E chi è il mio padre?

— Chi è mio padre?

— Gaia, andiamo al cinema domenica?

— Non so. Mia mamma non mi lascia uscire la sera. Solo di pomeriggio.

— Allora andiamo di pomeriggio. Posso comprare i biglietti? — chiese speranzoso Luca.

Gaia alzò lo sguardo verso le finestre del terzo piano. Le era sembrato di vedere il volto di sua madre dietro i vetri? L’umore le si guastò all’istante. Prese la borsa dalle mani di Luca e fece un passo indietro.

— Va bene, vado. A domani. — Si diresse in fretta verso il portone.

“Mi controlla sempre, come se fossi una criminale. Tutte le ragazze escono con i ragazzi la sera, e a me è permesso solo di giorno. Tutti hanno genitori normali, io invece…” pensava irritata, salendo le scale verso l’appartamento.

Entrò in casa, si tolse le scarpe cercando di non fare rumore. Spense la luce nell’ingresso e sgattaiolò verso la sua stanza, passando davanti alla porta della madre.

— Hai mangiato? — La voce di sua madre la raggiunse mentre stava per aprire la sua porta.

Gaia roteò gli occhi e si girò.

— E se non avessi mangiato? — rispose con tono provocatorio.

— Perché mi rispondi così?

— Perché mi controlli sempre?

— Non ti controllo. Ho solo guardato dalla finestra.

— Certo. Non mi sembra che tu guardi dalla finestra quando sono a casa — ribatté sarcastica. — Ho da studiare. — Entrò in camera e sbatté la porta. Accese la luce e contò mentalmente: «Uno, due, tre…»

Di solito, al quinto conteggio, sua madre entrava urlando, dicendo di non meritarsi quel trattamento, che sua figlia era diventata insolente e maleducata. Ancora un gesto del genere, ancora una porta sbattuta…

Arrivò a dieci, ma sua madre non entrò. La cosa la incuriosì. Si cambiò, tirò fuori libri e quaderni e si sedette alla scrivania.

Aveva fame, ma come poteva mangiare in pace? Se fosse andata in cucina, sua madre si sarebbe seduta di fronte a lei e avrebbe iniziato un interrogatorio. Come non rispondere male? Sentì i passi della madre fermarsi davanti alla porta e chinò la testa sul libro, fingendo di studiare. “Ecco, adesso inizia.”

— Ti disturbo? — La madre entrò nella stanza.

Una novità assoluta. Di solito irrompeva senza chiedere permesso.

— Devo dirti una cosa — disse, sedendosi sul letto.

Gaia continuava a fingere di leggere, ma in realtà non vedeva una parola. Aspettava tesa.

— Mi ha chiamato una donna… Con lei viveva tuo padre… Mi ha detto che è morto… Il funerale è domani.

— Come è morto? — Gaia sollevò lo sguardo dal libro, spaventata.

— Infarto. Se vuoi venire, metti qualcosa di scuro.

— E tu lo dici con tutta questa calma? — Si alzò di scatto, facendo stridere la sedia sul pavimento. — Ti senti? “Se vuoi venire”? Stai parlando della morte di mio padre!

— È impossibile parlare con te — sospirò la madre alzandosi. — Tra l’altro, ci ha abbandonati. L’hai dimenticato?

— Perché tu non lo amavi! — Gaia sentì le lacrime salirle alla gola.

— Non urlare. Non parlare di cose che non conosci.

— Lo so. Me l’ha detto lui prima di andarsene. Disse che tu non lo avevi mai amato. Perché l’hai sposato? Sarebbe stato meglio se fossi andata via tu e ci avessi lasciati insieme. Lui mi amava, a differenza tua. — La voce le si incrinò. Si sedette, appoggiò la testa sulle braccia e scoppiò a piangere.

Sentì la mano della madre sulla spalla e si scosse, scrollandola via.

— Domani chiamo la scuola per dire che non verrai — disse la madre prima di uscire.

Dopo essersi sfogata, Gaia prese un album di foto dal cassetto e si sedette sul letto. Trovò una delle poche foto in cui erano insieme: lui sorrideva, e lei stringeva in mano un batuffolo di zucchero filato. Strappò la foto dall’album e la osservò a lungo tra i singhiozzi.

***

Suo padre se n’era andato quando Gaia era in quinta elementare. Non aveva mai sentito i suoi litigare, quindi il divorzio fu uno choc. In casa regnava il silenzio. Non scherzavano, non si prendevano in giro, non si baciavano come i genitori della sua amica.

— Papà, te ne vai davvero? — gli chiese quando la venne a prendere a scuola.

— Non posso continuare così. Tua madre non mi ama. Ho resistito il più possibile.

— Io ti amo — gli disse.

— Anch’io. — Le accarezzò i capelli. — Capirai da grande. Ascolta tua madre. — L’accompagnò a casa, ma non entrò.

— Papà! — gli gridò dietro, ma lui non si voltò.

— Ha un’altra donna — le spiegò poi sua madre.

— E figli?

— Non lo so, forse…

***

— Gaia, svegliati. — La voce della madre la strappò dal sonno. — Presto andiamo all’obitorio.

A quelle parole, si sedette di colpo e cercò freneticamente tra le coperte.

— Cerchi questa? — La madre indicò la foto sulla scrivania. — Sbrigati, faremo tardi. — Uscì dalla stanza.

Gaia indossò jeans e un maglione nero. In cucina, la madre beveva un caffè, ma lei non riusciva a mangiare. Restò in silenzio, fissando la finestra.

— Pronta? Andiamo. — Non dissero altro fino all’ospedale.

Nell’obitorio c’era poca gente. Gaia non riconobbe nessuno. Una donna paffuta piangeva accanto alla bara. Capì che era lei ad aver chiamato.

Un tremito nervoso la percorse. L’uomo nella bara non somigliava a suo padre. Lo guardò una volta, poi distolse lo sguardo, fissando la sua foto in cornice. La madre rimase impassibile, come se fosse il funerale di un estraneo.

Presero l’autobus per il cimitero. Due donne parlavano alle loro spalle, bisbigliando di come la vedova fosse rimasta sola, senza figli.

Al cimitero faceva freddo. Un vento pungente le faceva lacrimare gli occhi. Quando chiusero la bara, tutti piansero, tranne sua madre.

Non andarono al rito funebre. Gaia ne fu contenta. Non avrebbe ingoiato un boccone.

— Davvero non lo amavi? Non potevi almeno fingere? — disse Gaia tornando a casa. — Ha fatto bene ad andarsene. — Si alzò e tornò in camera.

Si rannicchiò sotto la coperta, cercando di non pensare. Al calar della sera, la madre entrò e si sedette ai suoi piedi. Gaia finse di dormire.

— L’uomo che abbiamo seppellito oggi non era tuo padre — disse la madre.

Le parole non ebbero subito effetto. Gaia si girò di scatto.

— L’hai inventato adesso per consolarmi?

— Lui non voleva che tu lo sapessi. Ti ha sempre trattata come una figlia. Ma ora è morto. Voglio che tu sappia. Capirai più tardi.

— Allora chi è mio padre?

— Ne parleremo un’altra volta.

— No, dimmelo ora. — Si sedette, allontanandosi.

La madre esitò.

— Frequentavo il liceo. Mi innamorai di un ragazzo più grande. Quando seppi che sarebbe partito per— Era il mio primo amore, ma lui mi ha usata e abbandonata, e tu sei la prova che a volte il destino ci riserva dolori più grandi di quelli che pensiamo di poter sopportare.

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