Ecco il terzo anno che questa situazione va avanti. Quando mio figlio Luca ha portato in casa la nuova moglie, una donna con due figli di un precedente matrimonio, non potevo immaginare in che inferno si sarebbe trasformata la mia vita. All’inizio mi aveva assicurato che sarebbe stato temporaneo, che sarebbero rimasti da me solo per qualche mese, il tempo di trovare una casa. Invece sono passati tre anni, e quel “temporaneo” è diventato permanente. Anzi, adesso sua moglie, Elena, aspetta un figlio da lui. E ogni giorno della mia vecchiaia sembra sempre più una tortura.
Viviamo in un bilocale in un quartiere dormitorio. Adesso in casa ci sono io, mio figlio, sua moglie incinta e i suoi due bambini. Presto arriverà un altro neonato. Non mi lamento di Elena: mi tratta con rispetto, non alza la voce. Però non vuole e non sa fare nulla in casa. Anche se i suoi figli vanno all’asilo, lei non lavora, passa il tempo su Internet o a passeggiare con le amiche. A volte si fa la manicure, e non oso chiedere con quali soldi.
Luca lavora, è vero, ma il suo stipendio basta a malapena per la spesa e le bollette, soprattutto con questa famiglia. Il resto tocca a me. Con la mia pensione e il mio secondo lavoro: ogni giorno alle cinque del mattino pulisco i pavimenti in due uffici, e torno a casa per le otto. Sembrerebbe il momento di riposare, ma niente da fare: il lavello è pieno di piatti dopo la colazione, il pranzo non è pronto, la biancheria è da lavare, il pavimento è da spazzare. E tutto questo ricade su di me.
Elena, quando non era incinta, almeno faceva la spesa e ogni tanto cucinava. Adesso, nulla. Dice di avere dolori alla pancia. Porta i bambini all’asilo e sparisce. Torna a casa con Luca all’ora di pranzo, ma qualcuno deve pur cucinare, servire, lavare. Lei lo fa? No, ovvio. Tocca sempre a me. E non ce la faccio più.
Una volta ho provato a parlare con mio figlio. “Luca, siamo troppi in questo piccolo appartamento, forse tu ed Elena potreste pensare a un affitto?” Lui ha scrollato le spalle. “Mamma, metà casa è mia, non ho i soldi per l’affitto. Fatti forza.” Come un coltello nel cuore. Ho vissuto tutta la vita per lui, per la famiglia. E ora devo solo “farmi forza”?
Un mese fa ho avuto una crisi ipertensiva. Sono crollata in cucina, la padella per un pelo non mi è caduta addosso. Mi hanno portata in ambulanza. Il dottore ha detto: riposo, niente stress. Ma come posso riposare, se in casa ogni giorno è un caos?
I bambini, certo, non hanno colpe. Ma loro, Elena incinta, e l’indifferenza di Luca hanno trasformato la mia vecchiaia in una fatica senza fine. Dopo pranzo cerco di stendermi un’ora—le gambe mi fanno male, la schiena mi duole. Ma poi mi rialzo, preparo la cena, pulisco. La sera, la casa diventa un manicomio: i bambini strillano, corrono, litigano, piangono. La tranquillità qui dentro è un lusso che non esiste più.
Mi ritrovo sempre più spesso a pensare che l’unica soluzione sia chiedere un prestito e prendere un monolocale, anche piccolissimo. Dove sia silenzio. Dove nessuno sbatta pentole, lanci giocattoli o aspetti che qualcuno gli porti da mangiare. Dove, finalmente, possa tirare un sospiro.
Ma ho paura. Paura di restare sola. Paura di indebitarmi alla mia età. Ma ancora più paura mi fa sentirmi una domestica nella mia stessa casa. Nella casa dove credevo potessi invecchiare con calore e affetto. E invece, eccomi qui: con le mani spellate e il cuore che batte all’impazzata.