Oggi ho deciso di scrivere di quel giorno.
La telefonata arrivò all’alba. Nadia, ancora assonnata, riconobbe la voce roca e agitata di Davide al telefono:
“Nadia… Io… Devo dirti una cosa…” Esitò, come se cercasse le parole giuste. “Ho riflettuto… Non sono pronto. Capisci, non sono pronto per il matrimonio. Sono confuso. Io… nemmeno io so cosa provo per te adesso.”
Nadia rimase impietrita. Il cuore le batteva nelle orecchie. Riuscì solo a sussurrare:
“Dici sul serio? Una settimana prima del matrimonio?”
“Non ci sarà alcun matrimonio,” rispose lui, deciso, come se avesse ripetuto la frase mille volte.
“Cosa?!” esalò lei.
“Voglio cominciare una vita nuova. La carriera, i miei obiettivi. E tu… tu meriti di meglio, sarai felice.”
Click. Riattaccò.
Nadia rimase seduta, immobile. Poi, come in un sogno, si alzò, andò all’armadio e prese una bottiglia di grappa. Bevve dal bicchiere. Senza stuzzichini. Senza gusto. Senza pensieri.
Poi… urlò così forte che le pareti sembrarono tremare.
La loro storia era durata quattro anni. Sembrava amore. Vero. Si erano conosciuti per caso: Nadia aveva portato il portatile in riparazione, e Davide, il tecnico, glielo aveva aggiustato. Quando glielo restituì, le chiese il numero. Due giorni dopo, la invitò a uscire. Lei accettò. E tutto ebbe inizio.
Dopo sei mesi, lui le confessò di voler andare all’estero. “Lì ci sono più opportunità,” disse.
“Verresti con me?” chiese, quasi incredulo che avrebbe accettato.
E lei andò.
Lasciò tutto: lavoro, amici, famiglia. Perché lo amava. Perché credeva in lui. Perché lui era il suo tutto.
Lui partì prima, per “sistemarsi”. La incontrò all’aeroporto: senza fiori, senza un sorriso, senza luce negli occhi.
“Non sei felice?” chiese piano lei.
“No, è solo… stanchezza. Problemi.”
Non la portò in un appartamento, ma in un ostello, in una stanza divisa da una tenda.
“Pensavo avessi affittato una casa…”
“Avevo iniziato,” borbottò. “Poi i soldi sono finiti. Non trovo lavoro.”
Nadia lo abbracciò. “Ce la faremo,” disse. E si mise a lavorare. Non nel suo campo, ma dove poteva: puliva, lavava, portava a spasso i cani. Faceva lavoretti ovunque.
E trovò lavoro anche per lui. Parlò con un cliente, lo convinse. Davide ebbe una chance.
Le cose migliorarono. Trovarono una casa. Sognarono il futuro. Parlarono di famiglia.
Ma Davide non durava mai a lungo in nessun lavoro. Lo licenziavano. Nadia reggeva tutto da sola. Di nuovo l’ostello, di ricominciare. Lei lavorava. Lui cercava se stesso.
“Davi, basta,” disse Nadia una volta, esausta. “Viviamo come vagabondi da quasi due anni. A casa avevamo una vita. Qui sopravviviamo. Torniamo indietro.”
Lui annuì in silenzio. Un mese dopo, erano di nuovo in Italia.
Nadia riprese il vecchio lavoro. Lo accolsero a braccia aperte. Davide fu assunto con un periodo di prova. Lo superò. Era felice come un bambino.
Due settimane dopo, propose: “Facciamo le pubblicazioni per il matrimonio?”
Nadia brillava. Prepararono tutto. Lei viveva ancora con i genitori. Non si parlava nemmeno di trasferirsi prima del matrimonio.
“I miei sono contrari alle convivenze,” spiegò.
“E quando sei venuta con me all’estero?” rise lui.
“Ho detto che ero da un’am”Non ho mai confessato la verità.”