Geni Deteriorati

**Geni Difettosi**

Anna entrò nell’appartamento, posando con un tonfo le borse pesanti sul pavimento. Trattenne a stento un sospiro affannoso.

“C’è qualcuno in casa?” gridò verso le stanze interne. “Due uomini in casa, e sono sempre io a portare le buste pesanti.” Borbottò fra sé, poi alzò la voce. “Tutti hanno fame, ma quando si tratta di aiutare, nessuno si fa vivo!”

Si sfilò le scarpe con malagrazia, ogni movimento carico di esasperazione. Dopo un attimo, suo figlio apparve sulla porta.

“Prendi quelle borse e portale in cucina. Papà è qui?”

Edoardo sollevò i sacchetti da terra.

“Sta guardando la tv,” rispose sgarbato, voltandole le spalle. Avrebbe potuto tacere, ma perché lui solo doveva subire l’umore nero della madre? Che ne prendesse anche il padre.

“Perché urli?” La voce roca di suo marito risuonò dal corridoio.

“Niente. Sono stanca.” Anna sbuffò. “Tra cinque minuti mi riposerò e preparerò la cena. Tutta da sola. Potevate almeno cucinare la pasta.” Infilò le ciabatte e spense la luce nell’ingresso.

“Non ci hai chiesto nulla. L’avremmo fatto, vero, Edo?” L’uomo, percependo l’inizio di una lite, coinvolse subito il figlio.

Dalla cucina arrivò solo il fruscio delle buste e il clic del frigorifero. Edoardo preferiva la neutralità. Più sicuro così.

“Quindi, non l’avete fatto,” sospirò Anna. “Se avessi una figlia, lei saprebbe cosa fare. Con voi non si ottiene nulla.” Scivolò accanto al marito, diretta in cucina.

“Anna, so che sei stanca, ma perché sfogarti su di noi? Non sono un veggente, non indovino se devo fare la pasta o le patate. Bastava chiederlo, avremmo cucinato e magari fatto la spesa. Anch’io sono appena tornato dal lavoro, stanca pure io, sai?” Con un gesto brusco, le tagliò l’aria con la mano e sparì in camera.

“Ecco, appunto. Bisogna dirvi tutto. Meglio sdraiarsi sul divano,” borbottò Anna, stavolta più pacata. Non voleva litigare. Non ne aveva la forza.

“Grazie, Edo. Vai a fare i compiti, penso io al resto…”

Il ragazzo scomparve in camera verso il computer. Anna aprì il frigorifero e scrollò le spalle, riordinando distrattamente le provviste. Dopo aver sfogato la rabbia, si calmò. Adorava Edoardo e suo marito, ma oggi la giornata era stata pesante. La cucina non era affare da uomini.

Dopo cena, raccolse gli avanzi di pasta in un contenitore, aggiungendo una polpetta. Stava per metterne un’altra, ma esitò.

“La porti di nuovo ai Rossi? Stai attenta, la vizierai,” la rimproverò il marito, vendicandosi per le critiche prima di cena.

“Non ai Rossi, a Sofia. A casa sua non c’è nulla da mangiare. La madre beve tutto. Mi fa pena quella bambina. L’ho vista trascinare a casa sua madre ubriaca. Quella non reggeva in piedi. Sofia è intelligente, buona, ma con quei genitori…” Si infilò le scarpe.

Lui non rispose.

Anna scese al terzo piano e suonò alla porta scrostata, che sembrava cedere a una semplice spinta. Ma chi avrebbe mai rubato lì dentro? Nemmeno le blatte resistevano alla fame.

“Chi è?” una vocina esile filtrò dall’interno.

“Sofia, sono zia Anna. Apro, ti ho portato da mangiare.”

Il chiavistello scattò, la porta si socchiuse e un occhio vigile la fissò dalla fessura.

“Prendi, mangia. Tua madre dorme?”

La bambina aprì un po’ di più, afferrò il contenitore e annuì.

“Va bene, vado. Mangia pure. Sei pelle e ossa.” Anna la osservò con compassione. “Non lasciarne a tua madre.”

Sofia annuì di nuovo e chiuse la porta.

“Vorrei una figlia così,” sospirò Anna, salendo le scale verso casa.

Entrò nella stanza di Edoardo. Lui sbatté il coperchio del portatile, ma lei aveva già visto.

“Non nascondere. Hai finito i compiti?” si avvicinò alla scrivania.

“Da un pezzo.”

“Domani, dopo scuola, porta Sofia a casa e dagli un po’ di minestra. Con quella madre ubriacona, mangiano solo pane, quando c’è. Quella ragazzina è sempre affamata.”

“Va bene, mamma,” acconsentì Edoardo, senza fare domande.

“Non stare al pc troppo tardi, vai a letto,” disse Anna uscendo.

“Il giorno dopo, passando davanti alla porta dei Rossi, Edoardo suonò.

“Via, mia madre non c’è,” rispose Sofia dall’interno.

“Ascolta, piccola. Mia madre vuole che tu venga da noi.”

“Perché?” domandò dopo un lungo silenzio.

“Vieni e lo scoprirai.”

La porta si aprì lentamente. Sofia lo scrutò con diffidenza.

“Allora vieni? Se no, come vuoi.” Fece finta di allontanarsi.

“Aspetta!” gridò lei, rientrando. Pochi secondi dopo tornò con il contenitore vuoto.

“Sai scaldare la minestra nel frigo?” Edoardo imitò il tono materno salendo le scale.

“Non sono piccola,” sbuffò Sofia, seguendolo.

“Scaldane due porzioni.” Edoardo aprì la porta. “Vai in cucina, io mi cambio.” Sparì in camera.

Quando tornò, sul tavolo fumavano due piatti di minestra, con accanto pane e cucchiai.

“Brava. Vediamo chi finisce prima.” Edoardo afferrò il cucchiaio e iniziò a trangugiare il pasto.

Sofia mangiò lentamente, osservandolo. Poi lavò i piatti. Lui non si offrì di aiutare. Aveva mangiato, poteva lavare.

“Vieni, ti mostro un gioco al computer,” propose quando lei ebbe appeso l’asciugamano.

“Mostrami piuttosto come guadagnare online,” disse Sofia.

“Ah, ma sei sveglia!” Rise divertito. “Hai un pc?”

“Da dove?”

“E come pensi di fare soldi?”

“Tu mostrami.”

“Onestamente, non so come. Ma chiederò a Enrico. Lui dice di saperlo.”

Da allora, quasi ogni giorno tornavano insieme da scuola, pranzavano e lui le insegnava a usare il computer. Sofia imparava rapida, arrossendo ai suoi complimenti.

Una volta, ad aprire fu la madre, con Sofia che sbirciava da dietro.

“Non è troppo presto per uscire con i ragazzi?” la donna gracchiò, fissando Edoardo.

“La aiuto con i compiti,” inventò lui.

Sofia guardava terrorizzata ora lui, ora la madre.

“Vai, ma non tardare.” La donna barcollò verso la camera come su una nave in tempesta.

“Non hai preso le chiavi. Come rientri? Oggi almeno non è ubriaca,” osservò Edoardo salendo.

“Lo sarà presto.” Sofia tirò una cordicella dal vestito, mostrando la chiave appesa.

“Ah. Se devi scappare, almeno hai tutto pronto,” intuì lui.

A volte venivano gli amici di Edoardo, e Sofia se ne andava a malincuore.

“Perché ti segue? È innamorata?” sentì mentre usciva.

“Ma che dici, è una bambina. Le insegno il computer.”

“Non sono una bambina!” sbottò lei, mostrando la lingua.

D’estate Edoardo partiva per il campo estivo o dalla nonnaDopo anni, mentre Sofia riceveva il suo primo incarico da medico e Edoardo la guardava con orgoglio, Anna finalmente sorrise, comprendendo che l’amore, non i geni, aveva plasmato il loro destino.

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