Felicità Ritardata

**Felicità Tardiva**

Marco vagò a lungo per la città sconosciuta prima di arrivare alla stazione. Le gambe gli dolevano dalla stanchezza, e l’umore era nero. Era partito con tanta gioia, senza immaginare che sarebbe dovuto scappare così, come un gatto sorpreso in flagrante.

Notò un posto libero nella sala d’attesa e si sedette per riprendere fiato. “Ora mi riposerò un attimo, poi andrò a controllare i biglietti. Cinque minuti non cambieranno nulla. Meno male che non ho prenotato il ritorno. Pensavo di fermarmi una settimana… Beh, pazienza.”

Quando sentì le gambe meno pesanti, sollevò la borsa sportiva e si diresse alle biglietterie. In fila, osservò il viavai della stazione, chiedendosi cosa avrebbe fatto se non ci fossero stati posti. Ma il bigliettaio gliene consegnò uno, anche se il treno sarebbe partito solo tra tre ore. Non importava. L’importante era tornare a casa.

Marco infilò il biglietto e il passaporto nella tasca della giacca, poi si guardò intorno: il suo posto era già occupato. Uscì all’aperto, verso i binari. Anche lì c’erano panchine. Un treno veloce era pronto alla partenza, il tabellone elettronico segnava orario e destinazione. Tutti i passeggeri erano già saliti, lasciando le panchine vuote.

L’odore acre di creosoto e polvere si mescolava al fumo, all’alito di vino e al sudore dei corpi non lavati. Neanche l’aria fresca aiutava. In un giorno, migliaia di persone transitavano lì, compresi barboni e ubriachi.

Marco si sistemò su una panchina con vista sui tabelloni, pronto ad aspettare. Ripercorreva mentalmente la discussione con il nipote di Elena, cercando le parole giuste che allora gli erano mancate…

“Libero?” disse una voce giovane accanto a lui.

Marco alzò lo sguardo e vide un uomo in completo elegante, con una valigetta a rotelle.

“Sì, accomodati,” rispose, spostandosi un po’, anche se c’era spazio. Notò che tutte le altre panchine erano occupate.

L’uomo si sedette all’estremità, allentò la cravatta e sistemò la valigia.

“Sei qui per lavoro?” chiese Marco, desideroso di parlare con qualcuno.

“No, torno a casa da un viaggio d’affari,” rispose con riluttanza, guardandolo.

“Anch’io torno,” sospirò Marco.

“Anche tu in trasferta?” chiese l’altro, scettico.

“No. Ero in visita. Pensavo di fermarmi una settimana, ma non è andata,” disse Marco, chinando la testa.

“Ti hanno cacciato?” domandò l’uomo, con un filo di compassione.

“Più o meno. Aspetto il treno per Napoli. E tu?”

“Sfortuna, anche io devo tornare prima del previsto. Ho dovuto cambiare il biglietto.”

“Che vagone?” chiese Marco, curioso.

“L’undicesimo.”

“Allora viaggiamo insieme. Per caso è il quinto scompartimento?”

“Proprio il quinto,” disse l’uomo, sorpreso, tirando fuori il biglietto per controllare. Poi annuì e lo rimise in tasca. Batté le mani sulle ginocchia.

“Che coincidenza. L’hai preso ora?” chiese, studiando Marco meglio. Sarebbero stati compagni di viaggio.

“Sì.”

“Dovevo partire tra due giorni, ma mia moglie mi ha chiamato: nostra figlia è malata. Dice che ha paura persino di nominare la diagnosi, piange disperata. Ho dovuto interrompere tutto.”

“Sarebbe stato più veloce l’aereo,” osservò Marco.

“A dirti la verità, ho paura di volare. Il treno è più tranquillo.”

In quel momento, il telefono dell’uomo squillò. Lo tirò fuori e rispose. Marco distolse lo sguardo, fingendo di non ascoltare.

“Pronto? Sì, sono in stazione, ho già il biglietto… Anche io speravo… Mi manchi. Non piangere, cercherò di venire da te…” Ascoltò a lungo, lo sguardo perso. “Va bene, ti chiamo se cambia qualcosa. Ciao, un bacio.” Chiuse la chiamata e ripose il telefono. Il suo umore era peggiorato. Rimase in silenzio, assorto nei pensieri. Anche Marco taceva.

“Non fare finta di non capire,” disse improvvisamente l’uomo. “Non giudicarmi, vecchio. Non sai niente.”

“Non ti giudico. Non sono affari miei.”

“Giusto. Farei di tutto per mia figlia. Ma mia moglie… Mi sono innamorato come un ragazzino. A te è mai successo?” Si girò verso Marco, aspettando una risposta.

“Capita. Ma non ho mai tradito mia moglie. Se ti sposi, hai una responsabilità. E se fosse lei a farlo? Come vivresti?” confessò Marco. “Quindi, la trasferta era una scusa?”

“Esatto. Vengo qui ogni sei mesi, mi riposo l’anima. E così riesco a continuare.” I suoi occhi si velarono.

“Quanti anni ha tua figlia?” chiese Marco.

“Dodici. E tu dove vai? Eri dai tuoi figli? Tuo figlio ti ha sbattuto la porta in faccia?” domandò, con un tono quasi vendicativo.

“Mio figlio vive a Roma con la sua famiglia. Mi invita sempre. Ma a cosa servo io? Hanno la loro vita. Non voglio intralciare.”

“Giusto,” annuì il compagno di panchina.

“Mia moglie è morta tre anni fa. Mi ero sposato per dispetto, per dimenticare un altro amore. Quando se n’è andata, ho pensato di seguirla. Era insopportabile la solitudine. Forse l’amavo, senza rendermene conto. L’amore è strano. Ma va bene così. Se non ci pensi, il dolore è più lieve.”

“Eri dai parenti?” chiese l’uomo.

Era strano: quando si è giù, i problemi degli altri sembrano alleggerire i propri.

“No, ma dalla persona più importante della mia vita.”

“Racconta. Abbiamo tre ore da passare. Mi chiamo Luca.” Tese la mano.

“Marco.”

Si strinsero la mano.

“Senti, Elena mi ha preparato del pollo e delle torte. Cucina bene. Vuoi che prendiamo una birra?” propose Luca, come a un vecchio amico.

“Non bevo. E non ho fame. Se vuoi, mangia tu,” rispose Marco.

“Hai ragione. Allora racconta.” Luca si sistemò meglio sulla panchina, incrociò le gambe.

“Che c’è da dire?” iniziò Marco. “A scuola amavo una ragazza. Perdevo la testa, il respiro mi mancava quando la vedevo. Ma lei non mi notava. Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Poi sono partito per il servizio militare. Ci credi? Pensavo anche alla diserza, ero pazzo di gelosia.”

“Lei si è sposata mentre ero via. Lo seppi solo quando tornai. Aveva già una figlia. Con il mio migliore amico. Io l’amavo, ma lui l’ha sposata. Lo incontrai, volevo parlare. E lui mi chiese se fossi io il padre del bambino. Scoppiai. Non mi trattenni, gli diedi un pugno.”

“Era davvero tuo figlio?” chiese Luca, impaziente.

“Te l’ho detto, non è successo nulla tra noi, neanche un bacio. L’amavo da lontano.” Marco lo guardò severo. “Soffrivo. Vedendoli insieme, mi mordevo le labbra fino al sangue. Evitavo la loro casa. Pensai che sposarmi mi avrebbe calmatoSi strinsero le mani, salirono sul treno insieme, e mentre la campagna italiana scorreva veloce fuori dal finestrino, Marco capì che non era mai troppo tardi per ricominciare, e sorrise.

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