Fai del tuo meglio, ragazza

Sai, piccola mia, dovrai impegnarti molto per entrare nella nostra famiglia disse Livia De Santis con lo sguardo severo di uninsegnante pronta a giudicare.

Caterina trattenne a stento un sorriso. Era tutto così prevedibile. La suocera-direttrice già brandiva la bacchetta per colpire la nuova allieva, anche se la lezione non era ancora cominciata.

Marco, seduto accanto a lei, distolse lo sguardo. Si vedeva che avrebbe voluto dire qualcosa tipo «ecco, ci siamo», ma non intervenne. E aveva ragione. Questa non era la sua battaglia.

Impegnarmi? ribatté Caterina con un sorriso di sufficienza. Mi dica, per favore, in che senso. Devo iscrivermi a un corso di cucito? O magari a lezioni di danza?

La scena si svolgeva nella cucina di Livia, un ambiente lussuoso: tende con passamanerie, cioccolatini in vasi di cristallo, un grande tavolo di legno e sedie color champagne. Bella, certo, ma Caterina non avrebbe mai potuto viverci. Era tutto troppo perfetto, come se non fosse una casa ma un set cinematografico.

Caterina, la nostra è una famiglia di un certo livello continuò Livia, fingendo di non cogliere il tono sarcastico della nuora. Siamo persone educate, qui non si accettano estranei qualunque.

Caterina annuì automaticamente, ma non ascoltava più. Quel ruolo le era fin troppo familiare. Ci era già passata, solo che allora non aveva né lesperienza né lautostima per reagire.

Quindici anni prima, Caterina era unaltra: giovane, diligente, con occhi ingenui e la convinzione che «bisognasse essere una brava moglie». Suo marito, Paolo, lo amava profondamente.

Paolo, però, amava solo sua madre.

La prima suocera, Giulia Conti, si sentiva la regina incontrastata della famiglia. Aveva un carattere forte, una voce stentorea e unopinione su tutto. Al secondo pranzo di famiglia, già aveva sentenziato:

Questo pollo è secco come uno straccio. Niente, ti insegnerò io come si cuoce, visto che tua madre non lha fatto.

Caterina allora aveva solo sorriso. Credeva che, se avesse sopportato e fosse stata gentile, lavrebbero apprezzata. Per questo chiamava la suocera «mamma», preparava linsalata russa con la carne invece del prosciutto (come lei chiedeva) e si lasciava criticare su tutto: dal rossetto alla pulizia dei pavimenti.

Quando nacque sua figlia, peggiorò. La suocera non smetteva di impartire lezioni su «come crescere una donna perbene». Tutto con quel tono condiscendente, sorrisi falsi e allusioni sul fatto che Caterina fosse una pessima maestra.

I pannolini sono una tortura per i bambini! esclamò Giulia un giorno, porgendole le fasce. Sono per i pigri. Tu sarai una brava mamma, vero?

Paolo non interveniva mai. Neppure quando la figlia, che ancora non pronunciava bene la «r», chiese:

Mamma, ma perché sei scema?

Caterina rimase senza parole.

Cosa? Chi te lha detto?
Nonna Giulia.

Quando Caterina chiese a Paolo di parlare con sua madre, lui si strinse nelle spalle.

Dai, su. Lavrà detto senza pensarci. Conosci il suo carattere.

Caterina lo conosceva bene. Una volta aveva cercato di compiacerla. Si era seduta a tavola e aveva ascoltato, davanti a tutti, che «aveva rovinato il piatto risparmiando sul formaggio». Aveva comprato regali costosi, sperando in un complimento. Si era comportata perfettamente, finché non capì che, agli occhi di Giulia, la perfezione era sempre altrove.

Dopo quellepisodio, Caterina pensò seriamente al divorzio e presto presentò le carte. «Carattere difficile»? Per lei era solo un modo per dire: «Mi comporto male e non voglio cambiare».

Morirai sola, in una stazione! Vivrai solo con i gatti! profetizzò la suocera.

I gatti non arrivarono mai, ma tenne il suo appartamento, il lavoro e la dignità.

Poi arrivò Marco. Si erano conosciuti tramite amici, si erano scambiati i numeri e avevano cominciato a parlare. Marco forse non era un romantico sognatore, non prometteva montagne doro, ma rispettava i suoi sentimenti. Sapeva del suo passato e accettava sua figlia.

E voleva sposarla. Caterina non disse di no, ma temporeggiava. Amava Marco, ma non voleva ritrovarsi di nuovo intrappolata in una famiglia dove non sarebbe mai stata accettata. Però Marco era diverso. Non metteva sua madre al centro di tutto, e così Caterina decise di rischiare.

Ora, seduta nella casa di Livia, ascoltava lo stesso monologo di anni prima, ma senza più vergogna o paura. Solo un senso di déjà-vu e noia.

Noi, sai, non accettiamo chiunque continuò Livia. Marco è buono, a volte non vede le cose. Io invece vedo tutto. Quindi impegnati, piccola.
Grazie per i consigli rispose Caterina con un sorriso freddo. Ma, se permette, per ora sarò semplicemente la moglie di suo figlio. La mia famiglia ce lho già. Mia figlia, mio marito. A me basta.

Non aspettò la fine della serata e si alzò. Marco la seguì, prendendole la mano appena uscirono.

Stai bene? chiese piano.
Sì, tranquillo. Ormai è un classico.

Questa volta Caterina sapeva chi era e cosa voleva. Se la suocera non lavesse accettata, pazienza. Non era obbligata ad amarla. E nemmeno lei lo era.

Passarono quasi due anni da quel «consiglio» di impegnarsi. Ma, con grande disappunto di Livia, la nuora non ci aveva nemmeno provato. Niente visite, inchini o spettacoli di buona educazione. Vivevano semplicemente nella sua casa, insieme a Marco, che aveva stretto un bel rapporto con Sofia, la figlia di Caterina.

I contatti con Livia rimasero formali. Se cerano auguri, erano via telefono. I regali li portava solo Marco, e solo a nome suo. Nessun litigio, ma nessun tentativo di avvicinarsi.

Caterina non proibiva a Marco di vedere sua madre. Era pur sempre sua madre. Ma non le apriva la porta di casa. Marco rispettava la sua scelta, ricordando bene quella conversazione.

Il confronto con il primo marito era inevitabile.

Mamma dice che spendi troppo. Vuoi che ti aiuti con la lista della spesa? le aveva chiesto una volta.

E Caterina aveva accettato. Davvero era stata scema. Aveva sperato che Giulia lavrebbe accettata. Ma non era mai successo.

Marco era diverso, con una forza interiore e idee chiare. Non costringeva nessuno a baciarsi i piedi e sapeva separare il rapporto con sua madre da quello con la moglie.

Mamma, lei è così diceva a Livia quando si lamentava. Se non ti piace, non frequentarla, ma io resterò con lei, che ti piaccia o no.

Marco le aveva detto chiaramente che stava bene con Caterina. E lei sentiva, per la prima volta, di non dover combattere da sola. Accanto a lei cera qualcuno che non scappava al primo conflitto e non la lasciava in balia della suocera per un piatto di lasagne e un po di approvazione.

Caterina apprezzava questo più di una cena romantica, dei fiori o delle dichiarazioni roboanti. Marco le dava uno spazio in cui poteva essere sé stessa, non

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