Oggi mi sono guardata allo specchio e mi sono detta: “Hai trentotto anni, eppure hai ancora paura di tua madre.” Questa consapevolezza mi rode dentro. Sono una donna che ha raggiunto molto: una laurea, un ruolo dirigenziale in un’importante azienda di logistica a Napoli, un matrimonio stabile, anche se senza figli. Mio marito, Matteo, è la mia ancora, e suo figlio, Luca, ormai lo sento come mio. In teoria, dovrei essere felice: una casa, una famiglia, sicurezza. Eppure, dentro di me c’è un terrore profondo, concreto, fisico. La paura di mia madre.
Ho trentotto anni. Guido un team, affronto problemi complessi, tratto con clienti importanti, prendo decisioni che riguardano la carriera delle persone. Ma basta una sua apparizione, e tutto crolla. Le ginocchia cedono, la gola si stringe, le mani diventano ghiaccio. Nella mia mente riaffiorano immagini dell’infanzia: lei che mi strappa le coperte e mi tira i capelli perché non ho lavato i piatti. Che mi lancia una ciabatta quando torno tardi da scuola. Che ride di me davanti ai suoi amanti, paragonandomi alle altre ragazze. I suoi tre matrimoni sono stati infernali. Mio padre è sparito nel nulla, e non so nemmeno se sia vivo. Lei, col tempo, è diventata sempre più dura.
Matteo vede tutto. Non intuisce, sa. Ha visto come mi trasformo quando sento la sua voce al telefono. Come balbetto se arriva all’improvviso. Mi ha proposto di andare da uno psicologo, di liberarmi di questo peso. Ma io… non posso. Sono una donna adulta, una manager, e ho paura di sembrare debole. Ammettere di aver bisogno di aiuto sarebbe come dire che non ce la faccio. E io ho sempre recitato la parte della donna forte. Peccato che basti una chiamata di mia madre per ridurmi a una bambina tremante.
All’inizio veniva da noi “per pochi giorni”. Poi quei giorni diventavano una settimana. Arrivava con valigie, frugava nei nostri armadi, controllava documenti, biancheria, una volta ha persino aperto il mio computer. A cena, ha chiesto a Matteo, tranquilla: “Quante amanti hai avuto, vivendo con una donna così fredda e noiosa?” Non sono riuscita a dire una parola. Solo a fissare il tovagliolo, mentre Matteo la cacciava fuori, furioso.
Ma è rimasta. Altri due giorni. Con una frase: “Sono tua madre. Tu sei mia figlia.” Questo basta a cancellare ogni limite, ogni colpa, ogni intrusione.
E io non so dirle di no. È la mia tragedia. Quando sento la sua voce, la lingua si paralizza. Non riesco a rifiutare. Dico sempre: “Sì, vieni…” anche se dentro urlo: “No! Non voglio!” Mento a me stessa, a Matteo, a tutti. E mi odio per questo.
Una settimana fa ha chiamato: “Ho preso i biglietti. Sarò da voi dal 30 dicembre al 10 gennaio.” Peccato che io, Matteo e Luca avessimo già programmato le vacanze. Volevamo andare a Firenze, prenotare una suite, starcene in pace. Avevo perfino scelto il menu. Ma lei ha deciso, e basta. E io, ancora una volta, non ho saputo dire: “Non venire.”
Ma stavolta abbiamo deciso diversamente. Partiremo. Prenoteremo un hotel. Spegneremo i telefoni. Scapperemo. Lei bacerà la porta vuota e farà quel che vuole. Non è vendetta. È sopravvivenza. Perché un altro Capodanno con lei non lo reggerei.
A volte ho paura ad ammetterlo, ma non amo mia madre. Ne ho terrore. E non capisco perché mi odi così tanto, perché continui a spezzarmi la vita anche adesso. Tutto ciò che voglio è vivere. Senza lacrime, senza paura, senza aspettarmi sempre dolore, umiliazione, risate.
Non so se scappare di casa sia una scelta da adulti. Ma ora è l’unica cosa che mi salverà. Un po’. Per un po’. Da lei, da cui non riesco a difendermi nemmeno a trentotto anni.