Genero opportunista: quando mia figlia ha scelto l’amore sulla ragione

Il genero parassita, ovvero come mia figlia ha scambiato il buon senso per amore

Quando la mia Carlotta mi presentò il suo fidanzato, un brivido mi corse lungo la schiena. Quel giovane arrogante, con il suo sorriso smagliante e i modi affettati, nascondeva solo superficialità. Non un uomo, ma un pavone: elegante, loquace, sempre pronto a parlare, ma dentro? Un vuoto. Irresponsabile, capriccioso, eternamente insoddisfatto. Cambiava lavoro più spesso di quanto la gente cambi scarpe con le stagioni. Se lo pagavano poco, se il capo era “incapace”, se gli orari non gli andavano bene… Insomma, la colpa era sempre degli altri, mai sua.

Cercai di far ragionare mia figlia. Piansi, supplicai, le spiegai che un marito dovrebbe essere un sostegno, soprattutto nel matrimonio. Ma Carlotta, accecata dall’amore, non mi ascoltava. Mio marito, suo padre, scrollò le spalle: “È adulta, lasciala sbagliare, il nostro compito è esserci”. Anche io provai a rassegnarmi, perché la sua felicità era più importante dei miei presentimenti. Ma come restare sereni dopo averla cresciuta con tanti sacrifici, solo per vederla legarsi a quel fannullone senza ambizioni?

Abbiamo fatto tutto per lei: l’abbiamo fatta studiare in un’università prestigiosa, le abbiamo comprato un appartamento e regalato una bella macchina. Tutto per assicurarle una vita serena. E lei, a venticinque anni, sposa uno che non sa far altro che lamentarsi.

Il matrimonio si celebrò comunque. Io ci andai, ma senza gioia, solo per Carlotta. Poi iniziò la loro vita insieme. All’inizio sembrava tutto accettabile. Finché lei lavorava, tiravano avanti. Ma quando andò in maternità, iniziarono le telefonate: “Mamma, potresti aiutarci con la spesa?”. Naturalmente aiutai. È mia figlia, e so com’è essere una giovane madre. Ma dov’era suo marito in tutto questo?

Ben presto la verità venne a galla: il genero aveva di nuovo lasciato il lavoro. Non perché non trovassimo nulla, ma perché non voleva lavorare. Passava le giornate sul divano, tra telefono e televisione, inventando scuse. I suoi genitori vivevano in qualche paesino della Calabria, non si presentarono neppure al matrimonio, e da loro nessun aiuto. Tutto ricadeva su di noi.

Resistetti a lungo. Sapevo che ogni parola contro il suo amato avrebbe creato tensioni. Ma alla fine persi la pazienza. Glielo dissi chiaro: “Edoardo, sei un uomo adulto, ma ti comporti come un adolescente. Non vuoi lavorare, non sostieni la famiglia. A cosa servi, allora?”

Dopo quella scena, Carlotta si offese e fece una scenata. Edoardo, d’improvviso, “si ricordò” di essere un uomo e trovò un lavoro. Ma come al solito, durò due mesi. Poi di nuovo si licenziò: “ambiente tossico”, “paga misera”, “colleghi insopportabili”. Mia figlia, come un disco rotto, tornò a giustificarlo: “Non capisci, mamma, era davvero insopportabile…”

Finché un giorno, portando loro la spesa, lo vidi di nuovo sul divano con il telecomando, mentre Carlotta era in cucina con la bambina in braccio e le occhiaie profonde. Persi le staffe: “Perché non provi a fare il fattorino? Hai la macchina e la patente.” Mi guardò come se gli avessi chiesto di spalare letame. Disse che quel lavoro “non faceva per lui”. Gli chiesi: “Allora badare alla bambina ti piace di più?” E lui ribatté che “neanche quello è roba da uomini”.

Fu allora che presi una decisione. Dura. Impopolare. Ma necessaria: “O ti rimbocchi le maniche e ti assumi le tue responsabilità, o non avrete più il nostro sostegno. Non possiamo continuare a portarvi in spalla.” Carlotta scoppiò in lacrime, accusandoci di essere senza cuore. “Vi prego, lo amo!” mi disse. Sì, ormai da tre anni “non capiamo”. Ma forse è lei che dovrebbe capire.

Mia figlia e mia nipote non le abbandoneremo mai. Le accoglieremo, le sfameremo, le aiuteremo. Ma il genero… Quella porta è chiusa. Non siamo un’organizzazione caritatevole. Mio marito mi appoggiò pienamente: “Meglio sola che con una palla al piede del genere.” Speriamo che Carlotta prima o poi apra gli occhi. Almeno per la bambina.

Nel frattempo… Impariamo ad amare nostra figlia a distanza, per non farci del male. Perché se non riesce a rendersi conto del pantano in cui è caduta, nessuno potrà salvarla.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

13 − 11 =

Genero opportunista: quando mia figlia ha scelto l’amore sulla ragione