Caro diario,
stasera sono tornato a casa e ho sentito subito il silenzio sospetto che avvolgeva lappartamento di via dei Sabelli. Dormono tutti? mi sono chiesto, mentre il corridoio sembrava avvolto da una nebbia. Dalla cucina sono usciti, pallidi, la moglie e la piccola Ginevra, con quellespressione da chi avesse appena incrociato un fantasma. Sulle braccia di Ginevra cera un gattino, gli occhi ancora pieni di timidezza.
Era buio, ma il cucciolo sembrava ormai abituato alloscurità; la sua piccola pelliccia non tremava più. Sapeva che presto la mamma, Lucia, sarebbe tornata, lo accudirebbe, lo leccherà dalla punta della coda fino alla piccola faccia a baffi e poi si accoccerà accanto a lui, cantandogli una ninna nanna. Così il piccolo non avrebbe più avuto paura.
Questa volta però Lucia si era trattenuta più a lungo del solito, cosa che non le somigliava affatto. Nonostante il seminterrato fosse sempre intriso di una tenue penombra, il gattino aveva imparato a orientarsi col tempo. Quando Lucia se ne andava, lui si arrotolava in una palla, nascondeva il nasino con la zampa e scivolava in un sonno dolce. E al risveglio la mamma era già lì, o arrivava prima ancora che lui sentisse fame.
Oggi, però, qualcosa era andato storto: due ore erano passate dalla sua ultima veglia e la mamma non era comparsa. Lha dimenticata? Lha abbandonato? pensieri così non li aveva nemmeno in mente, ma una piccola voce dentro di lui sussurrava: Qualcosa deve essere accaduto. Se avesse avuto ragione, il futuro non gli riservava molto.
Lacqua del seminterrato era abbondante: un tubo rotto il giorno prima della sua nascita continuava a far sgorgare una piccola pozza fresca. Il cibo, invece, scarseggiava. Nessuna mensa lì sotto: Lucia doveva uscire ogni giorno a cacciare. Il gattino si alzò dal suo caldo cartone, si avvicinò al muro e scrutò il soffitto; lunica apertura era un minuscolo buco da cui filtrava una debole luce. Fuori, tra i cespugli, il buio era quasi totale, unombra soffocante.
Tentò di saltare, ma era troppo piccolo. Una decina di tentativi, nessuno riuscì. Quando lultima balza fallì, la porta del seminterrato cigolò sinistramente aprendosi. Non riuscì nemmeno a nascondersi in tempo; rimase immobile, sperando di non farsi vedere. Ma fu visto subito da una vecchia signora, la signora Valentina Bianchi, residente del palazzo, seguita da due uomini.
Guardate questi farfalloni! gridò la signora Bianchi Vi dico che nella cantina è nata una gattina con i suoi cuccioli. Prendeteli e portateli fuori!
È solo uno! protestò uno dei gestori delledificio.
Tra sei mesi ne saranno venti! Non veniamo qui per discutere, prendeteli e via!
Gli uomini corsero dappertutto, ma catturare quel piccolo era più difficile del previsto; si fermarono più volte a fumare. Solo quando la signora Bianchi si avvicinò il gattino fu afferrato.
Non potete far nulla senza la signora Valentina! sbottò la signora, che per caso era anche la madre dei due uomini.
Lo gettarono fuori, sbattendo la porta a chiave e sigillando il buco nella parete, così stretto che nemmeno una mosca avrebbe potuto passare.
Via, via! urlò la signora Bianchi al piccolo Esci da qui e non tornare più!
Il gattino corse via, il cuore colmo di tristezza, guardò la casa dove era nato e piangeva. Ora non aveva più un posto dove vivere, e la mamma era sparita. Che fare? Dove andare?
Le preoccupazioni si affievolirono mentre il piccolo apriva gli occhi al nuovo mondo che lo circondava, un mondo che non aveva mai immaginato. Prima conosceva solo il freddo seminterrato con le quattro pareti, il tubo che gocciolava e quel piccolo buco. Ora, invece, scopriva un universo al di là, pieno di cose affascinanti.
Il sole filtrava, laria profumava di erba, le persone camminavano per le strade di Trastevere, gli uccelli cantavano e strani animali con zampe rotonde e occhi ardenti ruggivano in lontananza. Tra i felini che incrociava, alcuni somigliavano a Lucia, ma la vera mamma non cera.
Mi mise a miagolare, prima a malapena, poi più forte, finché non divenne quasi un grido. Forse la mamma sentirà? pensai, ma fu tutto invano. Le gatte lo osservavano con compassione, come se avessero già attraversato quelle stesse difficoltà, e poi si giravano dallaltra parte.
Sei ancora qui? urlò la signora Bianchi, Via di qui! una donna che da sempre non amava i gatti, forse perché era una vecchia rabbia che non sapeva più spiegare. Il gattino non ebbe altra scelta che correre via, senza sapere dove. Il sentiero di ritorno era ormai chiuso; avevano sbarrato luscita, impossibile da attraversare.
Corse più veloce che poteva, le zampe piccole battevano il selciato di via dei Sabelli, i passanti lo guardavano incuriositi. Alcuni bambini indicavano e chiedevano ai genitori di prenderlo, ma gli adulti lo ignoravano. Solo una mamma chiedé al figlio:
Vuoi rinunciare al tablet per portarlo a casa?
No, rispose il bambino, continuando a leccare il suo gelato al cioccolato.
Il gattino, affamato, annusò laria e sentì un profumo irresistibile: il ristorante Come da Nonna, un locale a cinque stelle, dove si sentivano aromi di carne arrosto, pesce al vapore e ostriche. Era il profumo più invitante che avesse mai annusato.
Si avvicinò alla porta nera che conduceva alla cucina, la spinse appena e si infilò in una fessura. Lì trovò una montagna di scatole di cartone; una divenne il suo rifugio temporaneo. Proprio mentre si sistemava, due uomini entrarono.
Federico, il tuo lavoro in cucina è ottimo, ma devi mettere ordine! sbuffò il proprietario, il signor Marco Ricci.
Maestro Arcadio, non ho tempo, senza aiuto non riesco a stare al passo, replicò laltro, Andrea.
Il signor Ricci promise di trovare un aiuto e gli diede dieci minuti per sistemare il disordine, temendo unispezione. Federico, guardando le scatole, lanciò una di esse fuori, ma il rumore attirò lattenzione di tutti.
Tra i rifiuti, una voce di miagolio gli fece capire che dentro cera qualcosa. Spero non sia un topo, pensò, temendo i roditori. Quando aprì la scatola, vide il piccolo gattino.
Da dove vieni? chiese, senza aspettarsi risposta.
Il gattino miagolò, ma Federico non colse il significato. Pensò che forse il cucciolo voleva solo uno spuntino. Non era un grande amante degli animali, ma non poteva lasciarlo morire di fame. Preparò una porzione di tacchino brasato con la sua salsa speciale, tritandolo finemente, e lo offrì al piccolo. Il gattino divorò il pasto con gratitudine, ma il signor Ricci tornò puntuale.
Che cosa è questa scatola? chiese, spingendo la scatola con il gattino verso il bidone.
Gatto in cucina! Ti farò licenziare! sbottò la signora Bianchi, che era anche la madre dei due uomini.
Federico, combattuto, portò la scatola al cassonetto, controllò che il cucciolo fosse ancora intero, lo posò accanto ai rifiuti e tornò a cucinare per gli altri clienti, che pagavano la stessa cotoletta di tacchino.
Mentre continuava a lavorare, il pensiero del gattino non lo lasciava. Forse lo nascondo nella dispensa e lo tengo fino a sera? ma il signor Ricci con il suo bastone non avrebbe mai permesso. Decise di non rischiare, perché il lavoro gli pagava bene e non voleva perdere tutto.
Dopo un po, un uomo, ricco di sporchi, si avvicinò al bidone, prese qualcosa e la gettò nella scatola, senza accorgersi del piccolo dentro. La ragazza Annetta, uscita a portare i rifiuti, lo notò e, con voce dolce, gli chiese di prendere anche la scatola. Annetta conosceva la signora Bianchi, ma accettò per evitare ulteriori lamenti.
Quando aprì la scatola, trovò il gattino e scoppiò di gioia. Era il sogno di tutta la sua vita. Lo prese e, saltellando, corse a casa. Sua madre la salutò alla porta: Che dirà tuo padre? ma Annetta, ormai innamorata del cucciolo, non voleva separarsene.
Il giorno successivo Federico finì il turno, si cambiò e uscì nella sera. Le ombre delle scatole sul marciapiede erano ancora visibili. Aprì una dopo laltra, ma il gattino non era più lì. Accese la torcia del cellulare e chiamò: Kiskisk! un suono che non aveva mai usato da piccolo. Due gatti del vicinato accorsero, ma non cera il cucciolo.
Tornò a casa, stanco e colmo di rimorso. Che tipo di uomo sono?, pensava, mentre la figlia, Ginevra, chiedeva da tre anni di vedere il gattino. La coscienza lo bruciava, e lunica via era confessare. Scrisse un messaggio a Lucia: Arriverò presto, dobbiamo parlare seriamente.
Questa notte, tornato al palazzo, ho sentito di nuovo quel silenzio, ma ora il cuore non era più teso. La moglie e la figlia uscirono dalla cucina pallide, con unespressione spaventata, e nella mano di Ginevra cera il gattino, quello che avevo nutrito con tacchino e che avevo cercato tra i rifiuti.
Lho preso fra le braccia, le lacrime sono scivolate copiose sui miei occhi. Lucia e Maria non capivano, ma i loro sguardi erano pieni di sorpresa.
Federico, volevi dirci qualcosa? iniziò delicatamente Lucia.
Io? Dire? balbettai, ma poi mi avviai verso la cucina, dove il gattino attendeva il suo nuovo pasto.
Così nella nostra famiglia è arrivato il piccolo felino, che di giorno è il cucciolo di Federico, di notte è il cucciolo di Annetta, e ora ha una casa, cibo e tanto amore.
Fine.





