Figlia e i suoi tre bambini vengono ogni giorno a pranzo: sono stanca di essere la loro cucina

Oggi è un altro giorno in cui mi sento stanca. Mia figlia e i suoi tre bambini vengono a pranzo da me ogni giorno, e ormai sono esausta di fare da cucina per loro.

Vivo in un piccolo paese vicino a Firenze, dove le strade strette e i cortili fioriti sembrano usciti da un quadro antico. Ho sessant’anni, sono vedova e abito da sola in un appartamentino tranquillo. Mia figlia, Giulia, viene qui tutti i giorni con i suoi tre bambini, e se all’inizio ero felice di vederli, ora mi sento sfruttata. Sono stanca di cucinare, pulire e vedermi portar via tutto senza un grazie. Come faccio a mettere dei limiti senza ferirli?

Mia figlia, che un tempo era la mia gioia

Giulia ha trentadue anni, è sposata con Marco e hanno tre figli: Sofia (10 anni), Luca (7 anni) e Ginevra (4 anni). Vivono in una casa in affitto poco lontano, e la vita per loro non è facile. Marco fa l’autista, Giulia è a casa con i bambini, e i soldi scarseggiano. Quando hanno cominciato a venire da me a pranzo, ero contenta: cucinare un piatto di pasta o una minestra non è un problema, e vedere i nipotini mi riempiva il cuore. «Mamma, cucini così bene, i bambini adorano il tuo ragù», diceva Giulia, e io mi scioglievo.

Ma col tempo, il pranzo è diventato un obbligo. Ogni mattina inizio la giornata ai fornelli: sugo fresco, pane fatto in casa, frutta e dolcetti. Credevo fosse solo una fase, ma ora è la normalità. Giulia e i bambini non si limitano a mangiare—pretendono, sporcano, e spesso portano via il cibo per la cena. La mia casa è diventata la loro trattoria, e io la cuoca sfruttata che non riceve neanche un grazie.

I bambini che hanno invaso la mia pace

A mezzogiorno in punto, arrivano. Sofia vuole il prosciutto, Luca chiede i biscotti, Ginevra piange per le caramelle. Non sono avara, ma le mie provviste svaniscono in un attimo. Corrono per casa, urlando e lasciando giardinetti di briciole ovunque. Giulia non si scompone: non sparecchia, non lava un piatto, nemmeno mi chiede se ho bisogno di aiuto. «Mamma, tanto a te piace cucinare», dice, e io resto zitta, anche se dentro ribollo.

Ultimamente, ho notato che Giulia mette via del cibo per portarlo a casa. «Mamma, prendo un po’ di polpette, a Marco piacciono tanto», dice, e io annuisco, ma mi sento strangolare. La mia pensione va tutta in spesa per loro, mentre io mi accontento di pane e caffè. Ieri, Sofia ha rovesciato il succo sul mio tappeto, Luca ha rotto uno sportello dell’armadio, e Giulia ha riso: «Eh, sono bambini!». Allora ho esploso: «Giulia, questa è casa mia, non un parco giochi!». Lei si è offesa: «Ma non vuoi bene ai tuoi nipoti?».

Il dolore e il senso di colpa

Li amo, ma queste visite quotidiane mi consumano. A sessant’anni, vorrei riposare, leggere un libro, uscire con le amiche—non passare le giornate a sgobbare. La mia amica Laura mi dice: «Hanno approfittato di te, digli di venire meno spesso». Ma come faccio? Giulia si offenderà subito, e temo che smetterà di portarmi i bambini. Marco, suo marito, non mi saluta neanche, come se fosse mio dovere nutrirli.

Ho provato a farle capire che è troppo. «Perché non cucini anche tu, qualche volta?», ho chiesto. Lei ha risposto: «Mamma, non abbiamo soldi, i bambini hanno fame». Mi sento in colpa, ma poi la vedo comprarsi vestiti nuovi, mentre io conto i centesimi. Davvero devo sacrificarmi per la loro comodità? I miei nipotini sono la mia felicità, ma il loro caos e l’indifferenza di Giulia stanno trasformando la mia casa in un luogo di fatica.

Cosa posso fare?

Non so come uscirne. Se le chiedo di venire meno spesso, mi accuserà di egoismo. Se le offro soldi invece del pranzo, la mia pensione non basta. Devo stare zitta e continuare, finché non crollo? Vorrei vedere i miei nipoti, ma non così, non a questo prezzo. A sessant’anni, merito un po’ di pace, eppure mi sento in colpa solo a pensarlo.

Le vicine bisbigliano: «Giulia si approfitta di te». Fa male, ma so che hanno ragione. Voglio trovare un equilibrio, per salvare il rapporto con mia figlia senza annullarmi. Come posso dirle che non sono la loro serva, senza perderli?

Il mio grido di libertà

Questa è la mia storia, una richiesta d’aiuto. Forse Giulia non capisce quanto mi logorino questi pranzi. I bambini sono innocenti, ma il loro caos invade tutto. Voglio che la mia casa torni a essere il mio rifugio, che i miei nipoti vengano in visita, non a saccheggiare. A sessant’anni, merito di vivere, non di servire.

Io sono Elena Riva, e troverò il coraggio di riprendermi la mia vita, anche se dovessi dire a mia figlia la verità. Sarà doloroso, ma non voglio più essere la loro cuoca a gratis.

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