– Lorenzo, fammi entrare. Fammi entrare! Sono tua madre! Devi darmi dei soldi, altrimenti non mi riprenderanno indietro – il bussare monotono alla porta non cessava, né le grida – è tuo dovere!
Lorenzo si appoggiò alla porta, chiudendo gli occhi. No, non l’avrebbe aperta. Bastava che tutta la sua infanzia fosse stata segnata dall’etichetta di “diverso”.
Si trascinò in camera, si stese sul letto, infilò le cuffie e alzò il volume della musica.
I primi anni di vita erano un ricordo sfocato. Forse per il suo quinto compleanno gli avevano regalato una macchinina radiocomandata, c’era stata una torta e i compagni dell’asilo. Suo padre, allora, era ancora con loro.
Poi, nella loro casa erano entrati quelli della strana organizzazione. E con loro, per Lorenzo, erano finiti i festeggiamenti.
Sua madre era caduta rapidamente sotto l’influenza della confraternita. Suo padre, di fronte a quella follia, se n’era andato, aveva chiesto il divorzio e accettato di versare un mantenimento per il figlio.
Ma quei soldi non servivano a vestirlo o a nutrirlo. Fin da bambino, quella setta gli era sembrata un polipo in agguato, pronto a ghermire la preda.
Pacifica e bizzarra in superficie. Poi, d’un tratto, ti ritrovi avvolto in quei tentacoli viscidi, senza via di fuga.
Il suo sesto compleanno non fu celebrato. Come i successivi dieci, perché per l’organizzazione non era una ricorrenza degna di nota.
C’erano, invece, i “giorni speciali”, in cui si poteva mangiare qualcosa di buono. Il resto del tempo, Lorenzo e sua madre bussavano alle porte, predicando la dottrina insieme ad altri adepti.
L’appartamento lo vendette in fretta, aiutata dagli avvocati della setta. Lorenzo si ritrovò senza un soldo, con la residenza in un dormitorio sperduto in un paesino di campagna.
I soldi, naturalmente, finirono alla comunità.
Tutti gli anni della scuola li passarono in una stanza condivisa con altre donne e i loro figli. Vestiti con la cosiddetta “carità” dall’estero, mentre predicavano senza sosta.
A scuola ridevano di lui, lui reagiva a pugni, e per questo ne subiva il doppio: prima per strada, poi nella comunità, per i vestiti strappati e perché non predicava con abbastanza zelo.
Insomma, lo consideravano un peso inutile. Ed è così che ne approfittò. A sedici anni, Lorenzo scappò in una città a mille chilometri dal suo capoluogo.
Si iscrisse a un istituto tecnico, cominciò a lavorare presto, poi l’università. Ora era un programmatore di successo, aveva appena comprato casa.
Ma la paura che lo aveva inseguito per anni si era avverata. Sua madre e quei fanatici l’avevano ritrovato. Lo avevano scelto come vittima perfetta da sfruttare.
***
Tutto era cominciato una settimana prima, quando sua madre – che a stento riconobbe – lo aspettò davanti all’ufficio:
– Ciao, tesoro, ti aspetto da tre ore.
– E con che scopo, esattamente?
– Ma come? Sono tua madre! Mi sei mancato, sono venuta a trovarti. Non sei contento di vedermi?
– No, non ti ho chiamata e non ti aspettavo. Non ti farò entrare in casa, non ti inviterò. Se hai fame, posso comprarti da mangiare.
– Grazie, tesoro, mangiamo insieme. – sua madre sembrò sinceramente felice per quella concessione.
Lorenzo le comprò un panino, si sedettero su una panchina al parco.
– E la tua organizzazione? – chiese Lorenzo – Sei uscita?
– Non del tutto, tesoro. Ma non porto abbastanza benefici. E ora non ho dove andare.
– Dove hai trovato il mio indirizzo?
– Me l’hanno dato, mi hanno detto di venire da mio figlio. Eccomi qui.
Lorenzo sospirò:
– E dove dormi? Dove vivrai?
– Da nessuna parte, in realtà. Ma va bene, posso dormire sulle scale.
Lorenzo sospirò di nuovo:
– Non sulle scale. Vieni, ti sistemo da me.
Nei giorni seguenti, Lorenzo credette ancora che sua madre potesse diventare normale. Non andava in giro a predicare, gli preparava la minestra e cercava in ogni modo di compiacerlo.
Gli chiedeva della sua vita, degli studi, del lavoro. Lorenzo, la cui vita sociale si limitava a colleghi e clienti, si sciolse e parlò con gioia, raccontando gioie e dolori.
Poi, una settimana dopo, arrivarono loro. E sparirono i soldi…
Tornato a casa, Lorenzo non trovò sua madre. Ma il cassetto dove teneva i risparmi e il bonus per un grosso progetto era aperto.
Aveva pensato di depositarli in banca, ma non ne aveva mai avuto il tempo. Lo aprì. I soldi erano spariti, probabilmente con sua madre.
Poco dopo, lei riapparve, insieme ai seguaci dell’organizzazione. Entrò con la sua chiave, sorridendo gioiosa:
– Figliolo, puoi essere fiero di me, i tuoi soldi sporchi sono serviti a una buona causa. Ora puoi tornare con noi, sarai salvo, come me!
– Cosa? Quella era la maggior parte dei miei risparmi, mamma. Ridammeli, o denuncio il furto.
– Una madre amorevole può rubare al figlio? – disse lei con nonchalanza – Chi ti crederebbe? Vuoi diventare lo zimbello di tutti?
Il suo sorriso si trasformò in una smorfia gelida.
Lorenzo balzò in piedi, gridando:
– Fuori di qui! E che io non riveda più né te né i tuoi complici.
Io, come un bambino stupido, ho creduto che ti fossi mancata, che volessi una famiglia normale.
E ho pagato di nuovo. Almeno, solo in soldi.
– Non sei nessuno per noi. Traditore, non meriti pietà. Dovresti pagarci e implorare perdono per tutta la vita! – urlò sua madre. Nei suoi occhi non c’era amore, solo odio.
Lorenzo la spinse fuori con i suoi compagni, chiuse entrambe le serrature, sapendo che sua madre aveva solo una chiave. Rimase ad ascoltare le sue urla sul pianerottolo, i colpi alla porta.
***
Al mattino, Lorenzo uscì per la solita corsa. Davanti al portone, sua madre sedeva su una panchina con due uomini sconosciuti.
Appena lo vide, iniziò a lamentarsi:
– Eccolo! Ecco il mio sangue, che ora rinnega la mamma. Chissà qual è il mio destino, morire sotto una siepe. Ti è piaciuto dormire, tesoro, mentre io pulivo il pavimento delle scale con la mia schiena?
Lorenzo passò oltre, ignorando le grida. Ma lei lo inseguì, e i suoi accompagnatori pure. Si fermò, si voltò:
– Cosa volete? Perché siete qui?
– Tesoro, sai che facciamo le offerte. Tu sei cresciuto con noi, sai quanto bene facciamo.
Paga volontariamente. – la voce di sua madre divenne stridula – O ti rovineremo la vita e la reputazione. Non avrai pace né a casa né al lavoro.
– E perché dovrei pagare te e la tua organizzazione, mamma? Per colpa vostra sono stato anni senza una casa, senza cibo decente, senza vestiti.
– È perché non hai mai creduto davvero – disse sua madre con convinzione – Pentiti, prima che sia tardi. Solo i veri credenti saranno salvi.
– Andatevene, o chiamo la polizia – ringhiò Lorenzo –