Ho cambiato idea sul matrimonio Archip trascorreva le sue serate fino a tardi nel laboratorio, sempre intento a travasare liquidi tra provette e ad analizzare polveri misteriose sperando di scoprire qualcosa di prezioso dalle radici di una pianta rara. Così preso dal suo lavoro e dai sogni di riconoscimento accademico, Archip, ormai quarantenne, non si accorgeva dello sguardo affascinato di Sofia, la giovane donna delle pulizie arrivata da poco all’istituto. Mentre lui inseguiva le sue formule, Sofia rimaneva ore con lo straccio in mano, non distogliendo gli occhi da lui. Una sera, armata di coraggio, la ragazza gli propose: «Archip Glebovich, lavorate tutto il giorno senza staccare… Che ne dice di una tazza di tè? Ho portato con me il bollitore elettrico, per caso, e delle salsicce fatte in casa.» Appena sentì “salsicce”, Archip lasciò tutto e si sedette a tavola. Sofia tirò fuori le specialità preparate con il macinato portato apposta dalla madre del paese. Archip, restio per la conservazione del cibo, titubò, ma alla fine cedette assaporando le salsicce tra mille dubbi scientifici. A poco a poco tra i due nasceva una complicità: promesse di biscotti per l’indomani, sogni notturni che svelavano una tenera attrazione, e una visita dai genitori di lei che si trasformò in una commedia familiare tutta italiana, tra madri diffidenti, padri giovani e robusti, e un’accoglienza più da dramma napoletano che da incontro formale. Il viaggio nella casa di campagna di Sofia divenne un’esperienza surreale tra la neve, le suocere arcigne e una scenata degna di un film di De Sica o una commedia di Eduardo. L’incontro esplose in urla, rimproveri, accuse di voler trattare Sofia da serva e una fuga rocambolesca tra la neve per Archip, colto addirittura da un malore. Dopo la tempesta, a casa, tra una minestra di anatra e discussioni sulle spese della spesa, Archip capisce una cosa: quella vita non è la sua, e forse, di amore e matrimonio per ora non se ne parla più. Una commedia italiana tra laboratorio e cucina, madri gelose e donne intraprendenti: Archip decide che forse, tutto sommato, il matrimonio può aspettare.

Sai, ti devo raccontare questa storia assurda che mi è capitatasembra uscita da un film italiano degli anni Sessanta, ma invece è tutto vero.

Allora cera questo tizio, si chiamava Arcibaldo Biancardi, ma tutti in istituto lo chiamavano Archi. Un quarantenne tutto dun pezzo, un vero topo da laboratorio: passava le notti intere a mescolare reagenti, osservare polverine nei becker, sempre con quella smania di scoprire la formula magica ricavata dalle radici di una pianta rarissima del Sud Italia. Era convinto che da lì sarebbe venuta la rivoluzione e stava sempre col naso sui suoi esperimenti.

Talmente preso dal lavoro che neanche si accorgeva di Silvia, la nuova addetta alle pulizie. Una bella ragazza di ventitré anni, venuta da un paesino in provincia di Potenza. Lei stava sempre lì, appoggiata al mocio, a fissarlo coi suoi occhioni scuri sperando che almeno per un secondo lui si girasse a guardarla.

E Arcibaldo, niente. Preso dai suoi sogni di gloria, nemmeno vedeva quanto Silvia fremesse per una parola, una chiacchierata, un sorriso.

Comunque, una sera Silvia prende coraggio e si fa avanti. Dottor Arcibaldo, dice, voi siete seduto qui dallalba perché non facciamo una pausa? Ho portato il bollitore e delle salsicce fatte in casa da mia madre! Gli brillavano gli occhi.

Quando Arcibaldo sente “salsicce fatte in casa”, finalmente lascia le pipette, si solleva, si stira e fa: Eh, un po di tè fa sempre bene e con la salsiccia, poi, chi sono io per rifiutare?

Silvia, tutta contenta, si precipita allo zainetto, tira fuori il bollitore, il contenitore di plastica col cibo, il sorriso stampato in faccia.

Sa, ho usato il macinato fresco che mamma mi ha portato dal paese, un po di pancetta e, via, in forno!

Archi, già curioso, si sistema gli occhiali sul naso e studia il contenitore da vero scienziato: Scusa, da quanto tempo la salsiccia è nella borsa?

Silvia abbassa lo sguardo, mormora: Da stamattina, ma la borsa era in spogliatoio, fresca, niente riscaldamento non dovrebbe essere andata a male, vero?

Archi fa una smorfia: Mmmh allora, beviamo solo il tè va bene? Il resto magari lo porti a casa, non si sa mai.

Silvia, che aveva passato ore a cucinare, si irrita, gli strappa via la salsiccia dalle mani e gli lancia uno sguardo da fulmine.

Archi, vedendo il suo broncio, prova a calmarla, ma proprio in quel momento Silvia, di rabbia, apre il contenitore e lo annusa: Ma che, profuma! Siete proprio dei cittadini, credete che la roba vada a male solo perché non è sigillata sotto vuoto. Non la volete? Meglio, me la mangio io!

Sbatte il contenitore sul tavolo, si versa il tè per sé. Archi si avvicina, incerto, il profumo gli fa venire lacquolina in bocca.

Mentre Silvia mastica felice, lui inghiotte a secco e azzarda: Manzo? Senti che aroma

Ma certo! E pure con le spezie del mio paese, ribatte tutta fiera.

Vorrebbe resistere, pensa: No, Archi, non farti tentare! Non sai quanto può essere pericoloso mangiare roba che non rispetta le regole HACCP! Ma lo stomaco parla, la gola brontola, e la mano va da sola a tagliare un pezzo di salsiccia che scrocchia tiepida sotto i denti.

Ma quantè buona! Chi lha fatta?

Te lho detto, io! risponde Silvia, tutta rossa.

Archi non riesce a smettere di mangiare, quasi in trance.

***

Per ringraziarla, quella sera si offre di accompagnarla alla fermata dellautobus. Lì chiacchierano, Silvia gli racconta di avere solo ventitré anni e di essere arrivata da poco a Milano, che cucina di tutto e il giorno dopo gli promette persino due tipi di biscotti fatti da lei: con le carote o con la ricotta? A me vanno bene entrambi, risponde lui, quasi felice.

Se ne va a casa col pensiero di quei biscotti e, notte tempo, sogna persino Silvia che lo abbraccia, mozzicone di camicia svolazzante. Si sveglia tutto rosso come un peperone, pensando: Quarantanni, e guarda come mi sento mai successo prima.

Parte seconda.

Il giorno fatidico dellincontro coi futuri suoceri, Arcibaldo è in fibrillazione. Lui e Silvia prendono un taxi per andare in quel paesino della Lucania in mezzo alla neve, tanto che sul paese sembrava nevicasse solo lì. Durante il viaggio, si sistema la chioma calante – Silvia la sera prima, con infinite attenzioni, gli ha perfino tolto i capelli bianchi con una pinzetta.

Lui indossa il vestito buono, la cravatta, spruzza il profumo più elegante che ha. Silvia, tenera come una gattina, gli viene vicino e lo rassicura: Piacerai a tutti, tranquillo. Mamma è gentile e il mio patrigno, Raffaele, dice sempre sì a tutto.

Quanti anni ha tua madre?

Quarantacinque.

Ah. Ne ha solo cinque più di me e tu sei così giovane

Ma sì, sciocco! Al massimo, se fa storie, le dico che sono incinta e via!

Quando arrivano, Arcibaldo resta scioccato: la casa è vecchia, il tetto a pezzi, la stufa con uno strano pentolone sopra. Dentro, una sola stanza, pareti storte, linoleum consunto e quei tappetini alluncinetto che solo le mamme italiane sanno tenere. Sente freddo solo a guardarla.

Dio mio ma dove sono capitato?

La madre di Silvia, la signora Carmela, arriva con la vestaglia addosso e uno sguardo torvo.

Piacere, sono Arcibaldo dice lui timido, ma Carmela lo squadra gelida e scoppia: Ma che scherziamo, Silvia? Quanti anni ha questo signore?

Lui balbetta: Quaranta, ma ho un lavoro fisso, una casa a Milano, sto bene, voglio solo il bene di Silvia

Lei taglia subito corto, E la macchina ce lha?

No, mi serve troppo poco. E comunque di solito prendo i mezzi, magari insegno io a Silvia a guidare!

Ma per favore! sbraita Carmela, non la faccio sposare con uno così, che mi vuole prendere mia figlia per serva! Cosè, vuoi tornare allOttocento?

S interviene il patrigno con una risatina paciosa, mentre Silvia e sua madre litigano davanti a tutti, tirando fuori vecchi rancori, gelosie, addirittura la storia che la mamma di Silvia si porta a casa un amante più giovane di lei! Volano parole grosse, urla e una sedia pure, mentre Arcibaldo si fa piccolo piccolo e sguscia fuori in strada.

Se ne va via congelato dalla paura e dal freddo, fa il giro del paese cercando un taxi, ma lì non prende nemmeno il telefono; torna alla casa, e ormai pensa solo a tornare a Milano da solo.

Silvia lo raggiunge fuori: Archi, amore mio, non scappare! Se mamma non vuole che mi sposi con te, io vado via con te, giuro!

Ma Arcibaldo, piantato come un palo nel gelo, tutto ciò che riesce a pensare è che ha fatto una pazzia, che forse era meglio la solitudine della sua bella casa calda e lavorare tranquillo. Sente le gambe venirgli meno, cade svenuto sulla neve, mentre Silvia urla terrorizzata e la mamma tifa dalla porta.

Arriva la guardia medica, lo rianima, lui si ritrova sdraiato in quella stanza gelida e ripensa a tutte le ultime ventiquattro ore: la salsiccia, le urla, le scenate, la cucina troppo affollata, la mamma isterica insomma, pensa solo ad andarsene via da lì.

Alla fine Carmela si placa, proclama: Se non rispetti tua madre, vattene pure! Ora è lui che deve prendersi cura di te! e Silvia, senza perdere tempo, si rimbocca le maniche.

Stremato, Arcibaldo riesce con mille peripezie a prendere il pullman del ritorno e, quando finalmente è nella sua Milano, tira un sospiro di sollievo.

***

Qualche giorno dopo, in laboratorio, la nuova assistente, Federica, timida trentenne, gli offre un pezzo di torta e un tè dopo lorario.

Scusi, dottore, ho portato una crostata… la vuole?

No! esclama lui, secco. Niente tè, qui! Si lavora, non si fanno merende!

Lei, ferita, arrossisce, prende le sue cose e se ne va.

Matto, mormora quando esce.

Archi chiude la porta a chiave e si fionda a casa.

Quando arriva, Silvia gli apre la porta: Buonasera, Arcibaldo.

Cosa cè per cena? chiede lui, senza neanche guardarla.

Zuppa di anatra e ravioli di patate.

Perfetto. Segnati quanto hai speso, te lo metto in busta a fine mese.

Si siede a tavola, mangia in silenzio. Ogni tanto Silvia prova a intavolare discorsi sulla mamma, su come in fondo sia buona, che voleva solo dargli una lezione su quanto valesse davvero sua figlia Dai, sono cose che succedono, siamo italiani, alla fine ci si abbraccia!

Archi, stanco, la accompagna alla porta, le mette in mano le sue cose e le dice: Vai a casa, tanto domani non ho bisogno di cena magari dopodomani.

Chiude la porta, si siede e mangia in santa pace, chiedendosi chi glielabbia fatto fare tutto quel casino per amore.

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Ho cambiato idea sul matrimonio Archip trascorreva le sue serate fino a tardi nel laboratorio, sempre intento a travasare liquidi tra provette e ad analizzare polveri misteriose sperando di scoprire qualcosa di prezioso dalle radici di una pianta rara. Così preso dal suo lavoro e dai sogni di riconoscimento accademico, Archip, ormai quarantenne, non si accorgeva dello sguardo affascinato di Sofia, la giovane donna delle pulizie arrivata da poco all’istituto. Mentre lui inseguiva le sue formule, Sofia rimaneva ore con lo straccio in mano, non distogliendo gli occhi da lui. Una sera, armata di coraggio, la ragazza gli propose: «Archip Glebovich, lavorate tutto il giorno senza staccare… Che ne dice di una tazza di tè? Ho portato con me il bollitore elettrico, per caso, e delle salsicce fatte in casa.» Appena sentì “salsicce”, Archip lasciò tutto e si sedette a tavola. Sofia tirò fuori le specialità preparate con il macinato portato apposta dalla madre del paese. Archip, restio per la conservazione del cibo, titubò, ma alla fine cedette assaporando le salsicce tra mille dubbi scientifici. A poco a poco tra i due nasceva una complicità: promesse di biscotti per l’indomani, sogni notturni che svelavano una tenera attrazione, e una visita dai genitori di lei che si trasformò in una commedia familiare tutta italiana, tra madri diffidenti, padri giovani e robusti, e un’accoglienza più da dramma napoletano che da incontro formale. Il viaggio nella casa di campagna di Sofia divenne un’esperienza surreale tra la neve, le suocere arcigne e una scenata degna di un film di De Sica o una commedia di Eduardo. L’incontro esplose in urla, rimproveri, accuse di voler trattare Sofia da serva e una fuga rocambolesca tra la neve per Archip, colto addirittura da un malore. Dopo la tempesta, a casa, tra una minestra di anatra e discussioni sulle spese della spesa, Archip capisce una cosa: quella vita non è la sua, e forse, di amore e matrimonio per ora non se ne parla più. Una commedia italiana tra laboratorio e cucina, madri gelose e donne intraprendenti: Archip decide che forse, tutto sommato, il matrimonio può aspettare.