Ho dato alla luce tre figli, ma nella vecchiaia non sono importante per loro…

Mi sono sposata con Giovanni circa trent’anni fa, e ci siamo trasferiti in un piccolo paesino vicino a Verona. Lì ho dato vita a cinque figli, dedicandomi a loro completamente, senza badare a fatiche o a desideri personali. È stata una vita di sacrifici, ma ora, guardandomi attorno, mi sembra che tutto ciò che ho dato sia svanito. I miei figli sono sparpagliati per il mondo, con le loro famiglie, e io mi ritrovo spesso sola, sommersa dal vuoto che hanno lasciato.

Con le mie figlie ho mantenuto un legame forte come l’acciaio. Vengono a trovarmi, portano doni, mi aiutano con le faccende domestiche e riempiono la casa di calore e risate. Passiamo insieme ogni festività; sono consapevoli della mia solitudine e del peso del silenzio. Gli spazi del mio grande casa sono disponibili per tutti, e li aspetto sempre a braccia aperte. Eppure, i miei figli maschi sembrano estranei, come se fossi un fantasma di un passato dimenticato. Capisco che abbiano le loro vite, le mogli da tenere in conto, e i propri figli. Ma possono davvero ignorare chi ha dato loro la vita?

Quando mio marito, Giovanni, li ha chiamati per chiedere aiuto a riparare il tetto, si sono scrollati di dosso la richiesta come un fastidioso insetto. La pioggia ci aveva inondato la casa, costringendoci a spendere gli ultimi risparmi della pensione per dei lavoratori estranei, pur di mettere tutto in sicurezza. E i miei figli? Nessun cenno di preoccupazione, né una telefonata. Anche il giorno del mio compleanno, l’unico momento, un piccolo gesto di rispetto per l’età avanzata, da parte loro, c’è solo silenzio.

Non credo che le loro mogli li influenzino contro di noi. Penso sia una scelta legittima loro, quella di dimenticarci e lasciarci da parte. Ho osservato bene le mie nuore; sembrano donne buone e ragionevoli. Ma i miei figli continuano a dire che sono oberati di lavoro e impegni. E allora, le mie figlie non lavorano forse? Non hanno anche loro famiglie? Eppure trovano il tempo di venire, abbracciarmi, portarmi del cibo, mentre i miei figli e le loro mogli non si presentano mai, nemmeno per farci vedere i bambini, la cui risata aleggerebbe come musica in questa casa altrimenti muta.

Ora, più che mai, io e Giovanni abbiamo bisogno di supporto. La salute ci abbandona come un vecchio tetto davanti al vento, e i miei figli ci hanno voltato le spalle, come se fossimo già dimenticati. Le mie figlie, invece, con i loro mariti ci portano in ospedale, coprono le spese per i farmaci, ci portano da mangiare e ci coccolano. E i ragazzi che ho cresciuto, alimentato col cucchiaio, insegnato a vivere? Ci hanno abbandonato al nostro destino.

Due anni fa mia figlia del mezzo, Claudia, ha avuto un brutto incidente ed è ora in sedia a rotelle. L’aiuto che poteva darci è ora da parte sua di una necessità verso di noi. La mia primogenita, Anna, è partita l’anno scorso per un futuro migliore in Canada – una scelta che comprendo, benché mi abbia lasciato senza il suo appoggio. Mi aveva proposto di assumere una domestica, ma il pensiero mi ha ferita: ho avuto cinque figli per finire nelle mani di una estranea? È un tale riconoscimento per i sacrifici di una vita?

Una delle mie nuore, la moglie del mio figlio più giovane, una volta ha detto che sarebbe meglio vendere la casa e trasferirci in una casa di riposo. “Lì avrete cibo, assistenza, senza essere un fastidio per nessuno”, aveva detto con un sorriso freddo. Mi ha colta un’enorme indignazione, parlava di noi come fossimo arredi vecchi piuttosto che persone vive. E sì, siamo anziani, ma non inutili! Camminiamo, pensiamo, viviamo – è solo che le forze ormai ci mancano, e la salute è un continuo tormento. Pretendiamo solo un poco di attenzione e calore da chi abbiamo cresciuto con amore.

Ancora una volta mi trovo a riflettere: solo le figlie sono il saldo appoggio che mi eviti di cadere nel vuoto della solitudine. E i figli… Lasciamo che sia Dio a giudicarli. Ho dedicato a loro tutto – la mia salute, giovinezza e notti insonni, e in cambio ho ricevuto solo il silenzio dell’indifferenza. Ma davvero merito di essere dimenticata dalla generazione che ho cresciuto?

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