E così accade…

Oggi scrivo di come nessuno al mondo aspettasse Tommino. Eppure è arrivato, annunciandosi con un urlo potente, chiedendo cibo, cure, attenzioni. Io, la mamma… sono scappata due giorni dopo il parto, barcollando per la debolezza, scomparsa chissà dove senza un minimo d’affetto per quel minuscolo esserino e senza voler responsabilità alcuna. Ho solo diciannove anni, l’unica persona cara, nonna Luisa, è morta l’anno scorso. Poi c’è stato quel ragazzo che prometteva mari e monti, ma m’ha lasciata. Tutti mi hanno abbandonata! Mamma e papà da piccola, ribaltandosi in macchina, e nonna, che adorava la sua nipotina, recentemente se n’è andata pure lei… Papà era orfano, mentre mamma aveva due sorelle, ma vivono in Italia da sempre con mio nonno Gianni, senza mai un contatto.
Una storia assurda, piena di rancori, rabbia, beghe di famiglia… All’allora non m’interessava, poi quando nonna si aggravò e finì in ospedale, non ebbi più testa per certe storie.
Quest’anno dovevo diplomarmi alla scuola professionale, i compagni adesso preparano l’esame finale, mentre io… Pazienza, me la caverò da sola, ma proprio completamente sola! Un bimbo è pesante. Troppo pesante! Quasi impossibile. E io già faccio fatica, come fanno a non capirlo? Così ho lasciato il mio piccolo, sperando che qualcuno lo aiutasse. Come accadde a papà. Poi arrivano persone, dicono chissà cosa, ma chi sono, perché? Mah, lasciamo stare… Se riprendò un po’ di forze, in qualche modo andrò avanti…
Tommino però ha bisogno della mamma non domani. Gli serve adesso, proprio adesso! Appoggiare la guancia al seno materno, bere il suo latte, sentire i battiti del suo cuore…
Ma quel calore manca, quindi è solo e spaventato. Piange, vuole la mamma. Eppure lo prendono sempre mani estranee, fredde. Gli danno latte, ma non è quello giusto, così la sua pancina si gonfia e duole. Il sonno è inquieto, in attesa… Persino nella nebbia del riposo, quel piccolino riconoscerebbe la voce della mamma. Ma le voci sono sempre aliene.
Tommino sape
Oggi è successo…
Nessuno aspettava Timoteo. Ma lui è arrivato. Ha annunciato la sua presenza con un grido potente, chiedendo cibo, attenzione, cure. E la mamma? Lei è scappata, barcollante ancora per il parto da due giorni, svanita nel nulla. Nessun legame con quel batuffolo, nessun desiderio di responsabilità. Solo diciannove anni, una nonna adorata morta l’anno scorso, e un ragazzo pieno di promesse poi svanite. Tutti l’hanno abbandonata! I genitori da piccola, in un’auto ribaltata. La nonna, che la amava tanto, se n’è andata da poco… Papà cresciuto in orfanotrofio. La mamma aveva sorelle, ma vivono da anni in Italia col nonno materno, senza più contatti.
Una storia complicata, fatta di rancori e rabbia. Lei all’inizio non se ne curava, poi quando la nonna peggiorò e finì all’ospedale, non ebbe più spazio per storie.
Doveva finire la scuola quest’anno. I compagni ora scrivono la tesi, lei… Pazienza. Se la caverà da sola, ma proprio sola! Un bimbo? Difficile. Pessimo. Quasi impossibile. Già a stento regge il suo peso, perché non capiscono? Ha lasciato il suo piccolo, forse qualcuno lo aiuterà. Come succedette a suo padre. Ma loro continuano a venire, a parlare: chi sono? Perché? Lasciatemi… Riprendo forza e… andrò avanti, chissà come.
A Timoteo la mamma non serve dopo. La vuole ora, subito! Poggiare la guancia sul petto materno, sentire il latte, il cuore battere…
Niente calore di mamma. Solo paura e solitudine. Piange, desidera sua madre. Ma solo mani estranee lo sollevano. Lo nutrono, non è il latte di mamma: quel pancino minuscolo si contorce fra dolori. Sonno agitato, in attesa… Nel buio avrebbe riconosciuto la voce di lei. Ma le voci sono tutte sconosciute.
Timoteo sapeva aspettare. Aspettava le mani materne, il tepore del suo corpo, il sapore del suo latte. Forse pregava i suoi déi infantili con ogni senso, perfino col respiro del suo nasino.
E gli dèi lo ascoltarono. La primaria della maternità, donna gentile dal cuore buono, non condannò la ragazza, ma non accettò che un angioletto così dolce restasse senza mamma.
Usò tutte le sue conoscenze. Scoprì tutto sulla mamma di Timoteo. Trovò l’indirizzo del nonno materno e bisnonno del bimbo, là in Italia. Lo chiamò, parlò a lungo. Gli narrò della nipote sfortunata e sola, senza aiuto al mondo, e del bimbo piccolissimo, già all’inizio respinto.
Il nonno non poteva viaggiare così lontano. Arrivarono invece le zie, le sorelle della mamma. Lei, febbricitante, giaceva a casa. Un dolore feroce al seno, il latte quasi inesistente, la febbre alta. Impiegò tempo a capire chi fossero, cosa volessero. Un medico ambulanza la riportò in ospedale. Le infermiere, pur dolci, furono ferme: svuotarono il seno di quel poco latte rimasto, abbassarono la febbre, le portarono Timoteo. Lui la fissò con occhietti attenti, arricciò il naso, fece smorfie. Lo riconobbe? Certo che sì. Lo strinse. Non l’avrebbe più lasciato.
Poi la dimisero. Le due zie chiacchierone li portarono a casa. Una culla era comparsa come per magia, un cassettino pullulava di pannolini e vestitini… Le zie parlavano con lei, la nutrivano con la pasta al formaggio di sempre, che chiamavano “macaroni”. Ma non importa cosa dicono, importa che non è più sola. Importa che qualcuno chiede:
“Come stai? Hai mangiato? Bevuto? Bevi più tè col latte, aiuterà. Riposati un po’, hai vegliato Timoteo stanotte…”
Pensate sia la storia di Timoteo, o della mamma giovane e spersa? No. È la storia della primaria e di tutti quelli che non voltano lo sguardo, che fanno non solo il proprio lavoro, ma **un po’ di più**. E con quel “un po’ di più” salvano esistenze, intrecciano destini, regalano gioia. Fu quel “un po’ di più” la felicità del bimbo e di sua madre. Se tutti facessimo **un po’ di più**, se nessuno ignorasse il dolore altrui… immaginate quanto sarebbe migliore il mondo!
**E quel “un po’ di più” diventò ora il respiro calmo un bambino addormentato, le lacrime liberatorie di una madre che finalmente si sentiva al sicuro, e il profumo di latte fresco che mescolava i suoi singhiozzi di sollievo al sudore santo dell’amore che ricomincia.**.

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