Ferite del Tradimento

*Ferite del tradimento*

Sofia stava sparecchiando la tavola quando il telefono squarciò il silenzio della cucina nel suo piccolo paese vicino a Pisa. Si asciugò le mani con un panno e rispose alla chiamata.
«Ciao, tesoro!» esordì la voce melliflua di zia Elisa.
«Buonasera,» rispose Sofia con tono controllato.
«Sofì, mio figlio sta traslocando a Pisa e ha bisogno di un posto dove stare. Potrebbe alloggiare da te?» insistette la zia con un tono zuccheroso.
«No! Non c’è posto. Risolvete da soli!» ribatté secca Sofia, sentendo il sangue salirle alle guance.
«Ma come… Siamo famiglia!» balbettò Elisa, smarrita.
«Dopo quello che avete fatto, non voglio più avervi intorno!» replicò gelida.
«Di che parli? Cosa avrei fatto?» Nella voce della zia si insinuò il panico.

«Sofia, non mi dirai di no, vero?» Elisa parlava con un tono stucchevole, come se stesse facendo un favore anziché chiedere un aiuto.

Sofia si avvicinò alla finestra, stringendo i pugni. Conversazioni simili si ripetevano troppo spesso. Avrebbe dovuto sacrificare di nuovo i suoi progetti per la “famiglia”.
«Cosa è successo?» domandò, già intuendo la risposta.
«Tua cugina ha bisogno di ripetizioni di matematica!» si affrettò a dire Elisa. «Gli esami sono vicini, e l’insegnante è severissimo. Tu sei così brava, potresti aiutarla, no?»

Sofia digrignò i denti. Aveva già dato lezioni gratuite a quattro cuginetti. Ma dire di no era impossibile: così era stata cresciuta.
«Va bene,» sospirò, odiando la propria debolezza.

Nella sua famiglia, aiutare i parenti era una regola sacra. I genitori di Sofia le avevano insegnato fin da piccola che la famiglia è un punto fermo, che non si abbandonano i propri cari. Non badavano a spese né a sforzi. Se un parente aveva bisogno, loro erano sempre pronti a intervenire.
«Un giorno saranno loro ad aiutarci,» ripeteva la madre.

E Sofia ci aveva creduto.

I suoi genitori non erano ricchi, ma gestivano una piccola tabaccheria. Vivevano con sobrietà ma dignitosamente. Bastava però per diventare i “benefattori” di tutta la parentela. C’era chi veniva a Pisa e soggiornava da loro per risparmiare sull’albergo; chi chiedeva prestiti, promettendo di restituirli, ma i debiti svanivano nel nulla. Se serviva un lavoro per un cugino, si rivolgevano al padre.

Anche Sofia faceva la sua parte. Dopo l’università, era diventata la tutor gratuita di nipoti e cugini di ogni grado. Per anni aveva sacrificato le sue serate per i loro figli, credendo che un giorno, se necessario, la parentela avrebbe ricambiato.

Quella fiducia si infranse in mille pezzi.

«Siete certi?» La voce di Sofia tremava, le dita affondavano nel bordo del tavolo.

Il medico la guardò con compassione, abituato a dare notizie simili.
«Abbiamo controllato più volte,» disse piano. «La cura deve iniziare subito.»

Sofia annuì, sentendo il pavimento mancarle sotto i piedi. Pensare che non erano soli era l’unica ancora in quell’inferno.

A casa regnava un silenzio di tomba. Il padre era seduto, fisso nel vuoto. La madre si aggirava per la stanza, stringendo il telefono ma senza il coraggio di chiamare. Sofia li guardò e capì: non potevano arrendersi.
«Ce la faremo,» disse, rompendo il silenzio. «Siamo in tanti. Resisteremo.»

Il padre sospirò pesantemente.
«Ma i soldi? È troppo costoso…»
«Troveremo i soldi,» tagliò corto la madre.

Iniziarono a vendere tutto: l’appartamento di Sofia, l’auto, i gioielli, persino i mobili. Ritirarono i risparmi dall’attività. Ma non bastava. Allora fecero l’unica cosa che sembrava logica: chiesero aiuto ai parenti che per anni avevano sostenuto.
«Cari, siamo nei guai,» tremava la voce della madre. «Abbiamo bisogno di aiuto. Qualsiasi cifra, chi può.»

In risposta, silenzio. Poi scuse evasive.
«Forza,» borbottò una zia. «Noi vorremmo, ma stentiamo a arrivare a fine mese…»
«Che peccato,» replicò uno zio. «Abbiamo il mutuo da pagare…»
«Ti aiuterei, ma i soldi sono vincolati,» rispose fredda una cugina.

Sofia ascoltò incredula. Quelli che per anni avevano approfittato della loro generosità, ora non potevano nemmeno versare un centesimo.

Rispose solo un cugino lontano. Inviò una piccola somma, scusandosi per non poter fare di più. Sofia sapeva che per lui era tanto, e ne fu grata.
«Grazie,» disse, trattenendo le lacrime.

Poi spense il telefono e serrò i pugni. Ce l’avrebbero fatta. Anche se nessuno credeva in loro.

Dovettero chiedere un prestito, ipotecando la casa dei genitori.
«Lo stiamo davvero facendo?» La voce di Sofia vibrava mentre si stringeva la testa tra le mani.
«Non abbiamo scelta,» rispose stanca la madre.

Erano sedute in cucina tra pile di documenti e fatture. Fuori era buio, ma non accesero la luce: si risparmiava su tutto.
«Se non paghiamo, perdiamo tutto,» sussurrò Sofia.
«Se ci fermiamo, perdiamo tuo padre,» replicò la madre.

I soldi arrivarono in fretta, ma altrettanto in fretta scomparvero. Ogni centesimo andava alle cure, ogni trattamento era una speranza. Sofia smise di contare le corse in ospedale, le analisi, le ricette.

Le condizioni del padre migliorarono. Era l’unica cosa che contava.
«Ci sono progressi,» disse il medico, levandosi gli occhiali. «Ma non abbassiamo la guardia. C’è ancora molta strada.»

La madre tirò un respiro, Sofia annuì. Erano pronte.

Lavorarono senza sosta. La madre tirava avanti con la tabaccheria, faceva la contabile per tre aziende, correva da un appuntamento all’altro. Sofia si occupava di tutto: di giorno il lavoro fisso, la sera le ripetizioni, la notte traduzioni freelance.
«Quando dormi?» le chiese la madre, trovandola in cucina alle cinque del mattino.
«Non ricordo,» rise Sofia, versando il caffè.

Si scambiarono un’occhiata e sorrisero. Era dura, ma non si sarebbero arrese.

Due anni di lotta. Due anni di stanchezza, insonnia, nervi tesi, numeri e sacrifici. Ma il padre tornò a camminare, riprese il lavoro, ridiventò sé stesso.

Una sera si sedette a tavola, guardò moglie e figlia e mormorò:
«Grazie.»

Sofia gli strinse la mano senza parlare.

Fu allora che i parenti riapparvero.
«Sofia, cara!» cinguettò zia Elisa. «Siete spariti! Come sta tuo padre? Tutto bene?»

Sofia afferrò il bracciolo della sedia, incredula. La zia parlava come se quegli anni di silenzio non fossero mai esistiti.
«Sì, tutto bene,» rispose glaciale.
«Perfetto!» esclamò Elisa. «P”E poi, senza nemmeno aspettare una risposta, aggiunse: ‘Mio figlio ha bisogno di un posto dove stare a Firenze, sai com’è, i prezzi degli affitti sono assurdi’.”

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