Già un altro? Galina, almeno pensasse a cosa dirà la gente – bisbigliavano i vicini che avevano visto un uomo nel cortile della vedova.

Eh già, penseranno male di me – sussurravano tra loro i vicini quando videro un uomo nel cortile della vedova.

In un paesino dove tutti si conoscono, chi è compare di chi, chi ha piantato le patate e chi si è lasciato tre volte, non si può nascondere nulla. Ecco perché, quando la vedova Elena portò a casa un nuovo uomo, tutti bisbigliarono: «Non ha resistito». Ma nessuno osò dirlo ad alta voce, perché Elena era una donna lavoratrice, onesta, e per di più tirava avanti da sola con due figli.

Andrea arrivò in casa loro in autunno. Un uomo silenzioso, con mani forti abituate alla zappa e al martello, e occhi tranquilli che guardavano i bambini senza superiorità, ma con la certezza che tutto si sarebbe sistemato. E anche se Maria aveva nove anni e Luca dodici, quasi non ricordavano il padre: se nera andato quando erano ancora alle elementari.

Le prime settimane, Maria lo guardava di traverso.
«Mamma, quanto resterà con noi?» chiese una volta.
«Come vorrà Dio, piccola. È un uomo buono» rispose Elena, e aggiunse con un sospiro: «Ero stanca di fare tutto da sola».
«Ma noi ti aiutavamo!» sbuffò Luca.
«Sì, mi aiutavate. Ma siete bambini. E io voglio vivere non solo tra le fatiche, ma anche con un po di calore».

Andrea non si imponeva con le parole. Aspettava che si abituassero a lui. Ogni mattina spaccava la legna, riparava la staccionata, e una sera portò pulcini in una cesta:
«Bisogna rimettere in piedi la fattoria. E poi, i bambini avranno uova fresche».
«Perché fai tutto questo?» chiese Maria, guardinga, anche se i pulcini le piacevano.
«Perché ora sono con voi. E anche se non sono vostro padre, vivere insieme significa dividere lavoro e beni».
«Anche il mio papà aveva i polli?»
Andrea esitò, poi rispose:
«Tuo padre era un bravuomo. Lo conoscevo. Lavoravamo insieme al mulino. Parlava sempre di te. Sei limmagine di lui».

Maria si sedette in silenzio sui gradini e lo guardò dare lacqua ai pulcini. Per la prima volta pensò: *Non vuole sostituire papà. Vuole solo esserci*.

In inverno, Andrea iniziò a insegnare a Luca a lavorare il legno.
«Questo è un pialletto. Non è come giocare col telefono, qui le mani devono sapere quello che fanno».
«Io non gioco sempre!» brontolò Luca.
«Non sto litigando. Solo che un uomo si fa con le mani e con la testa».
«E tu perché non litighi mai?»
Andrea sorrise.
«Perché non serve a niente. Meglio spiegare una volta che alzare la voce cento».

In primavera ci fu una giornata di lavoro comune per pulire il pozzo vicino al bosco. Luca e Maria non volevano andare.
«Lasciamo che ci vadano i giovani!» disse il ragazzo.
«E noi, siamo vecchi?» rise Andrea. «Andate, perché se aspettate che facciano tutto gli altri, non imparerete mai. La forza sta nel prendere la vanga, anche quando nessuno ti obbliga».

Al lavoro, i bambini sentirono per la prima volta come Andrea rispondeva agli uomini del paese:
«Ah, questi sono i tuoi? Il ragazzo e la piccola?»
«I miei. Ormai sono famiglia».
Maria diede una gomitata a Luca:
«Hai sentito?»
«Sì».
«E allora?»
«Be è stato bello. Lui non dice niente, ma».

Una volta Luca tornò da scuola molto triste. Quando Elena gli chiese cosera successo, confessò di aver litigato con i compagni.
«Perché?» chiese lei, trattenendo i lacrimoni.
«Perché ho detto che Andrea è come un padre per me. E loro: Allora sei un adottato, ti cresce uno straniero. Io ho risposto che meglio uno straniero buono che un padre vero che non cè».
Andrea non parlò. Si avvicinò a Luca e si sedette davanti a lui.
«Non ti chiedo di chiamarmi papà. Ma sappi, figliolo: non ti lascerò, qualunque cosa accada».
«Non è che mi dispiace. È solo difficile dire papà quando non sei abituato».
«Non cè fretta. La parola papà è come il pane: non si mangia in fretta. Va maturata».

Passarono due anni. Luca finiva la terza media, e in paese si diceva che sarebbe andato alla scuola di meccanica.
Una sera sedevano in cortile, con le stelle, le rane che gracidavano e lodore di timo nellaria.
«Andrea» disse improvvisamente Luca. «Devo fare un discorso su chi è il mio esempio. Voglio parlare di te. Posso?»
Andrea tossicchiò e annuì.
«Solo, non esagerare» mormorò.
«Non so esagerare, quando parlo dal cuore».

Alla festa di fine anno, Luca parlò di «un uomo che non cera dalla culla, ma che è diventato un vero padre». E Elena piangeva. E tra le donne del paese, qualcuno sussurrò:
«E poi dicono che un patrigno è uno sconosciuto. Quando le anime si avvicinano, la famiglia si fa».

Per il cinquantesimo compleanno di Andrea, Maria gli regalò una camicia ricamata e una lettera:
*Papà, grazie per la legna, i polli, la pazienza, e per averci insegnato non ad aspettare il bene, ma a crearlo noi stessi.
Sei nostro padre non perché dovevi, ma perché hai voluto. E per questo ti amiamo ancora di più.*

Andrea rimase a lungo con quella lettera in mano. Senza parole.
Poi disse a Elena:
«Sono cresciuti. Non sono estranei».
Lei sorrise:
«Perché tu non li hai mai trattati da estranei».

Per essere un padre, non serve sempre essere legato dal sangue. A volte, lamore, la gentilezza e le piccole cose quotidiane contano più della biologia. Perché la famiglia è quello che costruiamo noi.

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