Tornavo dal lavoro, esausta come sempre, immersa nei pensieri della cena da preparare e della riunione dell’indomani. All’improvviso, una voce mi chiamò alle spalle:
«Scusi! Teresa Antonietta?»
Mi voltai. Davanti a me c’era una giovane donna con un bambino di circa sei anni. Nella sua voce c’era incertezza, ma lo sguardo era fermo.
«Mi chiamo Francesca», disse. «E questo è suo nipote, Alessandro. Ha già sei anni.»
Per un attimo pensai a uno scherzo insensato. Non riconoscevo né lei né il bambino. La sorpresa mi fece ronzare la testa.
«Mi scuso, ma… deve esserci un errore?», riuscii a balbettare.
Ma Francesca proseguì con sicurezza:
«No, nessun errore. Suo figlio è il padre di Alessandro. Ho taciuto a lungo, ma ho deciso che lei ha il diritto di sapere. Non chiedo nulla. Ecco il mio numero. Se vorrà incontrarlo, mi chiami.»
E così, lasciandomi in totale sbigottimento, se ne andò. Rimanemmo in mezzo alla strada con quel pezzo di carta in mano, mentre sentivo i pugni stringersi. Corsi a chiamare Luca, il mio unico figlio.
«Luca, hai mai frequentato una ragazza di nome Francesca? Hai un figlio?»
«Mamma, beh… per un po’, sì. Si comportava in modo strano, poi disse di essere incinta. Ma non so… magari lo inventò. Dopo sparì. Non sono sicuro che sia mio figlio.»
La sua risposta mi turbò. Da una parte, avevo sempre creduto a Luca. Era cresciuto con disciplina, l’avevo cresciuto, lavorando giorno e notte, rinunciando a tutto pur di dargli una vita migliore. Ora era un professionista rispettato, ma non aveva mai formato una famiglia. Spesso lo spronavo a pensare ai figli, sognando di diventare nonna. E ora, ecco: un nipote apparso dal nulla.
Dopo un giorno, chiamai Francesca. Non si stupì.
«Ale ha sei anni. È nato ad aprile. E no, non farò test. So con certezza chi è suo padre. Ci lasciammo quando ero incinta. Non mi feci viva prima perché me la sono cavata da sola. I miei genitori mi aiutano. Stiamo bene. Sono venuta solo per lui: ha il diritto di sapere di avere una nonna. E lei, se vuole, può far parte della sua vita. Altrimenti, capirò.»
Appoggiai il telefono e rimasi a lungo in silenzio. Da una parte, non potevo ignorare le parole di mio figlio. Dall’altra, negli occhi di Ale avevo visto qualcosa di familiare, qualcosa di indefinibile. Il sorriso. Lo sguardo. I gesti. O forse era solo il mio desiderio di avere un nipote?
Quella sera fissai a lungo la finestra, ricordando quando portavo Luca all’asilo, quando condividevamo la stessa scodella di minestra, il suo primo giorno di scuola. Davvero avrebbe potuto abbandonare una donna incinta? O forse quel bambino non era suo?
Eppure, anche così, sentivo un calore strano al pensiero di Ale. E una profonda amarezza verso me stessa per i miei dubbi. Non avevo chiesto conferme quando avevo partorito Luca. Perché ora le pretendevo da quella ragazza? Perché non potevo semplicemente fidarmi del cuore?
Non ho ancora deciso. Non ho richiamato. Ma ogni volta che passo per quella strada, fisso ogni volto tra la folla. Non so se Ale sia davvero mio nipote. Ma non riesco nemmeno a lasciar andare quel pensiero. Il sogno di diventare nonna non muore dentro di me. Forse presto comporrò quel numero. Anche solo per conoscere quel bambino che mi ha chiamata nonna.