Ero la babysitter e cuoca gratuita per la famiglia di mio figlio, finché non mi hanno vista all’aeroporto con un biglietto di sola andata.

Per anni fui la tata e la cuoca gratuita della famiglia di mio figlio, finché non mi videro allaeroporto con un biglietto di sola andata.

«Nina, ciao! Ti disturbo?» La voce di mia nuora, Caterina, vibrava di una falsa allegria al telefono.

Mescolavo in silenzio una zuppa ormai fredda. No, non mi disturbava. Non ero mai troppo occupata quando avevano bisogno di qualcosa.

«Dimmi, Caterina.»

«Abbiamo unincredibile novità! Io e Sandro abbiamo preso i biglietti, partiamo per la Turchia per due settimane! Tutto incluso, ti rendi conto? È stato un colpo di fortuna!»

Mi immaginai. Il mare, il sole, Sandro e Caterina. E da qualche parte, fuori dallinquadratura, il loro bambino di cinque anni, Matteo. Mio nipote.

«Congratulazioni. Sono felice per voi.» Le parole uscirono piatte, prive di emozione, come le istruzioni di un medicinale.

«Perfetto! Allora prendi Matteo con te, sì? Non può andare allasilo ora, cè unepidemia di varicella.»

E poi cè la lezione di nuoto, non dovrebbe saltarla. E la logopedista la prossima settimana, ti manderò lorario completo.

Parlava veloce, senza lasciarmi intervenire, come se temesse che avrei avuto il tempo di pensare e rifiutare. Anche se non avevo mai rifiutato.

«Caterina, pensavo di andare in campagna per qualche giorno, approfittando del bel tempo» Iniziò una debole protesta che neanche io credevo.

«In campagna?» La sua voce era pura incredulità, come se avessi parlato di partire per Marte. «Mama, ma che dici? Matteo ha bisogno di te, e tu pensi allorto? Non è che partiamo per divertirci, è per la nostra salute! Aria di mare, vitamine!»

Guardai fuori dalla finestra, al cortile grigio. La mia aria di mare. Le mie vitamine.

«E poi,» continuò senza respirare, «mercoledì arriva il cibo per il gatto, quello premium, dodici chili.»

Il corriere sarà dalle dieci alle sei, quindi non uscire, va bene? E innaffia le piante, soprattutto lorchidea. È delicata.

Elencava i miei doveri come fossero ovvi. Non ero una persona, ma una funzione. Unestensione gratuita della loro vita comoda.

«Va bene, Caterina. Certo.»

«Brava! Sapevo che potevo contare su di te!» Cinguettava come se mi avesse fatto un favore enorme. «Bacioni, corro a fare le valigie!»

Il telefono emise un tonfo secco.

Lo appoggiai lentamente sul tavolo.

Lo sguardo cadde sul calendario appeso al muro. Sabato prossimo era cerchiato in rosso: lincontro con le amiche che non vedevo da quasi un anno.

Presi uno straccio umido e cancellai quel segno rosso con un gesto deciso. Come se avessi cancellato un altro piccolo pezzo della mia vita mai vissuta.

Non cera rabbia, né risentimento. Solo un vuoto vischioso e una domanda silenziosa: quando si sarebbero accorti che non ero unappendice gratuita, ma una persona?

Forse solo quando mi avessero vista allaeroporto con un biglietto di sola andata.

Matteo arrivò il giorno dopo. Sandro portò in casa una valigia enorme, una borsa con la tuta da nuoto e tre sacchetti di giocattoli. Evitava il mio sguardo.

«Mamma, dobbiamo sbrigarci, altrimenti perdiamo laereo.»

Caterina entrò di corsa, già in veste da vacanziera: vestito leggero, cappello di paglia. Scrutò il mio modesto appartamento con uno sguardo veloce.

«Nina, non fargli vedere troppi cartoni, meglio leggergli qualcosa. E meno dolci, altrimenti poi non lo controlliamo più.»

Ecco la lista, ho scritto tutto. Mi porse un foglio piegato in quattro. Orari, numeri della logopedista, dellallenatore, dellallergologo. E cosa cucinare ogni giorno.

Parlava come se fosse la prima volta che vedevo mio nipote. Come se non lo avessi accudito dalla nascita, mentre loro costruivano le loro carriere.

«Caterina, so cosa gli piace.»

«Ricordarselo è una cosa, la dieta è unaltra.» Tagliò corto. «Matteo, sii bravo, ascolta la nonna! Ti porteremo una macchinina gigante!»

Se ne andarono, lasciando una scia di profumo costoso e una sensazione di vuoto.

Matteo, capendo di essere stato lasciato, scoppiò in lacrime. I primi tre giorni furono un inferno.

Piscina a un capo della città, logopedista allaltro. Capricci, pianti di notte e infinite richieste della mamma. Ero esausta.

Il quarto giorno chiamai Sandro.

«Pronto, mamma? Che succede? Matteo sta bene?»

«Sta bene, non preoccuparti. Sandro, volevo parlare Non ce la faccio. È troppo.»

Potreste assumere una baby-sitter per qualche ora? Pagherei metà.

Silenzio. Poi un sospiro pesante.

«Mamma, non ricominciamo Siamo appena arrivati. Caterina era già nervosa prima di partire. Una baby-sitter? A chi lo affidiamo? Sei la nonna, dovrebbe essere una gioia.»

«La gioia non cancella la fatica. Non sono più giovane.»

«Ti sei solo disabituata.» La sua voce era dolce ma ferma. «Ti riabituerai. Non roviniamoci la vacanza. Non partiamo spesso. Basta, mama. Caterina mi chiama.»

Riattaccò. Guardai il telefono e qualcosa dentro di me si irrigidì. Non rabbia.

Piuttosto, una consapevolezza fredda e chiara. Per lui non ero sua madre, che poteva essere stanca. Ero una risorsa. Affidabile, gratuita.

Mercoledì arrivò il cibo per il gatto. Dodici chili. Il corriere li lasciò sulla soglia e se ne andò.

Cercai di trascinarli dentro, strappandomi la schiena. Quando ci riuscii, mi sedetti accanto a quel sacco profumato di pesce e risi. Senza suono.

Quella sera chiamò Caterina. Sullo sfondo, il rumore delle onde.

«Nina, ciao! Hai innaffiato lorchidea? Solo acqua distillata, ricordi? E non sulle foglie!»

Non chiese di Matteo. Non chiese di me. Solo della sua pianta.

«Lo ricordo, Caterina. Tutto sotto controllo.»

Quella notte non dormii. Aprii larmadio, presi il mio vecchio libretto di risparmio e il passaporto. Li guardai, sfiorando la copertina.

Lidea che avevo avuto dopo quella chiamata non era più una fantasia. Era un piano.

Il decimo giorno, Sandro chiamò.

«Mamma, ciao! Come sta il piccolo?»

«Dorme.»

«Ascolta Ci piace tantissimo qui. Lhotel ci fa uno sconto se restiamo unaltra settimana.»

Rimasi in silenzio. Sapevo cosa sarebbe successo.

«Non abbiamo calcolato bene i soldi Mamma, quei orecchini di papà con gli zaffiri Tu non li metti mai.»

«Che vuoi, Sandro?» La mia voce era gelida.

«Portali al banco dei pegni, sì? Ci daranno una bella somma. Li riscatteremo appena torniamo! Sono solo oggetti, no? Qui è tutta unemozione!»

Dietro, la voce di Caterina: «Sandro, perché tergiversi?

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