Finalmente… o è solo l’inizio?

Finalmente… o forse tutto è solo all’inizio

Quando si sposò, Martina non poteva immaginare che il suo futuro marito, Luca, fosse già prigioniero di un vizio devastante. Si erano conosciuti in fretta, travolti da un turbine, e dopo solo due settimane lui le aveva fatto la proposta—leggermente brillo, con quel tipico odore di alcol che le aveva fatto arricciare il naso:

“Martì, che ne dici se ci sposiamo?” sussurrò lui, appoggiandosi allo stipite della porta.

“Mi sa che hai bevuto, vero?” ribatté lei, più stupita che arrabbiata. In fondo, il matrimonio lo desiderava: tutte le sue amiche avevano già l’anello.

“È per la felicità!” rise Luca. “Oggi è un giorno di festa—ti ho chiesto di sposarmi!”

“Accetto, ma a una condizione: niente alcol, solo nelle occasioni speciali,” lo avvertì.

“Be’, allora oggi è un’occasione speciale,” scherzò lui.

Giovane, ingenua, innamorata—Martina non sapeva che il padre di Luca aveva bevuto per tutta la vita. E il figlio aveva già ereditato quell’abitudine, mentre sua madre, Rosa Maria, si limitava a protestare inutilmente:

“Ti sei rovinato da solo, e adesso rovini anche nostro figlio!”

“Lascialo diventare un vero uomo!” ghignava il marito, versando al ragazzo un bicchierino a pranzo.

Dopo il matrimonio, la coppia si stabilì in un bilocale lasciato a Martina dalla nonna. All’inizio andava ancora bene: Luca lavorava, tornava a casa regolarmente, anche se spesso con quel solito odore. Per ogni occasione aveva una scusa:

“È nato il figlio di Sandro, come faccio a non festeggiare? È il compleanno di Riccardo, ho solo fatto un brindisi… E poi Franco mi ha offerto da bere in campagna—mica potevo dire di no…”

Poi nacque il figlio—Matteo. Ma neanche la paternità riuscì a scuotere Luca. Tornava a casa sempre meno ed evitava di avvicinarsi al bambino.

“Perché non passi tempo con tuo figlio?” lo rimproverava Martina.

“Tu stessa dici di non respingergli addosso l’alito. Ecco perché non mi avvicino,” rispondeva lui, scrollando le spalle.

“Allora smetti di bere! Ma quanto ancora?” Le lacrime le rigavano il viso.

Passarono otto anni. L’alcol era ormai parte integrante della vita di Luca. Perdeva un lavoro dopo l’altro. Martina faceva tutto da sola, anche grazie all’aiuto di Rosa Maria—che comprava vestiti al nipote e li aiutava con i soldi.

“Martina è un angelo,” si lamentava Rosa con sua sorella. “Ma mio figlio… peggiora sempre di più. Non lo riconosco più.”

Luca era diventato l’ombra di se stesso—magro, senza denti, senza voglia di vivere. Niente più amore, nessuna cura—solo il vuoto.

“Lascialo,” le consigliavano tutti: amiche, colleghe, persino i vicini.

Ma Martina lo compativa. Come un cane randagio. Fino a quando non capì che Matteo stava crescendo, osservando, assorbendo tutto, e ormai evitava di stare in quella casa che profumava di sventura.

Allora disse alla suocera:

“Rosa Maria, non ce la faccio più. Chiederò il divorzio.”

“Forse potremmo farlo curare?” chiese lei a bassa voce. “Forse non è troppo tardi?”

“Quanti anni avete perso a ‘curarlo’?” rise amara Martina. “Voglio che mio figlio cresca diverso. Meglio che non veda più suo padre.”

Rosa sospirò:

“Dove andrà… Da noi, naturalmente. Che altro posso fare?”

Ma c’era anche un altro motivo. Martina si era accorta da tempo di una simpatia per un collega—Gianluca. Era arrivato nel loro ufficio da poco: curato, biondo, con occhi azzurri intensi e una gentilezza rara ai giorni nostri. Divorziato, senza drammi, trasferitosi in città per stare vicino al padre. Le donne in ufficio—alcune in silenzio, altre apertamente—cercavano di attirare la sua attenzione, ma Gianluca manteneva le distanze.

Quando Martina chiese il divorzio, Luca non sembrò nemmeno sorpreso. Valigie pronte, una breve conversazione—e se ne andò. Dai suoi genitori.

Due settimane dopo, Gianluca la raggiunse dopo il lavoro:

“Martina, vuoi prendere un caffè? Solo per parlare un po’.”

Lei annuì, le guance arrossate. Si sedettero al bar, e tra risatine e frasi più serie, all’improvviso lui disse:

“L’ho capito subito: per me non sei solo una collega. Sei il mio destino.”

Da quella sera, tutto cambiò. Certo, nell’ufficio c’erano pettegolezzi. Soprattutto da parte di Nadia:

“Guarda un po’, la nostra timida ha conquistato Gianluca… E io che mi sono fatta in quattro…”

Martina si limitò a stringere le spalle. Non doveva spiegare niente a nessuno.

Poco dopo, Gianluca le fece la proposta. Un anello semplice, uno sguardo sincero, e il cuore tornò a batterle forte.

Un sabato invitò Rosa Maria. La casa profumava di pasticcini, e sul tavolo fumava la teiera.

“Ho una notizia,” disse Martina, il cuore in gola. “Mi risposo. Con Gianluca.”

Rosa rimase immobile un attimo. Poi… la abbracciò piangendo:

“Finalmente… Figlia mia, te lo meriti tutta questa felicità. Ti aiuterò con i preparativi. Faremo un matrimonio meraviglioso!”

Stettero sedute a tavola, a discutere di abiti, fiori, invitati. E Martina sentì che non aveva solo un’ex suocera—aveva ritrovato un’amica. E Rosa aveva una figlia, non di sangue, ma del cuore.

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