Ha fatto entrare uno sconosciuto, senza sapere che così avrebbe salvato suo figlio

Lei lasciò entrare uno sconosciuto, senza sapere che così avrebbe salvato suo figlio.

Tutti lo conoscevano in Italia. Uno dei migliori oncologi di Milano, il professor Romano De Luca, era un simbolo di professionalità e dedizione alla medicina. Aveva salvato decine di vite, eseguito operazioni uniche ed era considerato un genio nel suo campo.

Quel giorno, Romano era di fretta per una conferenza internazionale a Torino, dove avrebbe presentato una relazione sulle nuove metodologie nella cura del cancro. Un evento cruciale, non solo per la sua carriera, ma anche per il futuro del laboratorio che dirigeva.

Ma nulla andò come previsto. Un’ora dopo il decollo, l’aereo fu costretto a un atterraggio d’emergenza per un grave guasto tecnico. Non ci fu panico, ma neppure tempo per esitare. Senza aspettare altri voli, il dottor De Luca noleggiò un’auto e decise di raggiungere Torino da solo. Le strade gli erano familiari e il meteo sembrava accettabile.

Dopo qualche ora, però, un temporale improvviso si abbatté sulla strada. Alberi caduti, nebbia fitta, strade secondarie dissestate: perse l’orientamento. Il navigatore smise di funzionare. L’auto rimase bloccata da qualche parte al confine tra Piemonte e Lombardia. Il freddo, la stanchezza e lo sfinimento lo schiacciarono al volante.

Mezz’ora dopo, scorse una luce fioca. Bagnato fradicio e sfinito, raggiunse una casetta malconcia ai margini di un paesino e bussò. La porta fu aperta da una donna sulla quarantina, avvolta in un maglione di lana, con gli occhi pieni di sorpresa. Senza dire una parola, lo fece entrare, gli diede dei vestiti asciutti del marito, lo nutrì con una minestra calda e lo fece sedere vicino alla stufa.

Non aveva un telefono: l’antenna più vicina era a dieci chilometri. Il marito era morto due anni prima, e viveva sola con il figlio. Dopo cena, la donna propose di pregare.

“Mi scusi, rispetto la fede, ma io credo solo nel lavoro e nella scienza,” rispose Romano con gentilezza, ma freddezza.

Lei non si offese. Si inginocchiò davanti alla culla coperta da una coperta e iniziò a sussurrare una preghiera. Nella stanza calò un silenzio profondo.

Il dottor De Luca la osservò senza volerlo. Qualcosa gli strinse il cuore. Quando lei finì, le chiese:

“Per chi stava pregando?”

“Per mio figlio. È gravemente malato. Ha il cancro. Ci hanno detto che l’unica speranza è il professor De Luca, ma non posso permettermelo. Non abbiamo soldi né modo di arrivare fino a lui. Posso solo pregare. Ogni giorno chiedo a Dio un miracolo.”

Romano rimase senza parole. Le lacrime gli bruciavano gli occhi. Tutto — l’atterraggio di emergenza, il temporale, il navigatore rotto, quella deviazione su una strada di campagna — non era solo una serie di coincidenze. Era… come un segno.

Si presentò. La donna, prima incredula, poi si sedette su uno sgabello e si coprì il viso con le mani. Pianse. Come se un peso fosse stato sollevato. Come se qualcuno l’avesse ascoltata.

Romano rimase. Visito il bambino. Contattò i suoi colleghi. Una settimana dopo, madre e figlio erano già in una clinica privata. Gratis. Con i fondi dell’associazione che lui stesso aveva creato.

Questa storia cambiò non solo il destino del bambino. Cambiò lui. Per la prima volta dopo anni, capì che a volte non conta solo quanto sai, ma quanto sei capace di essere umano.

A volte l’università stessa costruisce ponti tra chi ha disperatamente bisogno di aiuto e chi può darlo. E allora accade un miracolo. Non perché deve accadere, ma perché qualcuno ci ha creduto fino in fondo.

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