Paolo Antonio non avrebbe mai immaginato di trascorrere la vecchiaia dietro le sbarre di una porta altrui, sorvegliato da infermiere e circondato da gente abbandonata dai propri figli. Credeva di meritare qualcosa di più—rispetto, calore, tranquillità. Dopotutto, aveva lavorato tutta la vita per mantenere la famiglia, costruendo giorni feriali e festivi attorno alla sua unica gioia: la moglie Livia e la figlia Beatrice.
Con Livia aveva passato più di trent’anni anima e corpo. Dopo la sua morte, quattro anni prima, la casa era diventata vuota e fredda. L’unico conforto erano Beatrice e la nipotina Sofia. Lui aiutava come poteva—badava alla bambina, dava parte della pensione per la spesa, la teneva quando sua figlia e il marito uscivano per il cinema o il lavoro. Poi, all’improvviso, tutto cambiò.
Beatrice cominciò a guardarlo male quando si attardava in cucina. La infastidiva se tossiva. *”Papà, hai già vissuto la tua vita, lascia vivere gli altri!”* diventò un ritornello. Poi iniziarono i discorsi su *”una casa di riposo con ottime condizioni”*, *”un posto accogliente con medici e televisione”*. Paolo cercò di opporsi.
*”Bea, questa è la mia casa. Se ti sta stretta, vai dalla suocera. Vive sola in un trilocale.”*
*”Lo sai che siamo in guerra, no? E poi, non iniziare!”* gli ringhiò la figlia.
*”Vuoi solo l’appartamento. Perché non guadagni qualcosa invece di cacciare tuo padre?”*
Dopo quella discussione, lo chiamò *”egoista”*, minacciando di *”trovare un modo per fargliela pagare”*. Una settimana dopo, fece le valigie da solo. Non perché volesse, ma perché era insopportabile sentirsi di troppo nella propria casa. Se ne andò in silenzio. Beatrice raggiante. Quasi lo caricò in spalla per accompagnarlo fuori.
Nella casa di riposo gli diedero una stanzetta con una finestra e una vecchia televisione. Paolo passava le giornate in cortile, all’aria aperta, tra altri abbandonati come lui.
*”Sono stati i tuoi figli a metterti qui?”* gli chiese un giorno una vicina di panchina.
*”Sì, mia figlia ha deciso che intralcio,”* rispose, trattenendo le lacrime.
*”Uguale a me. Mio figlio ha preferito sua moglie. Mi hanno sbattuto fuori. Mi chiamo Fede.”*
*”Io sono Paolo. Piacere.”*
Diventarono amici. Era più facile sopportare il dolore quando vicino c’era chi capiva. Passò un anno. Beatrice non chiamò mai. Non si fece viva.
Un giorno, mentre leggeva, sentì una voce familiare.
*”Paolo Antonio? Non mi aspettavo di vedervi qui,”* disse sorpresa Anna, la sua ex vicina di casa, medico in visita alla struttura.
*”Eccomi. Da un anno. Come vedi, diventato inutile. Nessuna chiamata, nessun messaggio.”*
*”Strano… Beatrice diceva che avete comprato una casetta in campagna, che siete andati a riposarvi fuori città.”*
*”Magari! Invece sono finito qui, dietro un cancello.”*
Anna scosse la testa. Ma dopo la visita tornò. Non riusciva a togliersi quel discorso dalla mente. Due settimane dopo, riapparve con una proposta:
*”Paolo Antonio, la casa di mia madre in campagna è vuota. È morta poco fa, e abbiamo venduto tutto. La casa è solida, c’è il bosco, il fiume vicino. Se vuole, può andare lì. Io non ci torno, e venderla mi sembra uno spreco.”*
Paolo tacque, poi scoppiò in lacrime. Uno sconosciuto gli offriva quello che sua figlia aveva rifiutato di dargli.
*”Posso chiederti un’altra cosa? Qui c’è una donna… Fede. Anche lei non serve a nessuno. Vorrei che venisse con me.”*
*”Certo,”* sorrise Anna. *”Se è d’accordo, nessun problema.”*
Paolo corse da Fede:
*”Fai le valigie! Andiamo! Casa in campagna, aria fresca, libertà. Starà bene. Che ci facciamo qui?”*
*”Andiamo! Verso una vita nuova!”*
Prepararono le valigie, comprarono qualcosa da mangiare e partirono. Anna li accompagnò, non volendo farli viaggiare in autobus. Paolo abbracciò la vicina, senza sapere come ringraziarla. Chiese solo una cosa: *”Non dirlo a Beatrice, però. Non voglio nemmeno sentirne parlare.”*
Anna sorrise e annuì. Non aveva fatto niente di speciale. Solo comportarsi da essere umano. E oggi questo, purtroppo, è già un miracolo.