**Il Germoglio Rosso dell’Amore**
Tonia era inginocchiata tra le aiuole, strappando le erbacce, quando sentì una voce oltre il cancello. Si asciugò il sudore dalla fronte, si raddrizzò e uscì in cortile. Lì, davanti al portone, c’era una donna sconosciuta, sui quarant’anni.
«Tonia, buongiorno. Ho bisogno di parlarti», iniziò con decisione.
«Buongiorno… Entra, visto che sei qui», rispose Tonia senza entusiasmo, invitandola a passare.
In cucina, mentre l’acqua per il tè bolliva, Tonia osservò di sfuggita l’ospite. Volto stanco, occhi stretti dal sole. Qualunque cosa volesse, non era venuta per chiacchierare.
«Mi chiamo Nina. Non ci conosciamo, ma di te ne ho sentito parlare. Non farò giri di parole… Tuo marito, che riposa in pace, ha un figlio. Un bambino di tre anni. Si chiama Michele.»
Tonia si bloccò, fissandola in silenzio. La donna sembrava troppo anziana per essere la madre.
«Non è mio», capì lo sguardo di Tonia. «È di una vicina, Caterina. Il tuo Giorgio andava da lei… Beh, è successo. Il bambino è rosso di capelli, pieno di lentiggini—è identico a tuo marito. Non servono nemmeno i test. Solo che… Caterina è morta. Una polmonite trascurata. Il piccolo è orfano.»
Tonia non rispose, stringendo la tazza tra le mani.
«Caterina non aveva famiglia, nessuno. Lavorava in un negozio, viveva in affitto. Se nessuno lo prende, il bambino finirà in orfanotrofio. Tu sei la moglie di Giorgio, avete due figlie. Per sangue, non è un estraneo. È il loro fratellino.»
«E a me che importa? Ho già i miei figli! Vuoi che mi prenda un bambino altrui? E dopo quello che è successo?» La voce di Tonia tremò. «Se sei così buona, prendilo tu!»
«Io ho fatto la mia parte. Sta a te decidere. Il piccolo è dolce, affettuoso… Ora è in ospedale. Stanno sistemando i documenti. Il tempo passa.» Con queste parole, Nina si alzò e se ne andò.
Tonia rimase seduta in cucina. Il tè si raffreddò, mentre i ricordi affioravano.
Aveva conosciuto Giorgio dopo l’università. Rosso di capelli, allegro, pieno di poesie e battute stupide. Si erano sposati un anno dopo, la nonna aveva lasciato loro la casa. Nacquero prima Valentina, poi Elena. I soldi scarseggiavano, ma resistevano. Poi Giorgio iniziò a bere. Spariva per giorni, mentiva, perse il lavoro. Tonia si ammazzava di fatica, pensava al divorzio. E lui—morì, ubriaco, travolto da un’auto.
Piansero tutti. Persino Elena, piccolissima. E ora si scopriva che Giorgio aveva un figlio…
In quel momento, Valentina entrò di corsa.
«Mamma, perché sei triste? Andiamo al cinema, ma ho fame…»
Tonia mise sul tavolo un piatto di patate lesse e wurstel.
«Sai che hai un fratello?»
«Cosa? Che fratello?» Valentina si bloccò.
«Il figlio di tuo padre. Tre anni. La madre è morta. Lo stanno per mettere in orfanotrofio. Ecco tutto.»
«Lo conosci? La madre?»
«No. Dicono si chiamasse Caterina, non era di qui. Lavorava come commessa. Fine.»
Il giorno dopo, Valentina raggiunse Tonia in cucina.
«Mamma, siamo andate in ospedale con Elena. Abbiamo visto Michele. Lui… ci assomiglia, mamma. Guanciotto, rosso di capelli. Si teneva al lettino e allungava le manine. Gli abbiamo dato una mela, un’arancia. Piangeva, chiamava la mamma…»
«Ma cosa vi è saltato in mente?!» esplose Tonia. «Io mi spezzo la schiena, voi studiate, i soldi sono pochi, e voi mi aggiungete un bambino? Come te lo immagini?»
«Mamma, sei tu che dici sempre—i bambini non hanno colpe. Non è caduto dal cielo, è nostro. Di sangue. Non è colpa sua se papà lo ha messo al mondo così!»
«Non ci sono soldi!» urlò Tonia. «Elena deve studiare, tu devi iscriverti all’università, e io devo sfamare un’altra bocca?»
«Se fai l’affido, danno un sussidio. Mamma, sei una donna… guardalo. Solo guardalo.»
Tonia cedette il terzo giorno. Andò in ospedale. All’ingresso c’era un’infermiera.
«Il bambino Michele… Tre anni. Dicono che lo porteranno in orfanotrofio…»
«Lei chi è per lui?»
«La moglie di suo padre. Morto… voglio vederlo, solo un’occhiata…»
«Ieri sono venute le ragazze. Tue figlie, immagino. Da allora non fa che piangere. Su, vada.»
Tonia aprì la porta. E si bloccò. Nel lettino c’era un bambino rosso di capelli. Identico a Giorgio. Occhi azzurri, ricci ribelli.
«Zia…» sussurrò lui. «Dov’è la mia mamma?»
«La mamma non c’è più, Michelino…»
Scoppiò in lacrime. Tonia si avvicinò, lo prese in braccio. Accarezzandogli i capelli, sentì qualcosa spezzarsi dentro.
«Portami via… Ho fame… Voglio andare a casa…»
Il giorno dopo, Tonia raccolse i documenti. Lasciò il lavoro prima, firmò l’affido. Presentò la richiesta.
Passarono quindici anni.
«Mamma, non preoccuparti. Prometto che andrà tutto bene. Ascolterò il comandante, ti scriverò. Un anno è niente, vola. Poi andrò a lavorare all’officina dello zio di Ale, lo sai, con le macchine sono un mago.»
«Mio piccolo meccanico…» Tonia gli carezzò i ricci rossi, che non erano mai diventati una pettinatura decente.
Davanti a lei c’era un ragazzo alto, non più un bambino. Suo figlio.
Tonia lo strinse forte. Il cuore le si strinse—era già così grande.
«Ricorda, Michè… Non aver paura di seguire il cuore. Come feci io. La vita non è tutta calcoli.»
Il bambino portato dal dolore era diventato un senso. L’amore, attraversando il tradimento, non si indebolisce. Si purifica.