Fine autunno, all’alba di un giorno feriale – la città ancora dorme, ma gli pneumatici sulla strada di campagna già frusciano.

**Fine d’autunno, mattina presto di un giorno lavorativo la città ancora sbadiglia, ma già frusciano le gomme sulla strada di campagna.**

Romano Bellini stava accanto al cancello aperto, tenendo per le spalle un ragazzo mingherlino. Il viso del ragazzo era infantile, ma il suo sguardo così maturo da fargli sentire un nodo allo stomaco.

“Come ti chiami?” chiese Romano.

“Ettore,” sussurrò lui. “Non volevo immischiarmi… Ma non potevo restare zitto.”

“Se quello che dici è vero, mi hai salvato la vita,” disse Romano asciutto. “Entriamo. Mangiamo. Poi vedremo.”

Le guardie si scambiarono un’occhiata non era ciò che gli era stato ordinato. Ma Romano non era solo il padrone di quella zona anche le decisioni erano sue. La cucina profumava di torta al formaggio fresco e caffè forte. Ettore, vedendo il piatto, per la prima volta quella mattina non fissò il pavimento, ma il vapore che saliva dal cibo e mangiò con delicatezza, come se temesse di offendere il cucchiaio.

Clara scese lentamente, come sempre, in un abito di seta, il suo braccialetto tintinnante sulla porcellana e un sorriso sulle labbra lucide.

“Sei tornato presto oggi, Roma.” Gli toccò il braccio, tenendoci le dita un attimo più del necessario. “Chi è questo ragazzo?”

“Era al cancello. Aveva fame. Ho detto di dargli da mangiare,” rispose lui con calma. “Lo porterò in città più tardi.”

Clara annuì distrattamente. Nessuna sorpresa o irritazione nei suoi occhi. Troppo calma. Romano percepì una falsità sottile in quel controllo e, per un attimo, sentì di non essere a casa, ma in un quadro dove anche un’ombra sapeva già dove cadere.

Non obiettò. Dieci minuti dopo era in garage nessun rumore, nessuna scena. Paolo indicò il coperchio del motore scoperchiato, i segni lasciati da chiavi estranee, il taglio appena visibile nel tubo di gomma.

“Non l’hanno fatto perfettamente, ma non hanno sbagliato del tutto,” borbottò Paolo. “Qualcuno ha letto le istruzioni.”

“Telecamere?” chiese Romano, conciso.

“Ieri, come capita spesso nella vita, il segnale è sparito per un’ora. Guasto al sistema.”

Romano serrò i denti: il sistema che aveva installato si rompeva proprio quando serviva. Una coincidenza troppo precisa per essere casuale.

Quella sera, Isidoro, un investigatore privato che Romano conosceva dai tempi in cui indagava sui partner, non sulle mogli, era al telefono. La voce era roca, lespressione impassibile.

“Quindi,” disse piano Romano, seduto in macchina con il telefono in mano, “la telecamera del garage si è ‘guastata’ proprio per un’ora. Qualcuno ha manomesso i freni. Il ragazzo ha visto una donna. Mia moglie ‘dormiva’. Ho bisogno di numeri di telefono, percorsi, chi è arrivato, chi è partito. E in fretta.”

“Cosa intendi per ‘in fretta’?” chiese Isidoro.

“Prima che capiscano che lo so.”

“Capito. Non è la prima volta che sento queste cose.”

Romano chiuse il telefono e fissò a lungo il buio del giardino. Gli tornarono in mente scene degli ultimi mesi: la richiesta di Clara di “aggiornare” il testamento “non si sa mai, sei sempre in viaggio”; i suoi nuovi “club sportivi” dove andava senza divisa; le conversazioni sussurrate sul balcone quando diceva “non ora” e copriva il microfono. Aveva attribuito tutto alla stanchezza matrimoniale. Ora ogni parola suonava come un bersaglio.

Ettore dormiva sul divano dell’ufficio, raggomitolato come un gatto. Romano lo coprì con una coperta e improvvisamente pensò con stupore: “E se non ci fosse stato lui…”

“Zio Roma,” chiese il ragazzo con voce rauca, sollevandosi sul gomito, “mi cacceranno domani? Io… non sono un ladro. Solo che… in garage faceva freddo, qui è più caldo.”

“Nessuno ti caccerà,” disse Romano fermo. “Domani andiamo in città, sistemeremo tutto. Per ora resta qui. Capito?”

Ettore annuì. E, addormentandosi, sussurrò nel cuscino: “Grazie.”

Romano rimase alla finestra, ascoltando il brusio notturno della casa: una tenda che si muoveva, laria condizionata che respirava. E realizzò: da tempo non provava più un sentimento così semplice che nella frase “Sono a casa”, le parole “io” e “casa” non si contraddicevano.

Il rapporto di Isidoro arrivò tre giorni dopo secco e glaciale. Lora della chiamata. Screenshot delle chat, ottenuti con un trucco su un tablet “dimenticato”. Gli spostamenti di Clara: uscite notturne da “un amico”, incontri in un bar dalbergo con un uomo che Romano conosceva bene Elia Levanti, testa rasata, denti eccessivamente bianchi, un rivale di vecchia data che aveva cercato di rubargli il manager sei mesi prima.

“Domani sembrerà un incidente,” si leggeva in un messaggio vocale che Isidoro aveva recuperato dal cloud. La voce di Clara era autentica. Romano ascoltò, stringendo il bordo del tavolo per non scagliare il tablet contro il muro.

“È ora,” disse al telefono. “Facciamolo con attenzione. Senza spettacoli. Mi servono prove, un fascicolo pulito e manette su altre mani, non le mie.”

“Sì, signore,” rispose Isidoro.

Il piano era semplice come un nodo scorsoio: Romano partiva “improvvisamente” per un viaggio daffari, la Mercedes rimaneva in officina “per controlli”. Nessuno si stupiva per i ricchi, tutto è sempre “temporaneo”. Nel garage, Isidoro installò telecamere invisibili. La sicurezza fu istruita: silenzio, non intervenire senza ordine.

Quella sera, Clara baciò il marito sulla guancia:
“Non tardare. Parleremo della vacanza al mare quando torni.”

“Ne parleremo,” annuì Romano. Quella parola gli costò cara.

Nessuno dormì quella notte. Alle due, la ghiaia vicino al garage scricchiolò. Una sagoma scura si avvicinò, nitida alle telecamere. Cofano. Dita sottili e sicure. Una torcia coperta di pellicola rossa. La figura femminile svitò il tappo del liquido dei freni, esitò un attimo e dal buio emerse una seconda ombra: un uomo.

“Elia, non è compito mio spiegare,” sussurrò Clara, “non lo facciamo per soldi. Lui… è sempre stato uno straniero. Lo sai.”

“Sbrigati,” sibilò Levanti. “Si fa giorno.”

Quella frase bastò. Da quel momento, la gelosia non fu più la molla, solo il protocollo. Dieci minuti dopo, il garage era illuminato a giorno. Clara stava immobile come un blocco di ghiaccio, solo il polso le batteva forte.

“È un errore!” disse con voce perfetta. “Siete tutti pazzi. Sono venuta a controllare quell’odore di sostanze chimiche.”

“Quell’odore è liquido dei freni,” rispose linvestigatore. “E questa è la registrazione di te e Levanti che lo svuotate. Il resto è in questura. Andiamo.”

Romano non le andò incontro. Rimase in cima alle scale, ascoltando il rumore lontano dei tacchi ancora calmo come il primo giorno in cui si erano conosciuti. E pensò a quanto fosse strano: a volte una casa

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