Edoardo Grandi stava sulla soglia, e il suo cuore batteva all’impazzata mentre osservava ciò che accadeva davanti a lui.

Caro diario,
stasera mi sono trovato fermo sulla soglia del salotto di casa nostra a Firenze, il cuore che batteva allimpazzata mentre osservavo quello che accadeva davanti a me.

Al centro della stanza era seduto il mio figlio, il silenzioso Niccolò, incastrare nella sua sedia a rotelle, ma non era solo.

La governante, la signora Caterina, quella donna che avevo assunto decenni fa e che raramente lasciava trapelare parole o emozioni oltre una cortese distanza, stava danzando con lui.

Allinizio i miei occhi non riuscivano a credere a ciò che vedevano. Il mio figlio, chiuso in quel suo mondo di silenzio da quando ho memoria, si muoveva.

Non solo sedeva a guardare fuori dalla finestra, come al solito: ora si muoveva.

Il delicato ritmo di una melodia lo guidava, cullandolo dolcemente da un lato allaltro.

Le sue mani si appoggiavano sulle spalle di Caterina, che con una grazia mai vista in quella casa lo teneva vicino, girandolo in un lento e paziente valzer.

La musica, una melodia sconosciuta e avvolgente, riempiva laria, intrecciandosi al luogo come un filo che unisce ciò che sembrava impossibile.

Non riuscivo a respirare. Dentro di me urlava: Cerca di andare via, chiudi la porta, non guardare questo spettacolo irreale.

Eppure qualcosa mi trattiene, qualcosa più profondo della paura, più profondo del dolore accumulato per anni.
Rimasi a lungo sulla soglia, a osservare il silenzioso dialogo tra la governante e il mio bambino.

La luce che filtrava dalla finestra li avvolgeva in un dorato e argentato abbraccio, le loro sagome si fondevano con la musica.

Era un attimo di pace così estraneo a me che pareva unillusione, come se avessi scoperto unoasi dopo una vita trascorsa nel deserto del silenzio.

Vorrei parlare, chiedere cosa stesse succedendo, esigere spiegazioni da Caterina, dal mondo che per tanto mi aveva tenuto alloscuro.

Ma le parole rimanevano impigliate nella gola. Rimasi lì, a guardare quel movimento condiviso il mio figlio, il suo corpo sulla sedia, e la governante che aveva risvegliato in me qualcosa che non sapevo nemmeno di poter immaginare.

Però, per la prima volta dopo tanti anni, sentii il peso nel petto alleggerirsi. Non era più solo dolore: era qualcosaltro.

Una possibilità. Una scintilla. Una speranza, o qualcosa di molto simile.

La musica si affievolì, il valzer terminò, e Caterina posò delicatamente Niccolò di nuovo nella sua sedia, le sue mani riposarono sulle sue spalle un attimo più a lungo del necessario.

Sussurrò qualcosa, parole che io non colsi, poi, con un ultimo sguardo al ragazzo, lasciò la stanza.

Io rimasi immobile, come incollato al pavimento, sbalordito. Non era un semplice miracolo, ma linizio di qualcosa che non avrei mai osato sognare.

Il mio figlio era vivo non solo nel corpo, ma nellanima. E tutto questo grazie a lei, alla governante che aveva toccato lessenza di Niccolò in un modo che né medico, né terapista, né denaro o tempo avrebbero potuto eguagliare.

Le lacrime mi riempirono gli occhiata mentre mi avvicinavo a Niccolò.

Lui rimaneva nella sedia, gli occhi chiusi, un lieve sorriso dipinto sulle labbra come se avesse appena vissuto qualcosa che andava oltre la mia comprensione.

Ti è piaciuto, tesoro? la mia voce tremò quando chiesi, prima di riuscire a trattenere limpulso.

Niccolò, naturalmente, non rispose. Non ha mai risposto.

Ma per la prima volta da anni non ebbi più bisogno di una risposta.

Capii.

In quel silenzioso e commosso momento compresi, finalmente, che il mio figlio non era mai stato davvero perduto. Aveva solo atteso che qualcuno lo raggiungesse con un linguaggio che potesse comprendere.

E ora, mentre la stanza tornava al suo silenzio, sapevo che non avrei più potuto tornare a quel che ero prima.
Le mura di indifferenza che avevo eretto, il freddo emotivo che coltivavo, erano svanite.

Era un nuovo inizio un nuovo capitolo per Niccolò, per Caterina e per me stesso.

Presi un respiro profondo, sentendo il peso allentarsi dal petto, e, per la prima volta dopo tanto, sorrisi.

La casa non era più muta.
Era piena di musica, di possibilità. Era viva.

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Edoardo Grandi stava sulla soglia, e il suo cuore batteva all’impazzata mentre osservava ciò che accadeva davanti a lui.