Ho cacciato mio cognato dalla tavola di famiglia dopo le sue battute volgari alla cena dell’anniversario: una storia di coraggio e dignità a un pranzo festivo italiano

Marco, hai tirato fuori il servizio buono? Quello con il bordo dorato, non quello di tutti i giorni. E controlla i tovaglioli, per favore: li ho inamidati apposta, devono stare dritti come nei ristoranti si affannava Caterina in cucina, rimettendosi a posto una ciocca sfuggita alla pettinatura. Dal forno si spandeva laroma danatra alle mele, sul fornello le verdure stavano cuocendo per il contorno caldo, e il frigorifero era pieno di insalate che aveva preparato gran parte della notte.

Marco, suo marito, obbedientemente salì sulla scala per cercare tra le credenze più alte.

Cate, ma davvero serve tutta questa scena? Siamo tra di noi. Verranno Paolo, mamma e zia Luisa. Bastano anche le ciotole di plastica, basta che si mangi e si beva, brontolò, tirando giù la scatola col servizio di porcellana di Capodimonte.

Non brontolare. Oggi festeggiamo quindici anni: nozze di cristallo. Voglio che sia tutto perfetto. E poi, conosci tuo fratello Paolo. Se metto i piatti comuni: Siete caduti in miseria!. Se cè una sbeccatura: Non sapete fare niente. Almeno per una volta, niente scuse per le sue battute sgradevoli.

Marco sospirò mentre scendeva. Sapeva che la moglie aveva ragione. Suo fratello maggiore Paolo era, per dirla bene, difficile. O, con le parole schiette che Caterina usava con le amiche: Paolo era un maleducato fatto e finito, che prendeva la sua rozzezza per onestà.

Ti prego, oggi non farti provocare, disse Marco passando uno strofinaccio sui piatti. Ha un momento difficile: ha perso il lavoro, la moglie se nè andata. È nero come una bestia.

Marco, il suo momento difficile dura ormai da quarantanni. E sua moglie è scappata per puro istinto di sopravvivenza, tagliò Caterina, assaggiando la salsa. Posso sopportare finché la mia educazione me lo permette. Ma se ricomincia con le battute sulla mia forma fisica o sul tuo stipendio, giuro che non garantisco sulla mia pazienza.

A casa arrivò la suocera, Assunta, tranquilla donna che venerava i figli, soprattutto il maggiore, scavezzacollo. Poi entrò zia Luisa con il marito. Paolo, come sempre, arrivò in ritardo di quarantacinque minuti, quando tutti erano già seduti a tavola ad aspettare, guardando le portate che si raffreddavano.

Entrò con la giacca sgualcita, odore di tabacco e vento fresco.

Oh, ci sono anchio! Pensavate di esservi liberati, eh! risuonò la sua voce in tutta la casa. Allora, Marco, pensavi ti fossi evitato il regalo? Tieni!

Mise un pacchettino avvolto in un quotidiano nelle mani del fratello.

Cosè? chiese Marco confuso.

È un set di cacciaviti del discount! Così, quando dovrai sistemare qualcosa e non troverai il martello (come al solito), questi ti servono.

Caterina cercò un sorriso forzato.

Ciao, Paolo. Entra, lavati le mani, ti aspettavamo.

Paolo la squadrò con uno sguardo che la fece sentire gelare, come se qualcuno le avesse gettato addosso acqua fredda.

Oh, Cate! Come sei tirata! Vestito nuovo? Brilli come la carta delle caramelle. O vuoi distogliere lattenzione dalle rughe? Scherzo, scherzo! Non sei male per letà. Fai sempre la tua figura.

Marco tossicchiò imbarazzato:

Paolo, dai, siediti che lanatra si raffredda.

A tavola Paolo prese subito il comando. Si versò un bicchierino di grappa, senza aspettare il brindisi, afferrò con la forchetta una fetta di salame, e partì:

Auguri a voi! Quindici anni non sono pochi. E come fate a sopportarvi ancora? Io cinque anni con Emma e pensavo di impiccarmi. Le mogli sono come le zanzare, ti succhiano e succhiano. Marco, almeno tu mangi ancora bene. Anche se… masticò e fece una smorfia qui cè troppo sale. Ti sei innamorata di nuovo, Cate, o semplicemente invecchiando la mano trema?

Assunta sorrise timidamente:

Dai, Paolo, non dire così. Caterina cucina benissimo, prova questa insalata, molto delicata.

Con la lingua? Eh, meno male che la nostra Cate ha la lingua lunga, così esercita! Ma davvero, mamma, non proteggerla sempre. La critica fa bene. Io dico sempre la verità, per questo la gente mi rispetta.

Caterina, portando i piatti caldi, sentì la rabbia montare. Guardò Marco. Era tutto preso nel guardare il tovagliolo con unattenzione esagerata. Aveva paura del fratello, paura della lite, paura di rovinare la festa.

Va bene, si disse Caterina, respira. È solo una sera. Per Marco. Per la mamma.

Paolo, come va il lavoro? provò a cambiare argomento. Avevi detto che avevi un colloquio la scorsa settimana.

Paolo fece un gesto infastidito, riempiendosi di nuovo il bicchiere.

Lascia stare. Solo incapaci. Vado lì, un ragazzino di ventanni mi fa domande sul computer. Gli dico: Bimbo, io lavoravo quando tu giocavi con le figurine. Mi risponde: Non fa per noi. Peggio per loro. Vorrà dire che mi apro unattività mia. Appena metto da parte qualche euro A proposito, Marco, mi presti cento euro fino al prossimo mese? Ho i tubi del bagno che perdono, devo rifarli.

Caterina, col piatto in mano, si irrigidì.

Paolo, non hai ancora restituito i cinquecento che hai preso per lauto sei mesi fa, ricordò con calma.

Paolo arrossì, ma subito contrattaccò.

Ah, ecco la contabile! Guarda come comanda, Marco! Non puoi aiutare nemmeno tuo fratello! O sei così sottomesso che nemmeno a tuo fratello puoi dare una mano?

Marco guardò con colpa prima Caterina, poi Paolo.

Paolo, davvero, ora siamo stretti: dobbiamo finire di pagare il mutuo, e abbiamo appena fatto la spesa per la festa

Eh, ma guarda la tavola! sbottò Paolo, indicando lanatra. Che lusso! Salmone, olive, formaggi. Siete proprio dei borghesi. Ma il pane per il fratello manca. Caterina, sei proprio una tirchia. Tutto deve essere tuo. Dei parenti ti importa poco.

Paolo, per favore, calmati, intervenne Assunta, porgendogli una pizzetta. Mangia, che Caterina ha passato la notte a preparare.

Sì, sì… preparava… Vedrai come si dà da fare con il capo! Paolo strizzò locchio a Marco, un gesto tanto disgustoso che Caterina restò senza fiato. Ho sentito che sei stata promossa, Cate? Brava, vice capufficio? Bella carriera! Per meriti tuoi, naturalmente. O forse perché restavi sempre in ufficio la sera?

Crollò il silenzio. Persino zia Luisa, che di solito parlava sempre, smise di mangiare. Marco si fece rosso.

Paolo, ma cosa dici? sussurrò.

Ma do solo voce a quel che pensano tutti! sinfervorò Paolo. La grappa aveva finito di rovinargli i freni. Tu, Marco, che lavori tanto per niente, mentre tua moglie fa carriera. Pensi che ti ami? Ti tiene per pena. O forse perché sei comodo: prendi questo, fai quello. Guarda come sei ridotto! Sei uno zerbino!

Basta, disse Caterina, con voce ferma, anche se le mani le tremavano. Posò con calma il piatto.

Oh, adesso comanda lei! ironizzò Paolo. La verità dà fastidio? Io mi sono sempre chiesto cosa trovasse Marco in te. Niente di che, carattere dacciaio. Emma, almeno, era uno schianto! Tu una mosca grigia che si crede regina, solo perché comandi tuo marito.

Caterina guardò Marco. Sperava in un gesto. Che si alzasse, sbattesse un pugno, buttasse fuori quelluomo volgare. Ma Marco rimaneva con la testa bassa, le mani così strette sulla forchetta da far sbiancare le nocche, paralizzato dalla paura abituale verso il fratello.

Allora tocca a me, pensò Caterina.

Si alzò lentamente, sistemò il vestito, e disse, fredda come il ghiaccio che ti scorre nelle vene:

Alzati ed esci.

Paolo ghignò.

Che vuoi, ti sei bevuta il cervello ai fornelli?

Ho detto: adesso te ne vai da casa mia. Subito.

Questa è anche casa di mio fratello! gridò Paolo. Marco, senti che fa? Mi caccia di casa tua moglie! Dì qualcosa!

Marco alzò lentamente la testa, con dolore negli occhi. Guardò la moglie, il suo volto pallido e deciso, e capì: se ora taceva, il matrimonio finiva. Le nozze di cristallo fatte in pezzi.

Paolo, disse con voce roca Marco. Vai via.

Paolo rimase a bocca aperta. Si aspettava urla, scuse, pianti. Non questa unità.

Ma siete impazziti? Mamma, li vedi? Mi cacciano! Per una battuta!

Non era una battuta, Paolo, Caterina indicò la porta. Hai insultato me, umiliato tuo fratello in casa sua, a tavola. Mangi qui, bevi il nostro vino e sputi veleno. Ho tollerato i tuoi modi per quindici anni per la pace. Ma qui la pace non cè. Cè solo la tua arroganza. Ora basta. Fuori.

Andate al diavolo! Paolo balzò in piedi, rovesciando la grappa. Una macchia violacea si allargò sulla tovaglia bianca come una ferita. Mangiatevi le vostre insalate, sapientoni! Non metterò più piede qui!

Così spero, ribatté Caterina. E i soldi non li vedrai mai più, né ora né mai. Vai a lavorare, imprenditore.

Paolo diventò paonazzo. Afferrò la bottiglia rimasta (Tanto vale farla fuori! si lesse nei suoi occhi), se la ficcò sotto il braccio e, battendo i piedi, andò verso luscita.

Marco, te ne pentirai! urlò sulla soglia. Hai dato retta a quella lì invece che a tuo fratello! Sei un sottoposto!

La porta sbatté così forte che tremarono i bicchieri.

In casa cadde un silenzio denso. Si sentiva solo il ticchettio dellorologio e il respiro pesante di Assunta. La suocera stava seduta col fazzoletto sulle labbra, gli occhi lucidi.

Caterina sussurrò con voce rotta. Non dovevi essere così dura. Lui non lo fa con cattiveria È solo impulsivo. Ha bevuto troppo.

Caterina si girò verso di lei. Cercava di controllarsi, ma la voce le restò ferma:

Signora Assunta, disse con dolcezza decisa impulsivo è chi ride troppo forte. Offendere una donna e sminuire il fratello, questo è da meschini. Più non accetterò che la nostra casa sia scarico per la sua spazzatura verbale. Lo compatisca pure, come madre. Ma non qui, non a tavola.

La suocera singhiozzò, ma non ribatté. Zia Luisa, pratica donna, sbatté rumorosamente la forchetta sul piatto.

Ma era buonissima questa anatra, Cate! Davvero, si scioglieva in bocca. E hai fatto bene, era ora di rispondergli a tono. Alla vostra festa, anni fa, mha pure pestato i piedi e non sè nemmeno scusato. Marco, versami un po di vino, che mi devo riprendere.

Latmosfera si sciolse. Marco, risvegliandosi finalmente, prese la bottiglia. Le mani gli tremavano, ma guardava la moglie con riconoscenza, e soprattutto con rispetto.

Scusa, le sussurrò mentre le versava il succo. Avrei dovuto pensarci io.

Va bene, Caterina gli posò una mano sulla sua. Quello che conta è che ora siamo insieme. E che lui è fuori.

La serata proseguì sorprendentemente serena. Senza Paolo, era come respirare aria pulita. Gli ospiti si rilassarono, risero tra ricordi divertenti. Anche Assunta, dopo uno o due bicchierini di limoncello e una fetta di torta Millefoglie, ritrovò il sorriso e perfino un po di voce per unirsi alle canzoncine intonate da zia Luisa.

A festa finita, Caterina e Marco restarono tra la montagna di piatti sporchi. Caterina si sedette stanca, guardando la macchia di vino sulla tovaglia.

Questa non verrà mai via, sospirò. Era un regalo di mamma.

Marco le si avvicinò, stringendola alle spalle.

Dove ne compriamo una nuova. O dieci nuove, se vuoi. Oggi sei stata davvero incredibile. Io mi sono reso conto di quanto ho permesso a mio fratello di rovinarti la vita. Ci sono cresciuto: Dai spazio a Paolo, è difficile, mi diceva la mamma. Ed io lasciavo fare.

Lo so, Marco. Cambiare le abitudini è dura. Ma noi siamo una famiglia: fragile, come il cristallo, ma bella. Non permetterò più che la rompa un maleducato con un set di cacciaviti da saldo.

Risero insieme, la tensione si sciolse.

A proposito di cacciaviti, Marco indicò il pacchettino, rimasto sul mobile. Sai la cosa buffa? Me lha già regalato lui tre capodanni fa. Forse lha ripreso e ridato. Riciclato perfetto!

Vedi? La costanza è segno di professionalità, sorrise Caterina.

Il mattino dopo il telefono di Marco squillava impazzito. Era Paolo. Marco guardò a lungo lo schermo, poi Caterina, che faceva colazione leggendo serena. Abbassò il volume e girò il telefono a faccia in giù.

Non rispondi? chiese lei.

No. Che si calmi. O magari non rispondo più. Mi è piaciuto il silenzio di ieri.

La mamma sarà preoccupata, notò Caterina.

Limportante è che capisca che anche io ho carattere. Anzi, che noi ce labbiamo. Siamo diventati una squadra, no?

Mica male come squadra, acconsentì Caterina. Amanti della pace e dellanatra alle mele.

La settimana dopo Assunta raccontò che Paolo stava spiegando a tutti che era stato cacciato per niente da una nuora impazzita, mentre il povero fratello si era nascosto sotto la tavola. I parenti annuivano, sospiravano, ma curiosamente ora chiedevano spesso di andare a trovare Caterina e Marco, e si comportavano in modo sempre più gentile. Evidentemente la fama che in quella casa la maleducazione non era gradita funzionava meglio di qualsiasi antifurto.

E la tovaglia, alla fine, tornò bianca. Caterina tolse la macchia col vecchio metodo della nonna: sale e acqua bollente. Come Paolo dalla loro vita. Un po di fatica, un po di bruciore, ma poi tutto torna lucido e pulito.

La vera famiglia non è quella che sopporta tutto per abitudine, ma quella in cui il rispetto non manca mai: bisogna saper dire basta, per proteggere ciò che vale.

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