Geni Compromessi

**Geni Difettosi**

Francesca entrò in casa, lasciò cadere le buste della spesa con un tonfo e sospirò rumorosamente.

“C’è qualcuno a casa?” gridò verso la camera. “Due uomini in questa casa, eppure sono sempre io a portare su le buste pesanti,” borbottò. “Tutti hanno fame, ma quando si tratta di aiutare, nessuno si fa vivo,” ripeté ad alta voce, perché la sentissero bene.

Si sfilò le scarpe con impazienza, continuando a lamentarsi. Alla fine, dalla stanza uscì suo figlio.

“Prendi le buste e portale in cucina. Papà è a casa?”

Lorenzo sollevò i sacchetti da terra.

“Sta guardando la televisione,” rispose senza voltarsi.
Avrebbe potuto evitare di dirlo. Sua madre non aveva chiesto cosa stesse facendo il padre. Ma perché doveva essere solo lui a subire il suo nervosismo? Che toccasse anche a suo padre.

“Perché urli così?” Il padre apparve sulla soglia.

“Niente. Sono stanca,” rispose seccamente Francesca. “Tra cinque minuti mi riposerò un attimo e preparerò la cena. Tutta da sola. Potevate almeno cucinare la pasta.” Si infilò le ciabatte e spense la luce nell’ingresso.

“Non ci hai detto nulla. L’avremmo fatto, vero, Renzo?” Il padre, fiutando l’inizio di una lite, cercò subito un alleato nel figlio.

Dalla cucina giunse solo il rumore delle buste e lo scatto del frigo. Lorenzo preferì restare neutrale. Era più sicuro così.

“Quindi non l’avete fatto,” sospirò Francesca. “Se avessi avuto una figlia, avrebbe capito cosa fare. Ma da voi non c’è da aspettarsi nulla.” Si trascinò in cucina, sfiorando il marito.

“Fra’, lo so che sei stanca, ma perché scaricare la tensione su di noi? Non sono un veggente, non posso indovinare se devo cucinare la pasta o le patate. Bastava dircelo, l’avremmo fatto e saremmo pure andati a fare la spesa. Anch’io sono appena tornato dal lavoro, tra l’altro.” Fece un gesto secco con la mano e tornò in camera.

“Ecco, appunto. Voi avete bisogno che vi si dica tutto. Meglio starsene sul divano, no?” Continuò a brontolare, ma ormai senza rabbia.

Non voleva litigare. Non ne aveva la forza. Semplicemente non riusciva a calmarsi subito.

“Grazie, figliolo, vai a fare i compiti. A tutto il resto ci penso io…”

Lorenzo sparì subito verso il computer. Francesca aprì il frigo e scosse la testa, riorganizzando le provviste. Dopo aver sfogato la frustrazione, si calmò. Adorava marito e figlio, ma oggi era stata una di quelle giornate. La cucita non era certo un affare da uomini.

Dopo cena, raccolse gli avanzi di pasta dal tegame in un contenitore e aggiunse una polpetta. Stava per metterne un’altra, ma ci ripensò.

“Ancora per la Piccinini? Attenta, la vizierai e poi sarai tu a lamentarti che ti salta al collo,” disse il marito, vendicandosi del suo broncio di prima.

“Non per la Piccinini, per Giuditta. A casa sua non c’è mai nulla da mangiare. La madre beve tutto. Mi fa pena quella ragazzina. L’ho vista portare a casa sua madre ubriaca. Quella non riusciva nemmeno a stare in piedi. Giuditta è intelligente, brava, ma ha avuto sfortuna coi genitori.” Si rimise le scarpe mentre spiegava.

Il marito non rispose.

Francesca scese al terzo piano e suonò alla porta scrostata, che sembrava aprirsi con una semplice spinta. Ma chi l’avrebbe fatto? In quell’appartamento non c’era nulla da rubare, neppure gli scarafaggi resistevano alla fame.

“Chi è?” una vocina esile rispose dall’interno.

“Giuditta, sono zia Franca. Apri, ti ho portato da mangiare.”

Si sentì il chiavistello, la porta si aprì di un centimetro e Francesca vide l’occhio vigile di Giuditta, di nove anni.

“Prendi, mangia. Tua madre dorme?”

La bambina aprì un po’ di più, prese il contenitore e annuì.

“Va bene, allora io vado. Tu mangia. Sei pelle e ossa, non so come fai a stare in piedi.” La guardò con compassione. “Non lasciarne per tua madre.”

Giuditta annuì di nuovo e chiuse la porta.

“Vorrei una figlia così,” sospirò Francesca, salendo le scale verso casa.

Entrò nella camera del figlio. Lui sbatté il coperchio del portatile di scatto, ma lei aveva già visto che stava giocando.

“Non nasconderlo. Hai fatto i compiti?” si avvicinò alla scrivania.

“Da un pezzo.”

“Domani dopo scuola invita Giuditta a casa e dagli un po’ di minestra. Sua madre beve tutto, mangiano solo pane, quando lo hanno. Quella ragazzina è sempre affamata, magra come uno stecchino.”

“Va bene, mamma,” assentì Lorenzo, quattordicenne, senza fare domande.

“Non giocare troppo, vai a dormire,” disse Francesca già sulla porta.

“Certo.” Riaprì il gioco e si immerse nello schermo.

Il giorno dopo, passando davanti alla porta dei Piccinini, Lorenzo suonò il campanello.

“Andate via, la mamma non c’è,” rispose Giuditta.

“Senti, piccoletta, mia madre vuole che ti porti a casa nostra.”

“Perché?” chiese dopo una lunga pausa.

“Vieni e lo scoprirai,” rispose Lorenzo.

La porta si aprì lentamente. Giuditta lo fissava con diffidenza.

“Allora vieni? Se non vuoi, come vuoi,” aggiunse con falsa indifferenza, facendo un passo verso le scale.

“Aspetta!” gridò Giuditta e sparì dietro la porta. Tornò dopo qualche secondo con il contenitore vuoto.

“C’è una pentola di minestra in frigo. Sai scaldartela?” chiese Lorenzo, salendo le scale e imitando il tono della madre.

“Non sono piccola,” si offese la bambina, seguendolo.

“Scialdane due porzioni.” Lorenzo aprì la porta di casa. “Tu vai in cucina, io cambio vestiti.” Sparì nella sua stanza.

Quando rientrò in cucina, sul tavolo fumavano già due piatti di minestra, con accanto il pane e i cucchiai.

“Brava. Facciamo a chi finisce prima?” Si sedette di fronte a Giuditta, afferrò il cucchiaio e iniziò a mangiare veloce.

La ragazzina mangiava piano, osservandolo. Poi lavò i piatti. Lorenzo non si offrì di aiutare. Perché? Aveva mangiato la minestra, poteva lavare anche i piatti.

“Vieni, ti faccio vedere un gioco al computer,” le disse mentre lei asciugava le mani e riappendeva con cura lo strofinaccio.

“Mostrami piuttosto come si guadagnano soldi su internet,” rispose Giuditta.

“Ah, sei già informata!” rise Lorenzo, divertito. “Hai un computer?”

“E da dove?”

“E come pensi di guadagnare?”

“Tu mostrami,” insistette ostinata.

“Onestamente non lo so. Ma chiederò a Beppe. Dice di saperlo.”

Da allora, quasi ogni giorno tornando da scuola, Lorenzo passava a prendere Giuditta. Pranzavano insieme e lui le insegnava i segreti del computer. Giuditta apprendeva tutto al volo, arrossiva alle sue lodi.

Una volta, la porta fu aperta dalla madre, con Giuditta che sbirciava da dietro.

“Non è che haiMa quando Lorenzo la vide sorridere tra le lacrime, capì che, nonostante i geni difettosi, il cuore di Giuditta era perfetto, e decise di sposarla, sfidando ogni pregiudizio.

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