Ero estranea nella mia famiglia

Che cosè questo? voce della suocera rimbombò nella cucina. Stringeva tra le mani una tazza di porcellana incrinata, parte di un servizio regalato dal defunto marito. Lhai rotta tu?

Elisa Bianchi rimase immobile, incerta su cosa rispondere. Certo non era stata lei; probabilmente la piccola Ginevra, la nipote di cinque anni che giocava la mattina sul pavimento. Ma ammettere la verità avrebbe messo la bambina contro lira della nonna.

Non lo so, Antonia Pavolini, sussurrò Elisa. Forse lho toccata per caso mentre lavavo i piatti.

La suocera serrò le labbra, e nei suoi occhi lampeggiò qualcosa che assomigliava a una sfida.

Naturalmente! Sempre la stessa storia. Venti anni nella mia casa e nessun rispetto. Sai quanto valeva per me quel servizio!

Posso incollare, propose Elisa. Quasi non si noterà.

Non osare! Lo peggiorerai ancora di più.

Vittorio Rossi, marito di Elisa, entrò nella cucina. Si accarezzò la fronte, segno di unaltra emicrania dopo il turno. Era capo della sicurezza in un grande centro commerciale, e il frastuono continuo gli provocava spesso mal di testa.

Che succede? chiese, guardando la madre e la moglie.

La tua adorata ha rotto il mio servizio da tè, la suocera avvolse la tazza incrinata in un asciugamano. Quello che mio marito mi aveva regalato.

Elisa sperava che Vittorio si schierasse a difenderla o, almeno, che minimizzasse laccaduto. Vittorio sospirò soltanto:

Elisa, quante volte ti ha chiesto di stare attenta alle sue cose?

Ma io non iniziò Elisa, ma si fermò. Litigare era inutile.

Vittorio prese una bottiglia di kefir dal frigorifero e si diresse verso la camera da letto. Elisa rimase sola con la suocera, che asciugò una lacrima con teatralità.

E perché io devo sopportare tutto questo? lamentò Antonia Pavolini. Ho dedicato tutta la vita alla famiglia. Ho tenuto la casa, cresciuto mio figlio. E ora questo

Elisa asciugò le mani sul panno, trattenendo le lacrime. Sapeva che piangere avrebbe solo alimentato lira della suocera. Per venti anni sotto lo stesso tetto aveva imparato a reprimere le emozioni; in quella casa le sue lacrime non avrebbero toccato nessuno.

Vado a stendere il bucato, disse Elisa, uscendo di corsa verso il cortile.

La sera, quando la figlia Livia tornò dal college, Elisa sedeva sulla veranda a contare i fagioli. Livia scaricò la borsa sul divano e si sedette accanto a lei.

Mamma, perché sei così cupa?

Tutto bene, solo stanca, rispose Elisa, forzando un sorriso.

Livia, già a diciotto anni, aveva unintuizione acuta sulle dinamiche familiari.

Di nuovo la nonna? chiese direttamente.

Elisa tacque, ma la risposta era già nellaria.

Mamma, quante volte possiamo tollerare? Perché non ti difendi mai? Sai che è stata Ginevra a rompere il servizio, lho vista al mattino.

Basta, Elisa si voltò spaventata. Non esageriamo. Ginevra è piccola, non ha bisogno di rimproveri da nonna.

E tu, allora, vuoi ricevere rimproveri? Livia sbatté via una ciocca di capelli rossi. A volte mi sembra che tu sia una straniera in questa casa, come una serva.

Elisa rabbrividì. Quelle parole rispecchiavano il pensiero che le era sfuggito da anni: straniera, non sua. Nonostante venti anni di matrimonio.

Non dire sciocchezze, la rimproverò severamente. Siamo una famiglia. È solo che viviamo nella casa di Antonia Pavolini. È una donna anziana che ha bisogno di attenzione e cure.

E tu non ne hai bisogno? Livia alzò la voce. Vado a cambiarmi.

Quando Livia se ne andò, Elisa lasciò i fagioli sul tavolo e osservò le proprie mani, ruvide per le continue faccende domestiche, con la pelle screpolata. Un tempo era infermiera in un ospedale di quartiere, s

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