Mia figlia e mio nipote si sono trasferiti da me “temporaneamente”, ma ho sentito come discutevano a quale casa di riposo sarebbe stato meglio affidarmi.
Larrivo di Caterina con Riccardo è stato come un disastro naturale che ha travolto la mia vita tranquilla e ordinata. Sono apparsi sulla porta con valigie, scatole e il sorriso colpevole di mia figlia.
“Mamma, sarà solo per poco”, cinguettava Caterina, mentre Riccardo, mio nipote quindicenne, trascinava nel corridoio un impianto stereo grande come un comodino. “Stiamo facendo dei lavori a casa nostra, sai comè, gli operai… insomma, capisci. Un mese, massimo due.”
Capivo. Così mi sono scostata in silenzio, lasciando spazio. Il mio bilocale, che prima sembrava spazioso, si è ristretto davanti ai miei occhi.
La prima a capitolare è stata la sala. Si è trasformata in una succursale della stanza di un adolescente: vestiti sulla spalliera della poltrona, cavi che avvolgevano le gambe del tavolo, il ronzio perpetuo del computer.
Le mie violette, che per anni erano cresciute sul davanzale, sono state sfrattate in cucina perché “mamma, qui non cè abbastanza luce, e Riccardo ha bisogno di spazio per il monitor”.
Poi è toccato alla cucina. Caterina si è messa al lavoro con entusiasmo per imporre le sue regole.
“A che ti servono tutti questi barattoli?”, chiedeva, svuotando la credenza delle mie erbe e spezie. “Questi sono vecchissimi, buttiamo tutto! Ne comprerò di nuovi, in bei contenitori tutti uguali.”
Non chiedeva, decideva. La mia amata teiera di rame, regalo di mio marito defunto, è finita in soffitta perché “non si abbina allarredamento”. Al suo posto è apparso un luccicante french press.
Cercavo di non disturbare. Facevo lunghe passeggiate per non sentire la musica di mio nipote e il fruscio affaccendato di mia figlia.
Ogni volta che tornavo, trovavo qualcosa di nuovo. Mobili spostati. Una tovaglia diversa sul tavolo. Lalbum di vecchie foto sparito dalla credenza.
“Mamma, lho messo nellarmadio, così non si riempie di polvere”, spiegava Caterina con nonchalance, notando il mio sguardo.
Mi sentivo unospite. Unospite educata e silenziosa, a cui era stato concesso di vivere nella propria casa.
Non riconoscevo più il mio appartamento. Si era riempito di suoni, odori e vite altrui, che spingevano fuori la mia.
Una sera sono tornata dalla passeggiata prima del solito. La luce nellingresso era accesa, dalla cucina arrivavano voci sommesse.
Stavo per entrare a salutare, ma qualcosa mi ha fermata. Caterina parlava al telefono.
Mi sono bloccata nel corridoio buio, in ascolto.
“…sì, Luca, capisco. Ma dobbiamo scegliere il migliore. Che la cura sia buona e il posto dignitoso…”
La sua voce era bassa, quasi cospiratoria. Mi sono appoggiata al muro, il cuore che batteva forte.
“No, quello è troppo lontano. E laltro che mi hai mandato… le recensioni sono dubbie. Dobbiamo valutare bene. Non è una cosa per un mese.”
Pausa. Forse ascoltava la risposta di suo marito.
“Certo, è per il suo bene. Aria fresca, compagnia… qui si sta spegnendo da sola.”
Ho chiuso gli occhi. Laria improvvisamente è mancata.
“Va bene, guarderò altre opzioni”, ha concluso Caterina. “Ne parliamo domani. Un bacio.”
In cucina qualcosa è caduto. Sono scivolata in punta di piedi in camera mia e ho chiuso la porta piano.
Mi sono seduta sul letto, fissando il vuoto. Niente lacrime, niente voglia di fare scenate. Dentro di me tutto si era raffreddato e indurito come pietra.
Allora, la ristrutturazione era solo una scusa. Tutti quei “mamma, è per il tuo bene” erano preparativi. Avevano già deciso. Per me. Restava solo da scegliere il posto.
Ero immobile, mentre oltre la parete la vita continuava. Mio nipote rideva guardando un video. Mia figlia canticchiava mentre lavava i piatti nel suo nuovo french press.
Loro vivevano. Io ero già stata messa da parte.
La mattina dopo mi sono svegliata unaltra persona. La calma gelida che mi abitava non era svanita. Mi sono alzata, vestita e sono uscita in cucina.
Caterina era già allopera, preparando qualcosa nel suo french press.
“Buongiorno, mamma!”, mi ha sorriso con la sua solita espressione raggiante. “Vuoi la solita colazione?”
“No”, ho risposto con tono piatto. “Fammi un panino al formaggio. E rimetti a posto la mia teiera, per favore. Voglio un tè vero.”
Caterina ha sbattuto le palpebre, sorpresa. Il sorriso è svanito.
“Mamma, ma a che ti serve quella vecchia teiera? Guarda comè comodo il french press…”
“Rimetti. La teiera. Al suo posto.” Lho detto lentamente, guardandola dritto negli occhi. Qualcosa nel mio sguardo lha fatta trasalire. In silenzio, è salita su una sedia, ha preso la mia teiera di rame dalla soffitta e lha posata sul tavolo.
Da quel giorno è iniziata la mia guerra silenziosa. Non uscivo più di casa per tutto il giorno. Mi sedevo in salotto e osservavo.
Guardavo Riccardo che buttava i calzini sporchi sotto il divano, Caterina che sussurrava al telefono abbassando la voce quando entravo.
Hanno interpretato il mio nuovo silenzio e le mie richieste come capricci senili. Mi faceva comodo.
Qualche giorno dopo, sul tavolino è apparso un opuscolo lucido. “Residenza per anziani ‘Pino Solitario’. Riposo e cura in armonia con la natura.”
Caterina ha fatto finta che fosse lì per caso.
Lho preso in mano mentre era vicina. Lho sfogliato. Nonni sorridenti nelle foto, che giocavano a scacchi. Camere accoglienti.
“Che bello”, ho detto ad alta voce. “È un resort?”
Caterina si è irrigidita.
“Sì, mamma, qualcosa del genere. Me lhanno dato al lavoro, guarda che posto meraviglioso. Aria fresca, medici a disposizione… magari potresti andarci per qualche settimana, riposarti da noi?”
“Da voi?”, ho alzato gli occhi su di lei. “Ma voi presto ve ne andrete. Finite i lavori e tornerete a casa vostra. No?”
Si è smarrita.
“Beh, certo… ma anche tu hai bisogno di cambiare aria.”
“Quanto costa un posto del genere?”, ho indicato il listino prezzi nellultima pagina. “Accidenti. Caro. È tutta la mia pensione per sei mesi.”
“Mamma, ma cosa vuoi che siano i soldi!”, ha esclamato Caterina. “Io e Luca paghiamo tutto! Per te non ci sono limiti.”
“Davvero?”, ho sorriso. “Che bello. Perché volevo chiederti un favore. Devo fare unotturazione, e non costa poco.”
La faccia di Caterina si è allungata. La conversazione sulla residenza è finita allistante.
Quella sera ho sentito unaltra discussione. Questa volta Caterina litigava con suo marito.
“…lo fa apposta!”, sibilava nel telefono. “Chiede quando ce ne andiamo! Vuole soldi per il dentista! Io le parlo della residenza e lei mi parla delle otturazioni!”