Decidemmo di visitare i miei genitori quasi sei mesi dopo il matrimonio. Sapevo che sarebbe stata una prova, ma non immaginavo quanto fosse dura. Appena varcammo la soglia, mia madre ci accolse con uno sguardo gelido e parole che mi ghiacciarono il sangue: “Qui si lavora, non si fa festa”. Nella sua voce cera una minaccia, come se fossimo arrivati non nella casa dove ero cresciuto, ma in un campo di lavoro forzato.
La mia Maria, con le sue mani delicate e la grazia cittadina, allimprovviso sembrò fragile come un fiore tra lerba. Vidi come strinse forte la mia mano quando mia madre le ordinò di pulire il pesce. “Giovanni, quella è tua moglie, non una serva!” avrei voluto urlare, ma tacqui. Tacqui perché sapevo che ogni mia protesta avrebbe solo alimentato il fuoco.
Quei giorni passati nel paesino diventarono un incubo. Maria lavorava fino a notte fonda, le dita le tremavano per il freddo mentre lavava i piatti con lacqua del pozzo. La vedevo mordersi il labbro per non piangere quando mia madre la accusava ancora e ancora di pigrizia. “Non sarai mai degna di mio figlio!” quelle parole rimbombavano nella mia testa come una maledizione. E io restavo in disparte, incatenato da catene invisibili alla terra dove ero cresciuto.
Le nostre cene erano di patate bollite e pesce, preparati da Maria, ma mia madre non si sedeva mai con noi. Osservava dallangolo, come unombra, aspettando un errore. E quando finalmente ci coricavamo, sentivo Maria piangere nel cuscino. “Mi dispiace mi dispiace per tutto” sussurravo, ma le mie parole svanivano nel buio.
Tornati a casa, decisi di affrontare mia madre: “Non umilierai mai più mia moglie”. Ma lei rise. “Hai dimenticato chi ti ha cresciuto? Chi ti ha sfamato quando piangevi dalla fame?” Le sue parole mi trafissero il cuore come un coltello.
Quando tornammo al paese, ero pronto a lottare. Mio padre si era ferito a una gamba, e toccava a me badare alle mucche. Maria indossava stivali di gomma che le avevano scorticato i piedi fino a farli sanguinare. La pioggia inondava i campi, trasformandoli in pantani. Lei mi seguiva, incespicando, e io tacevo, sapendo che ogni mio gesto di cura avrebbe scatenato una nuova ondata di crudeltà.
Poi, lagnello. Maria non sopportava lodore, ma mia madre lo cucinava apposta ogni giorno. “Mangia, se vuoi far parte di questa famiglia!” gridò quando Maria allontanò il piatto. Presi una forchetta, strappai un pezzo di carne e lo gettai per terra. “Mai più” sussurrai, ma era solo linizio della guerra.
Ora che Maria aspetta nostra figlia, non posso più rischiare. “Vieni tu, se vuoi” dissi a mia madre al telefono. “Ma lei resterà qui”. Nel suo silenzio cera un oceano di offese, ma per la prima volta il mio cuore era in pace. Abbracciai Maria, e le sue mani calde mi ricordarono che a volte bisogna proteggere la famiglia anche da chi ti ha dato la vita.
P.S. La volta dopo che mia madre chiamò, spensi il telefono. Faceva male a entrambi. Ma a volte il dolore è lunico modo per svegliarsi.



