Ha scelto un vecchio cane anziché i nipoti e poi ha silenziosamente affrontato il suo rimorso

L’aveva scambiata: i nipoti per un vecchio cane, poi aveva seppellito il suo rimorso in silenzio.

— Daria, togliti quel marmocchio! Sta facendo impazzire il mio povero Beniamino! — sibilò irritata Laura Pavlovna, indicando il cane spelacchiato acciambellato sulla poltrona. — Te l’ho detto chiaro: portalo via subito, quel diavolo!

Daria, impallidita, trascinò il piccolo Matteo in un angolo e sussurrò: «Scusa, tesoro».

Dalla camera da letto sbucò Matteo senior, massaggiandosi le tempie con aria stanca:

— Che succede adesso? Con queste urla non mi lasciate lavorare!

— Ah, ti disturbiamo a lavorare! — la madre rise sarcastica. — E Beniamino, invece, sta vivendo i suoi ultimi giorni, mentre voi qui a urlare e a cambiare pannolini! Basta! Andatevene di casa! Non potete campare alle mie spalle per sempre!

— Mamma, ma perché esagerare? Non viviamo alle tue spalle! Compriamo la spesa, Daria fa tutto in casa…

— Non me ne importa nulla! Io ho fatto la mia vita, ora tocca a voi! Fate le valigie. Avete tre giorni.

Matteo lanciò un’occhiata torva al vecchio cane, poi scomparve in camera senza una parola. Daria si avvicinò alla culla dove dormivano i gemelli di sei mesi, si sedette accanto e scoppiò in lacrime.

— Partiamo stasera, — disse il marito, stringendole le spalle.

— Ma dove, Mat? Non abbiamo soldi, nessun appartamento…

— Nico mi ha lasciato le chiavi, è via per lavoro. Staremo lì per un po’, cercherò un lavoretto. Ce la faremo, Daria, te lo prometto.

Lei annuì e cominciò a fare le valigie. Al momento dell’addio, Laura Pavlovna non si fece nemmeno vedere — urlò solo dalla cucina:

— Deciso di andarvene? Buon viaggio!

Ma il destino aveva un altro piano. Il taxi che li portava dall’amico venne speronato da un’auto a folle velocità. Matteo e i bambini morirono all’istante. Daria sopravvisse, finendo in rianimazione in condizioni gravissime.

Rimase in coma per quasi due mesi. E solo in una grigia, umida mattina, le sue ciglia tremarono e gli occhi si aprirono. La prima persona che vide fu Laura Pavlovna.

— Daria, sole mio! Dio sia lodato, ti sei svegliata… — baciò le sue mani con frenesia.

— Voi… chi siete? — mormorò Daria, a malapena udibile.

— Sono tua madre… — mentì la suocera, trattenendo un tremito.

Laura Pavlovna tacque sulla tragedia. Disse ai medici che Daria aveva perso la memoria e pregò di non dirle nulla. «Non è il momento», decise. Buttò via le cose di Matteo e dei bambini, nascose le foto in una scatola in cima all’armadio. Voleva tornare indietro. Rimediare, se possibile.

Daria venne dimessa. A casa, si riprese lentamente. L’unica persona con cui si sentiva al sicuro era il fisioterapista Sandro. Con lui era tranquilla, solo a lui sorrideva davvero. Ma Laura Pavlovna… non si fidava di lei. Avvertiva qualcosa di estraneo, di freddo, nel suo tocco.

Un giorno, mentre spolverava, Laura salì su una sedia traballante. Un passo falso, la sedia cedette, e si fece male a una gamba. Daria la portò al pronto soccorso, ma i documenti erano rimasti a casa.

Tornò a prenderli, e vide una scatola polverosa sull’armadio. La aprì. Dentro, foto. Lei, Matteo, i gemelli… E tutto tornò. Il dolore le trapassò il cranio come un ago. Daria urlò.

Irruppe al pronto soccorso, stringendo quelle immagini.

— Ditemi la verità… Dove sono i miei bambini? Dov’è Matteo?!

Laura Pavlovna scoppiò in lacrime. Per la prima volta davvero. Lacrime di colpa, di orrore, di disperazione. E il silenzio, che tagliava come un coltello. Daria svenne sulla soglia.

Ripresasi, fuggì dall’ospedale. Nella pioggia, nel vento, corse senza meta. Raggiunse il ponte. Fissò il fiume come un’uscita. «Se salto, sarà finita. Silenzio. Niente più dolore…»

Ma all’improvviso, delle mani. Forti, sicure. Era Sandro.

— Daria… Non ti lascerò cadere. Piangi. Ma non tacere, non morire, non scappare. Sono qui.

Si seppellì il viso nel suo petto e pianse come mai prima. Lui la tenne stretta, accarezzandole i capelli.

Davanti a loro c’era ancora tanto — perdonare, guarire, imparare a vivere di nuovo. Ma in quel momento, tra il vento gelido e il cielo plumbeo, cominciò un nuovo capitolo. Senza la felicità di prima, ma con la luce di una speranza.

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