Ero la tata e cuoca gratuita per la famiglia di mio figlio, finché non mi hanno vista all’aeroporto con un biglietto di sola andata.

Ero la tata e la cuoca gratuita per la famiglia di mio figlio, finché non mi hanno vista allaeroporto con un biglietto di sola andata.

«Nina, ciao! Ti disturbo?» La voce di mia nuora, Elena, vibrava di una finta allegria al telefono.

Mescolavo silenziosamente una minestra ormai fredda con il cucchiaio. No, non disturba. Non sono mai troppo occupata quando hanno bisogno di qualcosa.

«Ti ascolto, Elena.»

«Abbiamo una notizia bomba! Io e Luca abbiamo preso i biglietti, partiamo per la Turchia due settimane! Tutto incluso, ci credi? Unofferta last minute!»

Me la immagino. Mare, sole, Luca ed Elena. E da qualche parte fuori campo, il loro figlio di cinque anni, Matteo. Mio nipote.

«Congratulazioni. Sono molto felice per voi.» Le parole uscirono piatte, distaccate, come le istruzioni di un bugiardino.

«Ecco! Tu ti prendi Matteo, vero? Non può andare allasilo adesso, cè unepidemia di varicella.»

E poi cè la piscina, sarebbe un peccato saltarla. E la logopedista la settimana prossima, ti mando lorario completo.

Parlava veloce, senza lasciarmi interrompere, come se temesse che avrei avuto il tempo di pensare e rifiutare. Ma io non avevo mai rifiutato.

«Elena, pensavo di andare in campagna per qualche giorno, con questo bel tempo» cominciai, senza crederci nemmeno io.

«In campagna?» La sua voce era genuinamente stupita, come se avessi detto di voler andare su Marte. «Mamma, ma che dici? Matteo ha bisogno di te, e tu pensi allorto? Non partiamo per divertirci, ma per la salute! Aria di mare, vitamine!»

Guardavo dalla finestra il cortile grigio. La mia aria di mare. Le mie vitamine.

«Ah, e ancora» continuò Elena senza pause. «Mercoledì arriva il cibo per il gatto, premium, dodici chili. Il corriere sarà dalle dieci alle sei, quindi niente uscite, ok? E innaffia le piante, soprattutto lorchidea. È delicata.»

Elencava i miei doveri come fossero ovvi. Non ero una persona, ma una funzione. Unapp gratuita per la loro vita comoda.

«Va bene, Elena. Certo.»

«Brava! Sapevo che potevo contare su di te!» cinguettò, come se mi avesse fatto un regalo. «Baci, corro a fare la valigia!»

Il telefono emise un tono di chiamata terminata.

Lo appoggiai lentamente sul tavolo.

Lo sguardo cadde sul calendario appeso. Sabato prossimo era cerchiato in rosso: il giorno dellincontro con le amiche, che non vedevo da quasi un anno.

Presi un panno umido e cancellai quel segno rosso con un gesto. Come se avessi cancellato un altro pezzetto della mia vita non vissuta.

Non cera rabbia, né rancore. Solo un vuoto appiccicoso, e una domanda chiara: quando si sarebbero accorti che non ero unapp gratuita, ma una persona viva?

Forse solo quando mi avrebbero vista allaeroporto con un biglietto di sola andata.

Matteo arrivò il giorno dopo. Mio figlio, Luca, portò in casa una valigia enorme, una borsa con il costume da bagno e tre sacchetti di giocattoli. Evitava il mio sguardo.

«Mamma, dobbiamo sbrigarci, sennò perdiamo laereo» disse in fretta, lasciando la valigia nel corridoio.

Elena entrò di corsa, già in modalità vacanza: vestito leggero, cappello di paglia. Diede unocchiata rapida e giudicante al mio modesto appartamento.

«Nina, non fargli vedere troppi cartoni, meglio leggergli qualcosa. E niente dolci, sennò poi non lo controlliamo più.»

Ecco la lista, ho scritto tutto, mi porse un foglio piegato in quattro. Orari, numeri del logopedista, dellallenatore, dellallergologo. E cosa cucinare ogni giorno.

Parlava come se fosse la prima volta che vedevo mio nipote. Come se non mi fossi occupata di lui dalla nascita, mentre loro costruivano carriere.

«Elena, ricordo cosa gli piace» dissi piano.

«Ricordare è una cosa, la dieta unaltra» tagliò corto. «Matteo, sii bravo con la nonna! Ti portiamo una macchinina gigante!»

Se ne andarono, lasciando una scia di profumo costoso e una sensazione di corrente daria.

Matteo, capendo di essere stato lasciato, scoppiò in lacrime. I primi tre giorni furono un maratone: piscina da una parte, logopedista dallaltra. Capricci, pianti di notte e infiniti «voglio la mamma». Ero esausta.

Il quarto giorno chiamai mio figlio. Stavano per entrare in hotel.

«Pronto, mamma? Tutto bene? Matteo sta bene?» La voce di Luca era tesa.

«Matteo sta bene, non preoccuparti. Luca, volevo parlare È troppo faticoso. Non ce la faccio.»

Potreste assumere una babysitter per qualche ora al giorno? Pagherei metà.

Dallaltra parte, silenzio. Poi un sospiro pesante.

«Mamma, non cominciare, eh? Siamo appena arrivati. Elena era già nervosa prima di partire. Quale babysitter? A chi affidiamo nostro figlio? Sei la nonna. Dovrebbe essere una gioia.»

«Luca, la gioia non cancella la fatica. Non ringiovanisco.»

«Ti sei solo disabituata» disse, insistente. «Ti abituerai. Non roviniamoci la vacanza. Non partiamo spesso. Dai, mamma. Elena mi chiama.»

Appese. Io guardai il telefono, e qualcosa in me si irrigidì. Non rabbia.

Piuttosto, una consapevolezza fredda e chiara. Per lui non ero una madre che poteva essere stanca. Ero una risorsa. Affidabile, collaudata e, soprattutto, gratuita.

Mercoledì arrivò il corriere con il cibo per il gatto. Un ragazzo lasciò il sacco pesante sulla porta e se ne andò, borbottando qualcosa sulla «consegna a domicilio».

Passai dieci minuti a trascinare quei dodici chili nel corridoio, rischiando di farmi male alla schiena. Quando finalmente ci riuscii, mi sedetti accanto al sacco, che puzzava di pesce secco, e risi. Un riso silenzioso e amaro.

Quella sera chiamò Elena. Sullo sfondo, onde e musica.

«Nina, ciao! Tutto bene? Hai innaffiato lorchidea? Solo acqua distillata, ricordi? E alle radici, non sulle foglie!»

Non chiese di Matteo. Non chiese di me. Le importava solo del fiore.

«Ricordo, Elena. Tutto sotto controllo» risposi, fissando quel maledetto sacco di cibo.

Quella notte non dormii. Non pensai alla campagna o alle amiche. Aprii larmadio, presi il mio vecchio libretto di risparmio e il passaporto. Li guardai, sfiorandoli con le dita.

Lidea che mi era venuta quel giorno non era più una fantasia. Stava diventando un piano.

La chiamata arrivò il decimo giorno del loro «riposo». Era pomeriggio, Matteo dormiva. Ancora Luca.

«Mamma, ciao! Come sta il piccolo?»

«Dorme» risposi secca.

«Senti, cè una cosa» esitò, e capii subito cosa stava per chiedere. «Qui è fantastico. Lhotel ci fa uno sconto se prolungh

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