«— Faccio del mio meglio per voi e non apprezzate! — dice la suocera mentre il mio occhio sussulta per il suo aiuto…»

«— Ma io mi sforzo per voi! E voi non lo apprezzate! — dice la suocera, mentre il mio occhio inizia a tremare ogni volta che mi offre il suo “aiuto”…»

A volte mi ritrovo a sognare una sola cosa: scappare. Ovunque, in un’altra città, ai confini del mondo, persino in un paesino vicino a Bolzano. L’importante è allontanarmi il più possibile dalla madre di mio marito. Altrimenti, perderò la testa. Ormai, ogni volta che sento la sua voce allegra — «Ti ho portato qualcosa di utile! Sarai entusiasta!» — mi viene un tic nervoso.

Quando io e Luca ci siamo sposati, gli amici mi invidiavano: «Hai avuto fortuna con la suocera», dicevano. Non brontolava, non si intrometteva, nemmeno portava torte senza chiedere. All’inizio era davvero così: ci sosteneva in ogni modo. Ma dentro di lei si accumulava un’energia che, prima o poi, doveva esplodere. E quando è esplosa, ha spazzato via tutto ciò che avevamo costruito.

All’inizio ha insistito per organizzare un matrimonio sontuoso, con brindisi, banchetti e cento invitati. Siamo riusciti a sfuggire a quel disastro solo grazie al diploma della sua figlia minore, verso cui ha riversato tutto il suo entusiasmo. Ma non si è calmata.

Allora vivevamo in affitto. Un appartamento luminoso, pulito, perfetto. Ma la suocera ha iniziato a portarci roba “indispensabile”: piatti vecchi con le crepe, forchette che sembravano coltelli, e soprattutto… quelle tende rotte. Ancora oggi mi perseguitano negli incubi — velluto rosso ciliegia, pieno di buchi di tarme.

«È velluto! Basta ricucirlo e sembreranno nuove!», diceva eccitata.

E io pensavo: perché non le appendi a casa tua, se sono così meravigliose?

Quando finalmente abbiamo comprato casa — con l’aiuto dei miei genitori e dei padrini di Luca — ero ingenua. Credevo che sarebbe iniziata una vita nuova. Invece la suocera ha deciso che, se non poteva aiutarci economicamente, avrebbe trovato un altro modo. E cioè: farci saltare i nervi con qualsiasi cosa.

Per prima cosa, ci ha portato la carta da parati. Doveva avere almeno quarant’anni. Sbiadita, umida, puzzava di cantina. Poi ha insistito perché a posare le piastrelle in bagno ci pensasse “zio Franco”, un suo amico “genio del fai-da-te”. Il “mastro” le ha messe tutte storte, dopo una settimana già si staccavano, le fughe diventavano nere, e alla fine abbiamo dovuto pagare altri muratori per sistemare quel “favore”.

Poi è arrivato il frigorifero. Ce l’ha portato a spalla. Rombava come un motore d’aereo, e l’odore… sembrava ci fosse morto qualcuno dentro. Io e Luca l’abbiamo buttato subito, ma la suocera ha fatto una tragedia:

«Bastava lavarlo! Vi sarebbe durato altri dieci anni! Ma voi non sapete essere riconoscenti!»

Dopo sono arrivati il divano della cugina, la libreria del nonno, il tappeto che sapeva di muffa e polvere. Ogni volta che rifiutavamo, era un dramma: lacrime, offese, rimproveri.

Ora sono incinta. Abbiamo tenuto il segreto a lungo, ma quando la pancia si è fatta evidente, abbiamo dovuto dirlo. Ecco, da quel momento, la suocera ha iniziato a radunare un “corredo” di cose usate: il passeggino di una certa Serena, la culla di Beatrice, vestiti vissuti da quattro bambini diversi…

Io non voglio. Non voglio che mio figlio dorma in una culla dove hanno dormito chissà chi. Non voglio un passeggino coi freni rotti. Non voglio vestirlo con indumenti consumati e lisi. Mi fa ribrezzo. E mi ferisce che nessuno consideri la mia opinione.

Adesso la suocera continua la sua offensiva. Io taccio: la gravidanza non è il momento migliore per litigare. A farle fronte c’è Luca, che cerca di spiegare, rifiutare, difendersi. Ma lo vedo stanco. L’energia di sua madre sembra infinita, come un reattore nucleare, e non c’è fine in vista.

A volte mi viene voglia di vendere la casa e scappare senza dire a nessuno dove andrò. Sparire. Non sono cattiva. Voglio solo silenzio. Libertà. La mia vita. Senza velluti rossi, frigoriferi fantasma e tappeti del secolo scorso. Voglio respirare. Vivere. Voglio un nido accogliente, nuovo, pulito, tranquillo. Senza visite “piene di buone intenzioni” che mi fanno venire voglia di urlare.

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«— Faccio del mio meglio per voi e non apprezzate! — dice la suocera mentre il mio occhio sussulta per il suo aiuto…»