Fai da te e guadagna: Non sono la tua serva!

— Preferisci salsicce o uova strapazzate? — chiese Elisabetta. Alessandro era seduto a tavola, scorrendo le notizie sul telefono.

— Salsicce. Ma senza i tuoi esperimenti, — borbottò lui.

Elisabetta sospirò. Tra le braccia le russava la piccola Beatrice, e cucinare non era affatto facile.

— Puoi tenere Beatrice un attimo? — chiese delicatamente.

— Aspetta, finisco di leggere — rispose Alessandro senza alzare gli occhi.

Beatrice cominciò a piagnucolare. Elisabetta cercò di calmarla mentre girava le salsicce in padella. Una si bruciacchiò.

— Ancora bruciata? — fece storto Alessandro. — Non puoi stare più attenta?

— E tu non potresti dare una mano? — replicò secca Elisabetta.

— Ecco, ricominciamo… Io, tra l’altro, lavoro per mantenere la famiglia.

— E io cosa faccio? Lavoro ventiquattr’ore al giorno, senza riposo.

Elisabetta gli posò il piatto davanti senza parlare. Una volta erano una vera famiglia, facevano tutto insieme. Ora le sembrava di tirare il carro da sola.

I giorni passavano tutti uguali. Una sera, Elisabetta decise di affrontare la questione:

— Ale, dobbiamo parlare. Sei sempre occupato: lavoro, cellulare, videogiochi. E io? E Beatrice?

— Betta, torni a fare la solita predica? Io faccio tutto per voi.

— Ma non basta! Una famiglia non sono solo soldi. È cura, attenzione, aiuto.

— È il tuo dovere — scrollò le spalle Alessandro.

— Voglio che tu faccia parte di questa famiglia. Sono stanca di fare tutto da sola.

— Anch’io sono stanco di lavorare, Betta. Ho bisogno di tempo per me.

— E io no? — le salirono le lacrime agli occhi.

In quel momento, dalla camera di Beatrice arrivò un pianto. Alessandro non si mosse nemmeno.

Quando Elisabetta tornò dal congedo di maternità e trovò un nuovo lavoro, ogni giorno iniziava alle cinque del mattino. Alessandro, però, non muoveva un dito in casa. Una sera, Elisabetta rimase a lavorare fino a tardi. Tornò a casa quasi alle nove. L’appartamento era semibuio, la cucina piena di piatti sporchi. Alessandro era disteso sul divano.

— Prepari la cena? — chiese, senza nemmeno salutarla.

— Davvero? Io sono in ritardo e tu non hai neanche lavato un piatto?

— Sono stanco.

— Dov’è Beatrice?

— Dorme. Le ho ordinato una pizza.

Elisabetta andò in cucina senza rispondere. Le tremavano le mani. Una volta, controllando il conto in banca, scoprì che Alessandro aveva prelevato tremila euro dai suoi risparmi per comprarsi un portatile nuovo.

— Ma sono soldi nostri — si stupì lui. — Nella famiglia il budget è comune.

— Comune? E quando ti chiedo di aiutare in casa, allora sono *i tuoi* soldi?

L’ultima goccia fu il compleanno di Beatrice. Elisabetta ci aveva lavorato una settimana. Alessandro aveva promesso di tornare presto per aiutare.

*”Scusa, sono bloccato al lavoro. Spero che tu riesca da sola”*, scrisse un’ora prima della festa.

Elisabetta fissò il messaggio. Dentro di lei, qualcosa si spezzò. Quella sera, mettendo a letto la bambina, prese la sua decisione.

Quando Alessandro tornò, più tardi del solito, la trovò in piedi in corridoio.

— Betta, stira la mia camicia per domani. E perché non c’è cena?

Elisabetta si voltò lentamente.

— Cucina, pulisci e guadagnati i soldi da solo! Non sono la tua domestica.

Andò in camera, prese una borsa già pronta.

— Dove vai? — Alessandro le sbarrò la strada.

— No, è il contrario: finalmente so dove sono. Non ce la faccio più.

— Ma che c’è che non va? Viviamo come tutti…

— Come tutti? Soli insieme? Tu non ci sei più, Ale. Vivi per conto tuo, e io… io sono solo un servizio.

Entrò nella cameretta, sollevò dolcemente Beatrice addormentata.

— Ferma! — Alessandro le bloccò il passo. — Abbiamo una famiglia, una figlia…

— Famiglia? Quella è finita da un pezzo.

— Basta. Ho deciso.

Una piccola stanza in affitto li accolse nel silenzio. Il telefono squillò senza sosta: Alessandro prima la minacciò, poi la supplicò di tornare.

— Cambierò, te lo giuro — diceva.

— No, Ale. Non cambierai. Perché non capisci nemmeno cosa dovresti cambiare.

I giorni diventarono settimane. Elisabetta si sistemò poco a poco. Per la prima volta da anni, sorrideva al mattino e non si sentiva più stanca.

Alessandro continuò a chiamare, sempre meno. Una volta le portò dei fiori al lavoro.

— Proviamoci di nuovo. Ho capito tutto.

— È tardi, Ale — scosse la testa Elisabetta. — Non credo più alle promesse.

Pian piano, si accorse di avere più tempo ed energie. Si iscrisse a un corso, uscì più spesso con le amiche. Soprattutto, imparò ad ascoltarsi. Ora, addormentandosi nella sua piccola casa in affitto, Elisabetta non era più sola. Finalmente era se stessa. E quella libertà valse tutti i dubbi e le paure.

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