Finalmente la felicità l’aveva raggiunta
Quando Valeria sposò Marco, non avrebbe mai immaginato che suo marito sarebbe diventato prigioniero di un vizio rovinoso. La loro storia era stata un turbine: lui allegro, affascinante, deciso — e le aveva fatto la proposta direttamente a una festa, un po’ brillo.
— Vale, sposami! — rise lui, avvicinandosi con un alito pesante di vino.
— Ma hai bevuto? Mi chiedi di sposarti in questo stato? — si stupì lei, ma nella sua voce non c’era vera indignazione. Valeria sognava il matrimonio, quasi tutte le amiche erano già sposate.
— E allora? Sono felice, ho festeggiato. Dai, non farmi aspettare, dimmi di sì! — insisté con un sorriso smagliante.
Lei accettò. A una condizione: bere solo nelle occasioni speciali. E Marco, senza pensarci, annuì: «Certo, sarà così!»
Valeria non sapeva allora che il padre di Marco aveva bevuto per tutta la vita, e che quella stessa debolezza, come una catena, trascinava anche il figlio. Sua madre, Rosa, litigava spesso con il marito quando questi versava un bicchiere al ragazzo.
— Hai rovinato te stesso, adesso vuoi fare lo stesso con lui? — gridava, ma la risposta era sempre una risata: «Deve abituarsi. È un uomo, no?»
Dopo le nozze, i due andarono a vivere nell’appartamento di Valeria alla periferia di Milano, ereditato dalla nonna. All’inizio andava bene. Marco lavorava, anche se spesso tornava a casa con un odore di alcol. Aveva sempre una scusa:
— Dai, oggi è nato il figlio di Matteo! Come faccio a non bere? O era il compleanno di Luca. O mentre caricavamo le merci, il capo ci ha offerto da bere. Rispetto!
Valeria diede alla luce un figlio, Davide. E Marco continuò a bere. Non si avvicinava mai al bambino.
— Perché non gli dai neanche un’occhiata? È tuo figlio! — protestava lei.
— Tu non vuoi che mi avvicini a lui puzzando di vino, — replicava svogliato.
— Allora non bere! Te l’ho chiesto mille volte…
Passarono gli anni. Otto, per l’esattezza. Marco beveva sempre di più, lo licenziavano un lavoro dopo l’altro — ubriaco com’era. Valeria si caricava di tutto: la casa, il figlio, la vita. L’unica luce era la suocera — comprensiva, solidale, che aiutava con soldi e vestiti per il nipote.
— Valeria è una santa. Se lui avesse un briciolo di dignità… — sospirava con la sorella.
Quando Davide compì dieci anni, Valeria capì: così non poteva continuare. Suo marito era diventato l’ombra di un uomo. Della sua attrattiva rimanevano solo frammenti: denti rotti nelle risse, capelli radi, uno sguardo vuoto. Non provava più nulla, né per il figlio, né per lei.
— Lascialo, — le dicevano le colleghe. — Valeria, quanto ancora resisti?
Ma lei procrastinava. Il suo cuore era troppo tenero, compativa tutti — cani, gatti, persino suo marito.
Finché non arrivò una ragione vera. Valeria si innamorò. Di un nuovo collega. Si chiamava Alessandro.
Era arrivato in ufficio solo qualche mese prima. Alto, occhi chiari, un viso aperto e un sorriso caldo: aveva conquistato tutti. Pure le colleghe più intraprendenti ci provavano con lui. Ma lui, da vero gentiluomo, declinava con garbo. Educato — ma fermo.
Alessandro era divorziato, si era trasferito da Firenze e viveva dal padre. In ufficio si spargevano pettegolezzi, ma lui rimaneva sereno, senza dare adito a malintesi.
Valeria, per la prima volta dopo anni, sentì qualcosa risvegliarsi dentro. Come se il cuore tornasse a battere. Non disse nulla a nessuno — nemmeno a se stessa.
Quando chiese il divorzio, lo comunicò come un fatto compiuto sia alla suocera che a Marco.
— Marco, basta. Prendi le tue cose. Non ce la faccio più.
Se ne andò senza drammi. Prese le valigie e raggiunse la madre.
E Valeria — era come rinata.
Un giorno, uscendo dall’ufficio, Alessandro la chiamò:
— Valeria, hai un attimo? Vorrei invitarti a cena…
Sentì le guance ardere. Ma annuì.
Stettero seduti in un bar. Prima parlarono — di vita, lavoro, famiglia. Poi lui disse:
— Ho saputo del divorzio. E… Scusa, ma ho capito subito — sei quella giusta per me.
Lei si confuse. Erano le parole che aspettava.
— Io non avevo idea… — sussurrò.
— Io invece sì, che sentivi qualcosa, — sorrise. — Solo non osavo dirlo.
Da allora iniziarono a frequentarsi. Valeria rideva quando le colleghe, invidiose, commentavano:
— Ma guarda, la timida ha conquistato Alessandro! Come hai fatto?
Lei non rispondeva — non le importava. Perché nel suo cuore c’era solo pace e calore.
L’ex marito non dava fastidio, ma Rosa, la suocera, tornava spesso — per vedere il nipote, per sostenere la nuora. Capiva perché l’avesse cacciato. E non la biasimava.
Un sabato, Valeria decise di parlare a Rosa del fidanzamento. Alessandro le aveva regalato un anello, era tutto serio.
— Rosa, io… Alessandro mi ha chiesto di sposarlo. Ho detto di sì.
La donna tacque un attimo. Poi all’improvviso l’abbracciò.
— Finalmente! Valeria, te lo meriti tutta questa felicità. Che tutto vada per il meglio!
Valeria non credeva alle sue orecchie. Si aspettava rimproveri, e invece trovò affetto e approvazione.
— Vi aiuterò con il matrimonio. Voglio che sia perfetto. E che Davide sappia: adesso ha un vero uomo accanto.
Da quel giorno, il loro legame si rafforzò. Valeria trovò non solo l’amore, ma un’amica nella ex suocera. E Rosa, in lei, trovò una figlia. Succede così. Raro, ma succede.