Ferite del Tradimento

Le ferite del tradimento

Giulia stava finendo di lavare i piatti quando il telefono squarciò il silenzio della cucina in un paesino vicino a Bologna. Asciugandosi le mani con lo strofinaccio, rispose.
— Ciao, Giulia, tesoro! — la voce zuccherosa di zia Luisa riempì la linea.
— Buonasera — rispose lei, trattenendo un sospiro.
— Giu, sai che mio figlio si trasferisce a Bologna? Avrebbe bisogno di un posto dove stare. Lo potresti ospitare? — chiese con tono mellifluo.
— No! Non ho spazio! Arrangiatevi — ribatté Giulia, sentendo il sangue salirle alle guance.
— Ma come? Siamo famiglia… — balbettò Luisa, confusa.
— Dopo quello che avete fatto, non voglio più avervi a che fare! — replicò secca.
— Ma di che parli? Cosa avrei fatto? — la voce della zia tremò di panico.

— Dai, Giulia, non mi dirai di no, vero? — Luisa sembrava quasi farle un favore, invece di chiederne uno.

Giulia si avvicinò alla finestra, stringendo i pugni. Queste conversazioni si ripetevano troppo spesso. Ancora una volta avrebbe dovuto mettere da parte i suoi piani per la “famiglia”.
— Cosa c’è stavolta? — domandò, già intuendo la risposta.
— Mia nipote ha bisogno di ripetizioni di matematica! — esordì Luisa. — Gli esami sono vicini e il prof è severissimo. Tu sei bravissima, la aiutereesti?

Giulia digrignò i denti. Aveva già dato lezioni gratis a quattro cuginetti. Ma rifiutarsi non era un’opzione: così era stata cresciuta.
— Va bene — sospirò, odiando la propria debolezza.

Nella sua famiglia, aiutare i parenti era un dovere sacro. I genitori le avevano insegnato che la famiglia è tutto, che non si abbandonano i propri cari. Non badavano a spese, non si tiravano indietro. Se qualcuno aveva bisogno, loro c’erano.
— Un giorno ci aiuteranno anche loro — ripeteva sempre la madre.

Giulia ci credeva.

I suoi non erano ricchi, ma gestivano una piccola alimentari. Vivevano modestamente, ma dignitosamente. Bastava per essere il “bancomat” di tutta la parentela. Qualcuno veniva a Bologna e soggiornava da loro per risparmiare sull’hotel. Altri chiedevano prestiti che poi svanivano nel nulla. Se serviva un lavoro, si rivolgevano al padre.

Anche lei faceva la sua parte. Dopo l’università, era diventata la ripetutrice gratuita di nipoti, cugini e parenti alla lontana. Passava le serate con i loro figli, sacrificando il suo tempo. Era convinta: se avessero avuto bisogno, la famiglia sarebbe tornata il favore.

Quella fiducia si spezzò in mille pezzi.

— Ne siete sicuri? — la voce di Giulia tremò, le dita affondarono nel bordo del tavolo.

Il dottore la guardò con compassione, abituato a dare queste notizie.
— Abbiamo rifatto gli esami — disse piano. — Bisogna iniziare la terapia subito.

Giulia annuì, sentendo il terreno mancarle sotto i piedi. L’idea di non essere soli era l’unica ancora a cui aggrapparsi.

A casa, regnava un silenzio di tomba. Il padre fissava il vuoto. La madre andava avanti e indietro con il telefono in mano, ma non riusciva a chiamare. Giulia li osservò e capì: non potevano arrendersi.
— Ce la faremo — disse, rompendo il gelo. — Siamo in tanti. Resisteremo.

Il padre sospirò pesantemente.
— E i soldi? Costa troppo…
— Li troviamo — tagliò corto la madre.

Cominciarono a vendere tutto: l’appartamento di Giulia, l’auto, i gioielli, perfino i mobili. I genitori svuotarono i risparmi dell’attività. Ma non bastava. Allora fecero la cosa più naturale: si rivolsero ai parenti che avevano sempre aiutato.
— È un momento difficile — la voce della madre tremò. — Abbiamo bisogno di aiuto. Qualsiasi cifra, quel che potete.

In risposta, silenzio. Poi scuse imbarazzate.
— Forza — borbottò una zia. — Vorremmo, ma siamo in difficoltà anche noi…
— Che peccato — aggiunse uno zio. — Abbiamo il mutuo, siamo pieni di debiti…
— Darei volentieri, ma i soldi sono vincolati — rispose fredda una cugina.

Giulia ascoltava, sconvolta. Quelli che per anni avevano approfittato di loro, ora non trovavano nemmeno mille euro.

Rispose solo un parente lontano. Mandò una piccola somma, scusandosi per non poter fare di più. Giulia sapeva che per lui era tanto, e ne fu grata.
— Grazie — disse, trattenendo le lacrime.

Poi spense il telefono e serrò i pugni. Ce l’avrebbero fatta. Anche se nessuno credeva in loro.

Dovettero chiedere un prestito, ipotecando la casa dei genitori.
— Lo facciamo davvero? — la voce di Giulia vacillò, le mani tra i capelli.
— Non abbiamo scelta — rispose stanca la madre.

Erano in cucina, circondati da pile di carte e fatture. Fuori era buio, ma nessuno accese la luce — risparmiavano.
— Se non paghiamo, perdiamo tutto — sussurrò Giulia.
— Se ci fermiamo, perdiamo tuo padre — replicò la madre.

I soldi arrivarono, ma sparirono altrettanto in fretta. Ogni centesimo andava alle cure, ogni terapia era una speranza. Giulia smise di contare le corse in ospedale, le analisi, le medicine.

Le condizioni del padre migliorarono. Era l’unica cosa che contava.
— Ci sono progressi — disse il dottore, togliendosi gli occhiali. — Ma non abbassiamo la guardia. La strada è lunga.

La madre tirò un sospiro, Giulia annuì. Erano pronte.

Lavorarono senza sosta. La madre teneva in piedi il negozio, faceva la contabile per tre aziende, correva da un impegno all’altro. Giulia accettava qualsiasi lavoro: di giorno l’impiego fisso, di sera ripetizioni, di notte traduzioni freelance.
— Quand’è che dormi? — chiese la madre, trovandola in cucina alle cinque del mattino.
— Non ricordo — rise rauca Giulia, preparando il caffè.

Si scambiarono uno sguardo e sorrisero. Era dura, ma non si sarebbero arrese.

Passarono due anni di lotta. Due anni di fatica, insonnia, nervi, numeri e sacrifici. Ma il padre tornò a camminare, a lavorare, a essere sé stesso.

Una sera, seduto a tavola, guardò la moglie e la figlia e disse piano:
— Grazie.

Giulia gli strinse la mano senza parlare.

E fu allora che i parenti riapparvero.
— Giulia, ciao, amore! — cinguettò zia Luisa. — Siete spariti! Come sta tuo padre? Tutto bene?

Giulia si aggrappò alla poltrona, incredula. La zia parlava come se quegli anni di disperazione non fossero mai esistiti.
— Sì, tutto a posto — rispose gelida.
— Meno male! — esclamò Luisa. — Pensavamo fossi arrabbiata. Ma in famiglia si perdona, no?

A Giulia si seccò la gola.
— Cosa vuoi? — domandò, sentendo l’inganno.

Una pausa, poi la solita richiesta:
— Mio figlio viene a Bologna, gli serve un— Mi dispiace, Luisa, ma non possiamo aiutarti — rispose Giulia, e riagganciò con un sorriso amaro.

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