**Un mazzo di fiori e un colpo di destino**
Ginevra sedeva sola nel suo piccolo appartamento a Siena quando il silenzio fu rotto da un colpo alla porta. Con aria svogliata si alzò dal divano e guardò dallo spioncino. Davanti alla porta c’era un giovane con un enorme mazzo di fiori. “Chi sarà mai?”, pensò, corrugando la fronte.
«Chi è?», chiese Ginevra, senza fretta di aprire.
«Un mazzo di fiori per voi…», rispose lo sconosciuto.
Ginevra aprì appena la porta, scrutandolo con sospetto.
«Per me?», si stupì.
«Sì, per voi», sorrise il ragazzo. «Sei tu Alessia?»
«No, sono Ginevra», rispose, sentendo dentro di sé un’ombra di delusione.
«Un attimo», si confuse lui, tirando fuori il telefono. «Scusate, devo aver sbagliato appartamento…»
«Non fa niente», sospirò Ginevra, sorridendo debolmente.
Tornò in salotto, ma poco dopo il campanello suonò di nuovo. Guardò dallo spioncino e rimase immobile, gli occhi sgranati per lo stupore.
Oggi Ginevra festeggiava il suo compleanno da sola per la prima volta. Venticinque anni, eppure non provava gioia. Non aveva voglia di vedere amici, uscire di casa, fingere che tutto andasse bene.
Le amiche la imploravano di festeggiare in un bar, ma lei rifiutò.
«Non puoi chiuderti in casa a rattristarti oggi!», insisteva la migliore amica, Beatrice. «Hai solo venticinque anni! Troverai il tuo destino. E quel Matteo non vale le tue lacrime. Prepara la borsa, passiamo a prenderti!»
«No, Bea, non oggi», rispose decisa.
«Ma è il tuo compleanno! Bisogna festeggiare!», continuò l’amica.
«Non ne ho voglia. Scusami», tagliò corto Ginevra.
«Peccato», sospirò Beatrice. «Ma se cambi idea, chiamami.»
«Non cambierò idea…»
Ginevra soffriva ancora per la rottura con il fidanzato, Matteo. Avevano quasi un anno di relazione, e lui le aveva persino chiesto di sposarlo. Allora era al settimo cielo, immaginando il matrimonio, una vita insieme, dei figli. Ma quei sogni svanirono.
Ben presto scoprì che Matteo aveva una doppia vita. Oltre a lei, c’era un’altra ragazza, Federica. Con Ginevra parlava di nozze, con Federica “usciva così, per passare il tempo”. Tutto cambiò quando Federica annunciò di aspettare un bambino. Suo padre, uomo influente e capo di Matteo, gli diede un ultimatum: o sposarla, o perdere il lavoro.
Quando la verità venne fuori, Ginevra rimase sconvolta. E quando Matteo le propose di rimanere la sua amante dopo le nozze con Federica, perse la voce.
«Sul serio mi chiedi di fare la tua amante?!», esclamò, sentendo il mondo crollarle addosso.
«E che c’è di male?», si stupì lui. «Stiamo bene insieme. Tu mi ami, io…»
«Che amore sarebbe?!», gridò. «Mi hai mentito, frequentavi un’altra! Si tratta così chi si ama?!»
«Ma è stata Federica a cercarmi», si giustificò. «È bella, non ho resistito. Sono un uomo! Ma con lei mi annoio, con te invece parlo volentieri.»
«Basta!», lo interruppe Ginevra. «Vattene, non voglio vederti!»
In quel momento le sembrò che la sua vita fosse finita. Come fare a fidarsi ancora degli uomini? Matteo le aveva giurato amore, l’aveva corteggiata con galanteria, dicendole che era la donna dei suoi sogni. E invece, era tutta una bugia.
Involontariamente, Ginevra pensò a sua madre, abbandonata dal padre quando lei aveva tre anni. Poi, alle elementari, la madre aveva provato a rifarsi una vita, ma il suo nuovo compagno l’aveva lasciata per la sua migliore amica. Da allora, sua madre, Silvia, aveva perso fiducia negli uomini e deciso che il suo destino era la solitudine.
«Almeno tu, figlia mia, spero incontri qualcuno di buono», sospirava spesso, preoccupata per Ginevra.
La madre era felice quando la figlia le annunciò il fidanzamento. Silvia viveva ancora nel paesino dove Ginevra era cresciuta. Dopo il liceo, Ginevra si era trasferita in città, si era iscritta all’università, aveva trovato lavoro e affittato un appartamento, sognando una famiglia. Dopo il tradimento di Matteo, però, dubitava che sarebbe mai successo.
Il suo venticinquesimo compleanno non le portò gioia. Aveva immaginato di festeggiarlo con l’uomo amato, invece era sola, con il cuore a pezzi. Si preparò una cioccolata calda e si avvolse in una coperta fatta a maglia da sua madre. Silvia era un’artigiana, lavorava a maglia su commissione, e le sue creazioni erano splendide. Anche Ginevra amava lavorare a maglia, ma era lontana dalla bravura della madre.
Non fece in tempo a bere un sorso che suonarono di nuovo alla porta.
«Strano», pensò. «Chi sarà? Spero non siano Bea e Camilla, ho detto che non esco.»
Ginevra era discreta e nei momenti tristi preferiva la solitudine. Guardò dallo spioncino. Davanti alla porta c’era lo stesso giovane con un mazzo di fiori sontuoso.
«Chi è?», chiese senza aprire.
«Un mazzo per voi…», rispose lui.
Ginevra aprì un po’ la porta, osservando attentamente i fiori e il ragazzo.
«Per me?», si stupì.
«Sì, per voi», annuì. «Sei Alessia?»
«No, sono Ginevra…», rispose, con una lieve irritazione.
«Un attimo», si confuse, controllando l’indirizzo su un foglietto. «Questo è il suo appartamento?»
«Sì, ma non sono Alessia.»
«Un secondo», disse, porgendole i fiori. «Li tenga, per favore.»
Cominciò a telefonare a qualcuno, probabilmente per verificare l’indirizzo.
«Quale numero? Capito», disse poi, rivolto a Ginevra. «Scusate, ho sbagliato. Cercavo il venticinque, non il cinque… Che figuraccia.»
«Non importa», sorrise Ginevra. «Meglio che abbiate chiesto il nome. Altrimenti avrei preso fiori non miei. Oggi è il mio compleanno, sarebbe stato strano…»
«Il tuo compleanno?!», esclamò. «Auguri! Immagino aspetti ospiti, scusa se ti disturbo…»
«Nessuno aspetto e non festeggio», rispose piano. «Ma i fiori sono bellissimi, sicuramente piaceranno ad Alessia. Buona serata.»
«Arrivederci», rispose confuso. «E ancora scusa…»
Chiusa la porta, Ginevra tornò alla cioccolata. Si era raffreddata e non aveva il microonde. Decise di rifarla.
«Chissà se anche Alessia del venticinque compie gli anni oggi», pensò, guardando la bevanda fumante. «O se c’è qualcuno che la fa felice… E quel ragazzo era carino… Che imbarazzo quando ha sbagliato! Come si chiamerà?»
I pensieri le turbinavano in mente mentre beveva. Forse aveva sbagliato a rifiutare il bar? Perché starsene a casa a rattristarsi? Beatrice aveva ragione, non valeva laGinevra prese il telefono e chiamò Beatrice, decidendo che forse, dopotutto, un brindisi al suo compleanno avrebbe scacciato la malinconia.