“Hai portato la sventura nella nostra famiglia!” gridò la madre alla figlia adolescente.
“Mamma, sei tornata! Mi sei mancata tanto! Staremo insieme ora?” esclamò la ragazzina con voce tremante di speranza, correndole incontro.
“No! Resterai con la nonna!” la interruppe bruscamente Anna, allontanandosi come se fosse una sconosciuta.
Era la prima volta in due anni che Anna tornava nella piccola città di Monteverde per vedere sua figlia. La sua voce era gelida, lo sguardo carico di odio. Aveva lasciato la bambina alle cure della suocera, e quel ritorno spezzò il cuore della figlia, che aveva atteso così a lungo l’amore di una madre.
“Perché?” chiese la bambina, trattenendo a stento le lacrime.
“Perché con la tua nascita è arrivata la disgrazia! Sei la ragione per cui tuo padre non c’è più!” urlò Anna, e quelle parole le trafissero l’anima come un coltello.
***
Anna e Paolo erano inseparabili fin dai tempi del liceo. Il loro amore sembrava eterno: sognavano il futuro, facevano progetti, non riuscivano a stare lontani neanche un giorno. Si sposarono subito dopo l’università. Paolo trovò lavoro come operaio edile, guadagnava bene e presto comprarono un appartamento a Monteverde. Quando Anna scoprì di essere incinta, Paolo era raggiante di felicità. La coccolava, scelse il miglior ospedale, preparò con amore la cameretta. La loro vita era piena di speranze.
Ma il destino fu crudele. Pochi giorni dopo il parto, Anna si preparava a lasciare l’ospedale. Paolo, orgoglioso, aveva decorato la stanza della bambina, comprato dei fiori e partì per andare a prendere la moglie e la piccola. Ma non arrivò mai. Un terribile incidente gli strappò la vita. I soccorritori e i medici non poterono far nulla. Anna rimase sola con la neonata tra le braccia.
Al suo capezzale arrivò l’amica Lucia, cercando di lenire il dolore con scuse assurde. Ma la verità la raggiunse a casa. La suocera, singhiozzando, le raccontò della tragedia. Anna, fuori di sé dal dolore, irruppe nella cameretta che Paolo aveva preparato con tanto amore. Distrusse tutto: strappò le tende, lanciò i giocattoli, urlò dal dolore. Il suo mondo era crollato.
Dopo il funerale, Anna non riusciva nemmeno a guardare la figlia. La suocera, Maria, si occupò di tutto. Anna costringeva sé stessa a badare alla bambina, ma nel suo cuore non c’era amore—solo vuoto e rabbia. Incolpava la figlia della morte di suo marito, come se la sua nascita fosse stata una maledizione.
Un giorno, quando Maria venne a trovare la nipotina, Anna perse il controllo.
“È colpa sua!” urlò, soffocata dalle lacrime. “Ha rovinato tutto! La odio!”
“Anna, riprenditi!” supplicò la suocera. “Dobbiamo vivere per lei! Non è sua la colpa!”
Ma le parole rimasero inascoltate. Anna si chiuse nel suo dolore, erigendo un muro di odio tra sé e la figlia.
Passarono due anni, Anna trovò un lavoro. Maria aiutava come poteva, ma quando Anna ricevette una promozione e iniziò a viaggiare per lavoro, chiese alla suocera di prendersi la bambina con sé. La nonna, che adorava la nipotina, accettò con gioia. All’inizio Anna la andava a trovare, la portava con sé nel weekend, ma col tempo le visite si fecero sempre più rare. Poi sparì del tutto.
Anna mandava i soldi sul conto della suocera, ma non dava più sue notizie. La piccola, straziata dalla nostalgia, piangeva e chiedeva della madre, ma Maria inventava scuse: “La mamma è in viaggio, tornerà presto”. Provò anche ad andare a casa di Anna, ma questa le sbatté la porta in faccia, rifiutandosi di parlare.
Passarono altri anni. Anna riapparve a casa della suocera il giorno del compleanno della figlia, Alice. Entrò, le consegnò un regalo con freddezza e si fermò, fissando la ragazzina che le correva incontro piena di speranza.
“Mamma, sei tornata? Verrò a vivere con te?” esclamò Alice, gli occhi pieni di luce.
“Niente è cambiato!” tagliò corto Anna, indietreggiando. “Rimarrai qui.”
“Perché?” la voce di Alice tremò, le lacrime a un passo.
“Perché hai portato la sciagura! È per colpa tua che tuo padre è morto!” gridò Anna, e quelle parole rimasero sospese nell’aria.
Maria non riuscì a trattenersi:
“Anna, sta’ zitta! Come puoi dire una cosa simile a una bambina?”
Anna la fissò con freddezza.
“Mi sono risposata. E aspetto un altro figlio. Sono venuta per firmare l’abbandono di Alice.”
“Vuoi rinunciare a tua figlia?” urlò la suocera, inorridita. “Non provi vergogna?”
“Non riesco ad amarla,” rispose Anna a bassa voce. “Perdonatemi.”
Si voltò e se ne andò. Poco dopo arrivò l’atto notarile che la privava della patria potestà. Alice rimase con la nonna, che divenne la sua tutrice. Quando la bambina chiedeva della madre, Maria taceva, incapace di dirle la verità. Solo anni dopo Alice scoprì che sua madre la incolpava della morte del padre. Pianse a lungo, ma smise di fare domande. Il suo cuore, ancora pieno d’amore per quella madre, si spezzò per sempre.