**Ferite dal Tradimento**
Giorgia stava lavando i piatti quando il telefono squarciò il silenzio della cucina in un piccolo paese vicino a Verona. Si asciugò le mani con il tovagliolo e rispose.
— Ciao, Giorgia, tesoro! — la voce melliflua di zia Lina risuonò nell’orecchio.
— Buonasera, — rispose lei con freddezza.
— Giorgina, mio figlio si trasferisce a Verona e ha bisogno di un posto dove stare. Potresti ospitarlo? — cantilenò la zia con dolcezza.
— No! Non ci penso nemmeno! Arrangiatevi! — tagliò corto Giorgia, sentendo il sangue salirle al viso.
— Ma come… Siamo famiglia, — balbettò Lina, spiazzata.
— Dopo quello che avete fatto, per me non esistete più! — ribatté senza esitazione.
— Cosa? Di che parli? — la voce della zia tradisce un’improvvisa agitazione.
— Giorgia, non mi dirai di no, vero? — la voce di Lina era dolce come il miele, come se stesse facendo un favore anziché chiedere aiuto.
Giorgia restò immobile davanti alla finestra, stringendo i pugni. Quelle conversazioni si ripetevano troppo spesso. Avrebbe dovuto rinunciare di nuovo ai suoi piani per la “famiglia”.
— Cosa c’è? — chiese, anticipando già la risposta.
— Mia nipote ha bisogno di ripetizioni di matematica! — si affrettò a dire Lina. — Gli esami sono vicini, e l’insegnante è severo, dà voti bassi a tutti. Tu che sei così brava, potresti aiutarla, no?
Giorgia digrignò i denti. Aveva già fatto lezioni gratuite per quattro cugini. Ma dire di no non era un’opzione: così era stata cresciuta.
— Va bene, — sospirò, odiando la sua debolezza.
Nella loro famiglia, aiutare i parenti era una regola sacra. I genitori di Giorgia le avevano insegnato fin da piccola che la famiglia è un sostegno, che non si abbandonano i propri cari. Non badavano a spese né a sacrifici. Se un parente aveva bisogno, erano sempre i primi a rispondere.
— Un giorno anche noi avremo bisogno, — ripeteva la madre.
Giorgia ci credeva.
I suoi genitori non erano ricchi, ma gestivano una piccola bottega. Vivevano con modestia, ma dignitosamente. Bastava però per diventare i “bancomat” di tutta la parentela. Chi veniva a Verona soggiornava da loro per risparmiare sull’hotel. Chi aveva bisogno di soldi li chiedeva a loro, promettendo di restituirli, ma i debiti svanivano nel nulla. Se serviva un lavoro, si rivolgevano al padre.
Giorgia non era da meno. Dopo l’università, diventò la tutor gratuita di nipoti, cugini e parenti lontani. Passò anni a dedicare le sue serate ai loro figli, sacrificando il suo tempo. Era convinta: se un giorno avessero avuto bisogno, i parenti avrebbero fatto lo stesso.
Quella fiducia andò in frantumi.
— Siete sicuri? — la voce di Giorgia tremava, le dita affondavano nel bordo del tavolo.
Il medico la guardò con compassione, abituato a dare cattive notizie.
— Abb fatto i controlli più volte, — disse piano. — Le cure devono cominciare subito.
Giorgia annuì, sentendo il terreno mancarle sotto i piedi. La speranza di non essere soli era l’unica ancora in quel mare di disperazione.
A casa regnava un silenzio di tomba. Il padre fissava il muro, la madre andava avanti e indietro con il telefono in mano, ma non riusciva a chiamare nessuno. Giorgia li osservò e capì: non potevano arrendersi.
— Ce la faremo, — disse, rompendo il silenzio. — Siamo in tanti. Resisteremo.
Il padre sospirò pesantemente.
— Ma i soldi? È troppo costoso…
— Li troveremo, — tagliò corto la madre.
Cominciarono a vendere tutto: l’appartamento di Giorgia, l’auto, i gioielli, persino i mobili. I genitori svuotarono i risparmi del negozio. Ma non bastava. Allora fecero ciò che sembrava naturale: chiesero aiuto a quei parenti che avevano sostenuto per anni.
— Parenti, siamo nei guai, — tremava la voce della madre. — Abbiamo bisogno di aiuto. Qualsiasi cifra, quel che potete.
Silenzio. Poi scuse evasive.
— Forza, — borbottò una zia. — Noi vi saremmo vicini, ma a malapena arriviamo a fine mese…
— Che peccato, — si lamentò uno zio. — Abbiamo il mutuo, i debiti…
— Darei volentieri, ma i soldi sono vincolati, — rispose fredda una cugina.
Giorgia ascoltava incredula. Quelli che per anni avevano preso i loro soldi, vissuto nella loro casa, approfittato delle loro conoscenze, ora non potevano dare nemmeno mille euro.
Rispose solo un cugino lontano. Inviò una piccola somma, scusandosi per non poter fare di più. Giorgia sapeva che per lui era tanto e ne fu grata.
— Grazie, — disse, trattenendo le lacrime.
Poi spense il telefono e strinse i pugni. Ce l’avrebbero fatta. Anche se nessuno credeva in loro.
Dovettero chiedere un prestito, ipotecando la casa dei genitori.
— Lo stiamo davvero facendo? — la voce di Giorgia vacillò, le mani tra i capelli.
— Non abbiamo scelta, — rispose esausta la madre.
Erano seduti in cucina tra pile di documenti, bollette e calcoli. Fuori era buio, ma nessuno accese la luce: risparmiavano.
— Se non paghiamo, perdiamo tutto, — sussurrò Giorgia.
— Se ci fermiamo, perdiamo tuo padre, — replicò la madre.
I soldi arrivarono in fretta, ma sparirono altrettanto in fretta. Ogni centesimo andava alle cure, ogni trattamento era una speranza. Giorgia smise di contare i viaggi in ospedale, le analisi, le ricette.
Le condizioni del padre migliorarono. Era l’unica cosa che contava.
— Ci sono progressi, — disse il medico, togliendosi gli occhiali. — Ma non abbassiamo la guardia. C’è ancora molta strada.
La madre tirò un respiro, Giorgia annuì. Erano pronte.
Lavorarono come pazze. La madre reggeva il negozio, faceva la contabile per tre aziende, correva da un appuntamento all’altro. Giorgia accettava qualsiasi lavoro: di giorno il suo impiego, la sera le ripetizioni, la notte traduzioni freelance.
— Quand’è che dormi? — chiese la madre una volta, trovandola in cucina alle cinque del mattino.
— Non ricordo, — rise rauca Giorgia, preparando il caffè.
Si scambiarono un’occhiata e sorrisero. Dura, ma non si sarebbero arrese.
Due anni di battaglia. Due anni di fatica, insonnia, nervi, numeri e risparmi. Ma il padre riuscì a camminare, tornò al lavoro, ritrovò se stesso.
Una sera sedette a tavola, guardò la moglie e la figlia e disse piano:
— Grazie.
Giorgia gli strinse la mano senza parlare.
Fu allora che i parenti riapparvero.
— Giorgia, ciao, cara! — cinguettò zia Lina. — Siete spariti! Come sta tuo padre? Tutto bene?
Giorgia si aggrappò alla poltrona, incredula. La zia parlava come se quegli anni di lotta non fossero mai— Sì, sta bene, ma non abbiamo spazio per ospiti, — rispose fredda, riagganciando con decisione.