, stringendola forte mentre le promettevo che da quel momento avremmo sempre trovato la strada insieme.

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