Generosità dimenticata: il peso di accudire chi ci ha escluso.

La mia suocera ha adorato le sue figlie per tutta la vita. E adesso, nella vecchiaia, tocca a me prendermi cura di lei.

La mia suocera ha tre figli. Mio marito, Riccardo, è l’ultimo. E a quanto pare, per lei è sempre stato di troppo. Tutto il suo amore andava alle due figlie maggiori, Sofia e Giulia. A loro la suocera ha sempre dato una mano in tutto: con le ristrutturazioni di casa, con i nipoti, con la spesa, persino con i debiti. Noi, io e Riccardo, invece, sembravamo non esistere.

In otto anni di matrimonio, non abbiamo mai ricevuto un minimo di aiuto da lei. Niente regali, niente telefonate, niente visite. Non ci invitavano alle feste di famiglia, ai compleanni dei nipoti, neanche al suo stesso anniversario. Con noi parlava poco e con freddezza, quando si degnava di farlo.

Quando è nato nostro figlio, speravo in segreto che forse il nipote avrebbe fatto sciogliere il ghiaccio. Ma niente. La suocera non è nemmeno venuta a conoscerlo. Al telefono ha solo detto: «Peccato, non è una femmina», e basta. Riccardo ci è rimasto male, si chiedeva cosa avesse fatto di sbagliato. Poi si è rassegnato. Abbiamo potuto contare solo sui miei genitori. Sono stati loro a sostenerci, a tenere il nipote mentre noi lavoravamo a turni, ad aiutarci con la spesa, con i consigli, con qualsiasi problema.

Per noi, la suocera era già una sconosciuta. Le mandavamo un messaggio per le feste e basta. Sembrava un capitolo chiuso.

Poi tutto è cambiato quando è finita in ospedale. I medici le hanno diagnosticato una malattia terribile, che le toglie la mobilità e la costringe ad aver bisogno di assistenza continua. Appena saputo, Riccardo ha lasciato tutto ed è corso da lei. È tornato un uomo diverso: arrabbiato, confuso, distrutto. Lui, sempre gentile e equilibrato, ha perso le staffe per la prima volta in vita sua.

Dopo la dimissione, serviva qualcuno che si occupasse di lei giorno e notte. Le sue figlie hanno fatto un «consiglio di famiglia» e hanno deciso che toccava a noi. Dicevano che una aveva un neonato, l’altra una casa in provincia e che per lei arrivare a Roma era complicato. Nessuno ha detto che anche noi lavoriamo, che abbiamo un figlio, che non siamo mai stati veramente parte della loro famiglia.

L’idea di «cederci» il suo appartamento sembrava una carità. Soprattutto considerando che aveva già dato tutto alle sue figlie. La casetta in campagna a Sofia, la macchina a Giulia. «In cambio dell’aiuto», come lo chiamavano loro. E adesso, all’improvviso, si ricordano del fratello che ha sempre avuto solo le briciole. Ma quando Riccardo si è rifiutato, lo hanno accusato di essere senza cuore, gridando che non meritava il cognome di sua madre.

Io sono semplicemente stanca. Mi dispiace per lei, davvero. Ma è una sconosciuta. Non sono pronta a prendermi cura di chi ha sempre fatto finta che non esistessimo. Mio marito è cambiato, divorato dal senso di colpa. Ma che senso di colpa può esserci verso chi ti ha umiliato con il silenzio per tutta la vita?

Ha detto che se le sorelle credono che la madre meriti assistenza, possono vendere il suo trilocale e prendere una badante professionista. Lui è disposto a contribuire economicamente, ma non a sacrificare la nostra vita. Perché abbiamo una nostra vita, una nostra salute, il diritto alla serenità.

Capisco che la vecchiaia non sia facile. Ma perché devono pagarne le conseguenze quelli che sono stati sempre rifiutati? Dov’erano queste «adorate figliole» quando la suocera stava male? Perché adesso devono starsene in disparte, mentre io, una sconosciuta, dovrei lasciare tutto e farmi la sua infermiera?

So che molti mi giudicheranno. Diranno che non si abbandonano gli anziani, che la famiglia non si sceglie. Ma questa storia è troppo complicata. Troppo dolore, troppa ingiustizia.

E soprattutto, è troppo tardi.

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