Eri speciale per me…

**Giorno 5 dicembre – Una strana serata**

Mi piacevi così tanto…

Beatrice uscì dall’ufficio e si avviò verso l’auto parcheggiata sotto un leggero strato di neve. Il cofano e il parabrezza erano coperti da una polvere bianca. Si sedette al volante e accese subito il riscaldamento per scaldare l’abitacolo gelido. Poi, con i tergicristalli, spazzò via i fiocchi rimasti.

Si immise nel traffico, ma le auto avanzavano a singhiozzi, fermandosi a ogni semaforo. Pareva che tutta Milano si fosse riversata in strada nello stesso momento. Passando davanti a un centro commerciale, decise di fermarsi per evitare l’ora di punta e approfittarne per cercare regali di Natale.

Ma anche il parcheggio era strapieno, nessun posto libero. Beatrice si pentì subito della scelta: meglio restare in coda che perdere tempo così. Fu allora che, dallo specchietto, vide i fari di un SUV che le faceva spazio, cedendole il posto.

Dentro, il centro commerciale era affollato, caldo, caotico. Beatrice si slacciò il cappotto, si tolse la sciarpa dal collo e iniziò a vagare tra gli scaffali. Luci lampeggianti, decorazioni colorate, gente che correva… le facevano girare la testa. Prese qualche pallina natalizia, due renne argentate, asciugamani con Babbo Natale e dei bicchieri per lo spumante con sopra scritto *”Felicità e fortuna”*.

A casa avrebbe deciso cosa regalare a chi. Per la mamma e il marito avrebbe scelto qualcosa di più prezioso, ma per i colleghi bastavano queste cosette. Si mise in coda alla cassa, stanca del chiasso e ansiosa di tornare all’aria aperta. *Che idea sciocca, venire di venerdì sera.* Avrebbe potuto farlo domani mattina, quando la gente dormiva ancora.

Arrivò il suo turno. Mentre la cassiera scannerizzava gli articoli, Beatrice realizzò con sgomento di aver preso troppe cose. *Vabbè, serviranno.*

Uscì dal negozio, si riavvolse la sciarpa e si avviò verso l’uscita, tenendo il sacchetto ben stretto per evitare che qualcuno lo urtasse.

“Beatrice!”

Non si voltò subito, continuò a camminare.

“Rossi!”
Solo al cognome da ragazza si fermò di colpo. La folla le passava accanto, sfiorandola. Si scansò e si guardò intorno, cercando il volto di chi l’aveva chiamata.

“Ciao, Beatrice,” disse una voce vicinissima.

Si girò e vide un uomo con la barba. Un berretto nero gli copriva la fronte fino alle sopracciglia. Sorrideva, mostrando un buco al posto di un dente anteriore. I vestiti erano larghi, trasandati. *Questo barbone non può essere un mio conoscente,* pensò, già pentita di essersi fermata.

“Non mi riconosci?” chiese l’uomo. “Io ti ho riconosciuta subito. Sei sempre bellissima,” rise. Qualcosa nella voce le sembrò familiare, ma non riusciva a collocarlo.

“Eravamo compagni di scuola. In prima media,” aggiunse lui.

“Luca?!” esclamò, trattenendo la domanda che le bruciava sulle labbra: *Cosa ti è successo? Come hai finito così?*

“Sono io,” rispose, mostrando di nuovo quel sorriso sdentato. “Sono cambiato tanto?”

“Sì,” ammise lei. “Cosa… cosa ti è successo?”

“È una lunga storia. Possiamo sederci da qualche parte? C’è un bar qui dentro.” La guardava speranzoso.

Beatrice cercò di abituarsi al suo aspetto. *Come ho fatto a non riconoscerlo?* Era Luca, quello per cui aveva versato lacrime a fiumi al liceo. Adesso le vergognava persino di essere vista con lui.

“Scusa, devo andare.” Distolse lo sguardo, quasi cercando aiuto tra i passanti. Ma nessuno si curava di loro.

Luca rimase in attesa.

“Solo per un po’,” cedette lei, più per curiosità che per desiderio di conversare.

Luca sorrise, eccitato, e la guidò verso il bar.

“Andiamo. Sono mille anni che non ci vediamo.”

Il locale era pieno.

“Laggiù c’è posto,” indicò lui un tavolino in fondo.

*Almeno è buio, nessuno ci vedrà,* pensò Beatrice, desiderosa di sparire.

Appena seduti, arrivò il cameriere con i menù. Luca lo sfogliò avidamente, deglutendo. Poi guardò Beatrice, che non lo aveva neppure aperto.

“Prendo solo un caffè,” disse.

Il cameriere tornò.

“Pronti per ordinare?” chiese a lei, ignorando Luca. Il suo sguardo diceva chiaramente: *Cosa ci fa una come lei con uno così?*

“Caffè al limone…” Beatrice guardò Luca.

Lui elencò una serie di piatti. Il cameriere lanciò un’occhiata a Beatrice, che chiuse gli occhi, acconsentendo.

“Qui fanno un buon caffè,” commentò Luca. “Ceno spesso qui.”

“Lavori qui?”

Annui, imbarazzato. Di certo non era il direttore, né un commesso. Forse un facchino. Beatrice non chiese altro.

“Tu sei diventata dottoressa, come volevi?”

“Te lo ricordi?” sorrise. “Sì, endocrinologa.”

Luca annuì, come per dire che non aveva mai dubitato di lei.

“Hai comprato regali per il marito e i figli?” guardò il sacchetto.

“Tu… sei sposato?” evitò la domanda.

“Lo ero. Con Giada. La ricordi? Una stronza. È per colpa sua che sono finito così.”

“Avevo quindici anni. Che stupido. Lei mi cercava continuamente, e tutto è successo troppo in fretta. Poi, un giorno, ero in Comune a sposarmi.” Fece una pausa. “Tu mi piacevi,” aggiunse piano.

*E tu a me,* confessò Beatrice tra sé.

Arrivarono le ordinazioni. Il caffè fumante per lei, due piatti per Luca. Il cameriere offrì anche un dolce, ma Beatrice rifiutò. Lui sparì.

Luca attaccò il cibo voracemente. Beatrice distolse lo sguardo, imbarazzata. Un uomo al tavolo vicino le sorrise comprensivo, ma la sua compagna lo richiamò con un sussurro.

Non aveva voglia di bere il caffè. Voleva solo andarsene.

“Cosa ti è successo?” chiese, sperando di accelerare i tempi.

Luca posò la forchetta.

“All’inizio andava tutto bene. Moglie carina, casa. I suoi genitori ci regalarono un appartamento. Mi laureai in ingegneria, trovai lavoro. Ma quanto guadagna un ingegnere? Giada cominciò a lamentarsi, a chiedere soldi. Diceva che dovevamo metterci in proprio, che suo padre ci avrebbe aiutato. Poi arrivò un suo amico con l’idea di un negozio di ricambi auto.” Fece una pausa amara. “Andò tutto in malora. Non capii neanche come. Fallimmo. Lei mi disse che ero un inutile e chiese il divorzio.”

“Andai dai miei. Poi vennero due tizi a chiedere i soldi indietro. Vendetti la macchina, i miei la casa al mare. Pagai il debito e rimasi senza nulla.”

“Mio padre morì d’infarto un mese dopo. E Giada si risposò con il mio ex socio. Riaprirono l’attività. Ora stanno benissimo. Credo che abbiano architettato tutto. Perché tanti giri? Poteva dirmi che non mi amava.”

“Mi vergogno di miaBeatrice lo guardò con gli occhi lucidi, poi sospirò e disse: “Forse dovevo dirtelo prima che tutto accadesse,” mentre fuori la neve ricominciò a cadere, leggera e silenziosa, coprendo ogni cosa.

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