Martedì. Che giornata tremenda. Ieri Luca mi ha guardato come fossi pazza quando ho parlato della prova del DNA. Avevo il foglio in mano, le mani che tremavano. “Ma che cavolo, Sofia?!” Ha sbattuto quel maledetto foglio sul tavolo, la tavola ha tremato sotto il suo pugno. “Quale prova? Hai perso il senno?”
“Non urlare!” Sono balzata in piedi dal divano, gli occhi mi bruciavano. “Ho il diritto di sapere la verità! Beatrice ogni giorno assomiglia meno a te, e lo vedi benissimo!”
“È mia figlia!” Ha urlato. “Nostra figlia! E se nomini ancora quella prova del cavolo, io…”
“Tu cosa?” L’ho sfidata, mettendomi le mani sui fianchi. “Cosa farai? Mi butti fuori? Su, fallo! Ma prima scopriremo di chi è la ragazza che cresce in questa casa!”
Ha crollato sulla sedia, passandosi le mani sulla faccia. Un litigio così, mai. Neanche nei momenti più duri, mai urlate accuse del genere. “Sofia, ma che ti prende?” ha chiesto, esausto. “Da dove vengono questi pensieri assurdi? Beatrice è nata all’ospedale, l’ho portata a casa io dalla clinica. Non ricordi?”
“Ricordo,” ho detto tra i denti. “Ma i dubbi restano.”
Mi sono avvicinata al mobile delle foto, tirando fuori gli album. Li ho sparsi sul tavolo davanti a lui.
“Guarda,” ho puntato il dito. “Qui Beatrice a un anno. Ricci biondi, occhi azzurri. Qui a tre. Uguale. E qui adesso, a quindici. Capelli lunghi, lisci, scuri. Occhi marroni. Spiegami come sia anche solo possibile?”
“I ragazzi crescono, cambiano,” ha tentato di dire lui. “L’età, gli ormoni…”
“Gli ormoni non cambiano il colore degli occhi!” l’ho interrotto. “E non trasformano i ricci in capelli lisci! E l’altezza? Ha quindici anni ed è una spanna più alta di me! Da dove viene, se io e te siamo medi?”
Lui taceva, studiando le foto. Era vero. La biondina paffuta era ormai un’adolescente slanciata, alta, con tratti bruni e decisi.
“Forse prende dalla nonna,” ha detto incerto. “O bisnonna. La genetica è strana.”
“Quale nonna?” ho sbottato. “I miei genitori sono mori di chiaro, i tuoi pure. Le bisnonne erano uguali. Da dove vengono questi tratti scuri?”
È entrata Beatrice. Alta, snella, capelli castani e lisci fino alla vita. Occhi grandi, scuri. Bella. Ma straniera a guardarla.
“Perchè gridate?” ha chiesto guardandoci. “I vicini si lamentano.”
“Nulla, amore,” le ha risposto Luca a precipizio. “La mamma è nervosa.”
“Perché? Il lavoro la stressa?” Beatrice è seduta sul divano, portando le ginocchia al petto.
L’ho studiata. Calma, misurata. Per nulla emotiva come me. E diversa. Estranea.
“Beatrice, dimmi la verità,” ho chiesto all’improvviso. “Non ti sei mai domandata perché ci somigli così poco?”
“Mamma!” si è esasperato Luca.
“Cosa mamma?” Mi sono voltata verso lui. “Che risponda. La riguarda.”
Beatrice ha alzato le spalle. “Non so. Mai pensato. Ma è così importante? Siete voi i miei genitori.”
“Certo, amore,” l’ha stretta Luca. “Non dare retta a mamma, ha avuto una giornata pesante.”
Ho osservato la scena, sentendomi fuori posto. Loro si capivano senza parole. Io mi sentivo un’estranea nella mia stessa casa. “Va’ a fare i compiti. Io e papà dobbiamo parlare.”
Ha annuito ed è uscita. Luca l’ha seguita con lo sguardo e poi mi ha fissato. “Perché la traumatizzi? Non ha colpe.”
“E allora chi l’ha? Luca, voglio la verità. Se Beatrice è figlia nostra, la prova lo dirà. E se no…”
“E se no, cosa?” mi ha interrotto. “Butti la ragazza per strada? Smetti di amarla?”
Ho ammutolito. Davvero non sapevo cosa avrei fatto se i sospetti fossero stati fondati.
“L’amo,” ho confessato. “Ma mi serve la verità.”
Si è alzato, è andato alla finestra. Fuori, bambini giocavano, mamme spingevano passeggini. La vita normale, che non ha posto per sospetti così mostruosi. “Sofia, se la verità non fosse come credi? Cosa fai?”
“Non so,” ho risposto onesta. “Ma vivere al buio non ce la faccio più.”
Luca quella notte non ha dormito. Pensava a come la vita fosse cambiata in un giorno. Mattina, famiglia normale. Sera, questa tempesta. Accanto, mi rigiravo anch’io.
“Luca,” ho chiamato a bassa voce. “Dormi?”
“No.”
“Dimmi la verità. Non hai mai avuto dubbi?”
Ha esitato, poi un sospiro. “Li ho avuti. Ma li ho annullati. Beatrice è mia figlia, qualsiasi cosa dica la prova.”
“Capisco. Ma io… non posso vivere così.”
A colazione, Beatrice ha visto la tensione tra noi. “Mamma, papà, che succede?” ha chiesto spalmando il burro sul pane.
“Niente di che,” ha detto Luca. “Solo problemi da adulti.”
“Posso aiutare?”
Ho guardato mia figlia. Il volto aperto, gli occhi dolci. Una brava ragazza, premurosa. “No, tesoro. Ce la facciamo.”
Beatrice ha finito il caffelatte ed è corsa a scuola. Un bacio ai genitori e via.
“Vedi che brava?” ha detto Luca. “Perché vuoi distruggere tutto?”
“Non distruggere. Voglio sapere.”
Dopo il lavoro, sono andata al centro medico per il test. La consulente ha spiegato la procedura. Ci volevano campioni da tutti e tre. Risultati in una settimana.
A casa, ho messo il foglio col modulo sul tavolo. “Abbiamo appuntamento a domani,” ho detto a Luca. “Andiamo insieme.”
L’ha preso e letto. “Sofia, ultima volta. Sei sicura?”
“Sicura.”
“Se il risultato fosse positivo? Se fosse nostra figlia? Potresti guardarla negli occhi dopo?”
Ci ho pensato. Se i miei dubbi fossero sbagliati? Potrei dimenticarli?
“Potrò,” ho detto. “Ma saprò la verità.”
Abbiamo detto a Beatrice di andare al centro medico.
“Perché? Stiamo bene.”
“È un
Guardò Giorgio il sole che illuminava la cucina mentre Elisa rideva di una battuta di Chiara, e nel suo cuore si radicò la certezza che l’amore costruito in quindici anni di vita insieme aveva finalmente vinto ogni dubbio e oscurità.