Già un altro? Galina avrebbe almeno pensato a quello che la gente avrebbe detto,” sussurravano i vicini, vedendo un uomo nel cortile della vedova.

*Già un altro?* Si sussurravano i vicini, dopo aver visto un uomo nel cortile della vedova Luisa. *Almeno ci avesse pensato a cosa dirà la gente!*

In un paesino dove tutti sanno tutto di tutti chi è il compare di chi, chi ha piantato le patate tardi e chi si è risposato tre volte nascondere qualcosa è impossibile. Per questo, quando la vedova Luisa portò a casa un nuovo uomo, i pettegolezzi volarono: *”Ecco, non ha resistito.”* Ma nessuno osò dirlo ad alta voce, perché Luisa era una donna laboriosa, rispettabile, e per di più tirava su due figli da sola.

Marco arrivò nella loro casa in autunno. Silenzioso, con mani callose abituate alla zappa e al martello, e occhi tranquilli che guardavano i bambini senza superiorità, ma con una certezza: *”Le cose si sistemeranno.”* E anche se Maria aveva nove anni e Luca dodici, del padre ricordavano poco: se nera andato quando erano appena entrati alle elementari.

Le prime settimane, Maria lo squadrava con sospetto.
«Mamma, ma lui resterà con noi per sempre?» chiese una volta.
«Come vuole Dio, piccola. È un uomo buono.» Luisa sospirò. «E io sono stanca di fare tutto da sola.»
«Ma noi ti aiutavamo!» protestò Luca.
«Sì, ma siete bambini. E a me mancava un po di calore, non solo le incombenze.»

Marco non si imponeva. Aspettava che si abituassero a lui. Ogni mattina spaccava la legna, aggiustava la recinzione, e una sera arrivò con un cestino di pulcini:
«Bisogna riavviare la fattoria. E poi, così avrete uova fresche.»
«Perché fai tutte queste cose?» domandò Maria, diffidente ma già affascinata dai pulcini.
«Perché ora sono con voi. E anche se non sono vostro padre, vivere insieme significa dividere sia il lavoro che la gioia.»
«Anche il mio papà aveva i polli?»
Marco esitò, poi disse:
«Tuo padre era un bravuomo. Lavoravamo insieme al mulino. Parlava sempre di te. Sei la sua copia.»

Maria si sedette sui gradini e lo osservò mentre dava acqua ai pulcini. Per la prima volta, pensò: *Non vuole sostituire papà. Vuole semplicemente esserci.*

Dinverno, Marco iniziò a insegnare a Luca la falegnameria.
«Questo è un pialletto. Non è come giocare al telefono qui le mani devono sapere quello che fanno.»
«Io non gioco sempre!» borbottò Luca.
«Non ti sto rimproverando. Solo che un uomo si riconosce dalle mani e dalla testa.»
«E tu perché non ti arrabbi mai?»
Marco sorrise.
«Perché non serve a niente. Meglio spiegare una volta che alzare la voce cento.»

In primavera, il paese organizzò una giornata di lavoro per ripulire la fonte vicino al bosco. Luca e Maria non volevano andare.
«Lasciamolo fare ai giovani!» brontolò il ragazzo.
«E noi cosa siamo, vecchi?» rise Marco. «Andate, perché se aspettate sempre che siano gli altri a fare, non imparerete mai nulla. La forza sta nel prendere la pala anche quando nessuno ti obbliga.»

Alla fonte, i bambini si sentirono dire per la prima volta: *«Eh, questi sono i tuoi? Il ragazzo e la piccola?»* E Marco rispose semplicemente: *«Sì, i miei. Ormai sono famiglia.»* Maria diede una gomitata a Luca:
«Hai sentito?»
«Sì.»
«E allora?»
«Be è bello. Lui non fa storie.»

Una volta, Luca tornò da scuola molto turbato. Dopo le insistenze di Luisa, ammise di aver litigato con i compagni.
«Per cosa?» chiese lei, trattenendo le lacrime.
«Perché ho detto che Marco è come un padre per me. E loro: *”Allora sei un bastardello, cresciuto da uno straniero.”* Io ho risposto che meglio uno straniero buono che un padre vero che non cè mai.»

Marco rimase in silenzio. Poi si sedette di fronte a Luca.
«Non ti chiedo di chiamarmi papà. Ma sappi questo, figliolo: io non ti lascerò mai. Qualsiasi cosa dicano gli altri.»
«Non è che non voglio è solo che *papà* sembra strano.»
«E non cè fretta. La parola *papà* è come il pane: non si mangia a caso. Va assaporata quando è il momento.»

Passarono due anni. Luca finiva la terza media, e in paese si diceva che sarebbe andato a fare il meccanico. Una sera, seduti in cortile sotto le stelle, con il profumo del timo nellaria, Luca disse:
«Marco sto preparando un discorso per la festa. Su qualcuno che per me è un esempio. Voglio parlare di te. Posso?»
Marco si schiarì la voce e annuì.
«Solo non esagerare.»
«Non so esagerare quando parlo dal cuore.»

Alla festa, Luca parlò di *«un uomo che non cera dalla culla, ma che è diventato un vero padre»*. Luisa pianse. E tra le donne del paese, qualcuna sussurrò: *”E poi dicono che un patrigno è sempre un estraneo. Se le anime si trovano, il sangue non conta.”*

Per il cinquantesimo compleanno di Marco, Maria gli regalò una camicia ricamata e una lettera:
*Papà, grazie per la legna, i polli, la pazienza, e per averci insegnato che il bene non si aspetta, si fa. Sei nostro padre non perché dovevi, ma perché hai voluto. E per questo ti amiamo ancora di più.*

Marco rimase a lungo con quella lettera tra le mani. Poi disse a Luisa:
«Ecco, sono cresciuti. Non sono più estranei.»
Lei sorrise:
«Perché tu non li hai mai trattati da estranei.»

Per essere un padre, non sempre serve esserlo per sangue. A volte, lamore, la gentilezza e le piccole cose quotidiane contano più di un legame biologico. Perché la famiglia è ciò che costruiamo giorno dopo giorno.

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