Ho cacciato la suocera di casa e non me ne pento affatto

Oggi ho cacciato mia suocera di casa e non provo il minimo rimorso.

Mi chiamo Francesca, ho trent’anni e vivo a Bologna. Voglio raccontarvi una storia che ancora mi fa male al cuore, ma di cui non mi pento affatto.

Sei mesi fa ho dato alla luce due gemelli: due bambini agognati, desiderati, una benedizione. Mia figlia si chiama Ginevra, mio figlio Matteo. Per me e mio marito sono stati un miracolo. Abbiamo faticato tanto per diventare genitori, abbiamo fatto cure, sperato, e quando all’ecografia il medico ci ha detto: «Avrete due gemelli», ho pianto di felicità.

Ma purtroppo, non tutti hanno condiviso la nostra gioia. Fin dall’inizio, come una spina nel fianco, c’era mia suocera: Livia Bianchi. Una donna con esperienza, la madre di mio marito, la nonna dei miei figli… Eppure, ciò che combinava non potevo che definirlo assurdo.

«Nella nostra famiglia non ci sono mai stati gemelli», diceva sospettosa. «E poi guarda la bambina: non assomiglia per niente a nostro Luca. E poi da noi nascono solo maschi!»

La prima volta ho taciuto. La seconda ho digrignato i denti. Alla terza le ho risposto che forse il destino aveva voluto variare un po’ la loro stirpe maschile. Ma poi è peggiorato tutto.

Un giorno ci stavamo preparando per una passeggiata. Io vestivo Ginevra, lei Matteo. Con una smorfia disgustata, mi ha detto con tono normale, come se parlasse del tempo:

«Guarda un po’… Matteo lì sotto non è uguale a com’era Luca. È diverso. Davvero strano…»

Sono rimasta impietrita. Per alcuni secondi non riuscivo a credere che una donna adulta potesse dire una cosa simile. Mi è sembrato di impazzire. Invece della rabbia, è arrivata una risata nervosa. Ho afferrato il pannolino e, ancora incredula, le ho risposto:

«Certo, perché Luca da piccolo doveva essere identico a una femminuccia, no?»

Dopo queste parole, per la prima volta nella mia vita, l’ho cacciata con una calma gelida. Le ho detto:

«Finché non mi porti un test del DNA che dimostri che questi bambini sono di tuo figlio, non mettere più piede in questa casa.»

Non mi interessava dove l’avrebbe fatto, con quali soldi o chi le avrebbe dato il materiale biologico. Non mi importava. Era il limite. L’ultima gara.

Mio marito, tra l’altro, è stato dalla mia parte. Anche lui era allo stremo: stanco delle critiche, del veleno, delle chiacchiere e dei sospetti di sua madre. Sapeva che i figli erano suoi. Li aveva attesi con lo stesso tremore di me. E anche lui si era sentito insultato.

Non ho rimorsi. Non l’ho cacciata per divertimento. Ho protetto la mia famiglia, la mia maternità, i miei figli. Una donna che insinua tradimenti, controlla i pannolini dei neonati e discute ad alta voce di chi assomigliano, non ha posto nella mia casa.

Qualcuno dirà che è crudele. Che non si fa così con gli anziani. Che è la nonna. Ma ditemi la verità: una nonna del genere merita di esserci, se fin dal primo giorno mette in dubbio la paternità e rovina la famiglia dall’interno?

Io voglio pace, serenità e amore in casa. Preferisco che i miei figli crescano senza una “nonna” così, piuttosto che con una persona che a colazione serva dubbi invece del latte.

Ecco: ho cacciato mia suocera. E non mi vergogno affatto.

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